Anche se l’umanità dovesse riuscire a limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius sopra i livelli preindustriali, i mari continueranno ad alzarsi per secoli a venire e sommergeranno gradi aree di città che attualmente ospitano mezzo miliardo di persone. Se poi il mondo dovesse riscaldarsi di un altro mezzo grado al di sopra di quel punto di riferimento, altri 200 milioni di abitanti urbani di oggi si ritroverebbero regolarmente nell’acqua di mare fino alle ginocchia e inermi di fronte a devastanti mareggiate. È questo il risultato di una ricerca pubblicata su Environmental Research Letters. L’area del pianeta il cui scenario risulta essere il peggiore è senza dubbio l’Asia, dove vi sono nove tra le diedi megalopoli a maggiore rischio. Bangladesh, Vietnam, Cina, India e Indonesia saranno i paesi più colpiti. Ma anche l’Italia vedrà qualche centinaio di migliaia di persone, nel caso più limitato, fino a qualche milione di persone nel caso peggiore, costrette a lasciare le proprie abitazioni per spingersi verso l’interno del Paese. La maggior parte delle proiezioni per un drammatico innalzamento del livello del mare e la conseguente minaccia per le città costiere riguarda la fine del secolo e ipotizza un innalzamento che andrà da mezzo metro a poco meno di un metro, a seconda della quantità di gas serra che verranno immesse in atmosfera. Gli oceani tuttavia, continueranno a gonfiarsi per centinaia di anni anche oltre il 2100, alimentati dallo scioglimento dei ghiacci, dal calore intrappolato nell'oceano e dalla dinamica del riscaldamento dell'acqua, indipendentemente dalle emissioni dei gas serra. «Già oggi, tenendo conto della quantità di gas serra immessi nell’atmosfera, circa il 5 percento della popolazione mondiale vive in aree al di sotto del punto in cui si prevede che raggiungerà il livello dell'alta entro fine secolo», ha affermato l’autore principale Ben Strauss, capo scienziato di Climate central. La concentrazione di Co2 dei nostri giorni – la quale rimarrà per centinaia di anni - è del 50 per cento più alta rispetto al 1800, e la temperatura superficiale media della Terra è già salita 1.1°C. «Una situazione che è sufficiente per innalzare il livello del mare di quasi due metri», ha sottolineato Strauss. «A meno che studi ingegneristici non trovino realmente il modo di rimuovere rapidamente enormi quantità di CO2 dall’atmosfera, l’innalzamento del livello del mare non è una questione di “se” ma di “quando”, continua il ricercatore, che prosegue: «La scoperta principale della nostra ricerca sta nel fatto che vi è una netta differenza tra un mondo più caldo di 1,5°C rispetto al periodo pre-industriale nei confronti di un mondo di 3°C o 4°C più caldo. C’è una differenza abissale».

Gli impegni nazionali di riduzione del carbonio nell’ambito del trattato di Parigi del 2015, non seguiti come si sarebbe dovuto, vedrebbero ormai  la temperatura della Terra crescere comunque di 2,7°C entro il 2100. Se gli sforzi per ridurre i gas serra vacillano, le temperature potrebbero aumentare di 4°C o più rispetto ai livelli della metà del 19° secolo. Questo riscaldamento porterebbe ad una crescita del livello marino sul lungo periodo da sei a nove metri e costringerebbe le città che attualmente ospitano quasi un miliardo di persone a costruire massicce difese contro il futuro innalzamento del livello del mare o a ricostruire in luoghi più elevati. Nella sola Cina, se la temperatura dovesse aumentare di 3°C vedrebbe 200 milioni di persone trovarsi inondati dall'alta marea. E in assenza di enormi dighe marine, i paesaggi urbani cinesi che ospitano decine di milioni di persone potrebbero diventare invivibili entro 80 anni.

Continua Strauss: «Non c’è dubbio che siamo messi male, ma non è mai troppo tardi per fare meglio». A livelli più elevati di riscaldamento, aumenta sostanzialmente il pericolo di innescare la disintegrazione irreversibile delle calotte glaciali o il rilascio di riserve naturali di CO2 e metano presenti nel permafrost, avvertono gli scienziati. Limitare il più possibile il riscaldamento globale ci fa guadagnare tempo per adattarci.

Le prove schiaccianti dei cambiamenti climatici in atto

Gli effetti del cambiamento climatico potrebbero già avere un impatto sull'85 per cento della popolazione mondiale e questo secondo un'analisi di decine di migliaia di studi scientifici. Un gruppo di ricercatori ha utilizzato l’“apprendimento automatico” per esaminare vaste raccolte di ricerche pubblicate tra il 1951 e il 2018 che riguardano l’ambiente e gli ecosistemi del nostro Pianeta e ha trovato circa 100mila studi che potenzialmente documentano prove degli effetti del cambiamento climatico sui sistemi della Terra anche se gli autori non se ne erano resi conto. La ricerca sui cambiamenti climatici e le sue conseguenze è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi decenni. Tra il 1951 e il 1990 «sono stati eseguiti circa 1.500 studi in totale», ha detto Callaghan, autore principale della ricerca pubblicata su Nature Climate Change, «mentre negli ultimi cinque anni circa abbiamo tra 75.000 e 85.000 studi, un aumento fenomenale. E questo ha permesso di avere prove schiaccianti che il cambiamento climatico sta interessando tutti i continenti, tutti i sistemi. C’è una enorme quantità di prove che mostravano i modi come questi impatti vengono avvertiti». I ricercatori hanno insegnato ad un computer come identificare studi rilevanti sul clima, generando un elenco di documenti con gli argomenti più diversi, dalla migrazione interrotta delle farfalle ai decessi di persone legati alle ondate di calore, fino ai cambiamenti della copertura forestale.

Le difficoltà dell’analisi di queste ricerche stanno nel fatto che solo raramente si trova un collegamento diretto con il riscaldamento globale e trovarlo non è semplice. Gli studi infatti, di solito si fermano all’individuazione di una variazione senza scendere nel merito delle cause. Callaghan e il gruppo di lavoro del Mercator Research Institute e del Climate Analytics si sono assunti questo compito estremamente complesso. Partendo dalle coordinate dei luoghi ove sono stati eseguiti gli studi, hanno diviso il globo in una griglia all’interno della quale Callaghan e colleghi hanno cercato di dare una risposta alle domande: «Lì dentro sta diventando più caldo o più freddo o più umido o più secco rispetto alla variabilità naturale?». Trovata la risposta hanno verificato se le trasformazioni in atto – se c’erano - corrispondevano alle aspettative dei modelli climatici. Ed è così che hanno scoperto che l'80 per cento del globo, che ospita l’85 per cento della popolazione mondiale, è stato studiato in seguito a profonde variazioni di tipo ecologico e ambientale legate ai cambiamenti di temperatura e precipitazioni dovuti al riscaldamento globale, anche se i vari ricercatori non sapevano quantificarlo. «La ricerca inoltre - ha affermato Callaghan -  ha documentato il modo sproporzionato degli studi degli impatti climatici realizzati in prossimità di nazioni ricche rispetto alle più povere e altamente vulnerabili. Ad esempio, nonostante che sia noto in termini generali che l'andamento delle temperature e delle precipitazioni in Africa è collegato al cambiamento climatico, non si hanno molti studi che documentino gli impatti di queste tendenze. È un punto cieco nella nostra conoscenza sugli impatti climatici che deve essere eliminato».

LICIACube sarà lì, al momento dell’impatto

La sonda italiana chiamata LICIACube da Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroids è stata installata nel razzo che lancerà la missione Dart della Nasa. Questa missione avrà il compito di sperimentare quel che succede se un oggetto viene sparato contro un piccolo asteroide. Lo scopo è di verificare se, nel caso in cui si scoprisse un asteroide in rotta di collisione con la Terra lo si potrà deviare facendo impattare su di esso un oggetto di grande massa. Questo avverrà quando Dart (la cui partenza è prevista per il 24 novembre 2021), nell’autunno del 2022, raggiungerà la piccola luna dell’asteroide Didymos, scontrandosi con esso ad una velocità di circa 21mila chilometri all’ora e ad una distanza di circa 10 milioni di chilometri dalla Terra. LICIACube sarà lì a raccogliere le immagini di quel che avverrà per poi inviarle ai ricercatori. È un progetto italiano, coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana e costruito da Argotec, che è stato selezionato dalla Nasa per partecipare alla missione DART. Il microsatellite italiano misura 30x20x10 centimetri e pesa 14 chilogrammi. È equipaggiato con due camere ottiche per raccogliere l’evento di grande importanza per la protezione della Terra da possibili impatti celesti.

Chi calpestò la spiaggia di Trachiolos oltre sei milioni di anni fa?

La storia di chi precedette l’homo sapiens è sempre più complessa quanto più si fanno scoperte e ricerche. Qualunque ritrovamento di ossa, impronte o reperti di nostri predecessori porta a nuove domande. È il caso di quanto venne scoperto nel 2017 quanto un gruppo di ricercatori portò alla luce oltre 50 impronte di essere bipedi sulla spiaggia di Trachiolos, sull’isola greca di Creta. I primi studi portarono ad una datazione che le faceva risalire a ominidi di 5,7 milioni di anni fa. Ma ora un nuovo studio, pubblicato su Scientific Reports, suggerisce che quelle tracce sono ancora più antiche e risalirebbero a 6,5 milioni di anni fa, il che le rende 350.000 anni più antiche di quanto si pensava inizialmente. Sappiamo che l’Homo sapiens deve essere comparso circa 300.000 anni fa e, anche la nostra specie cugina l’Homo neanderthalensis è apparsa solo circa 430.000-600.000 anni fa, quindi quelle impronte sono di un nostro “bis-bis-bis” antenato. I paleontologi al momento non sono riusciti a definire di chi potessero essere.  «Non possiamo escludere una connessione con il Graecopithecus freybergi, un pre-umano», ha affermato la paleontologa dell'Università di Tubinga Madelaine Böhme. Tuttavia, non tutti sono d'accordo sul fatto che si tratti di un antico ominide, e quando si tratta di impronte, a volte può essere difficile confermare una risposta. C’è chi ha suggerito che le tracce di Trachilos potrebbero essere state fatte da un primate non ominide, ma difficile dire chi potrebbe essere. Certo è che se fosse un ominide la storia della comparsa degli ominidi in Africa verrebbe messa fortemente in discussione a favore di chi (seppur pochi) sostengono che essi nacquero in Eurasia. Come si capisce 50 impronte possono rimettere in discussione l’intera storia dell’evoluzione umana.

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