I ghiacciai sono archivi naturali della storia del nostro pianeta: intrappolati nei loro strati di ghiaccio si trovano minuscole tracce di polline, polvere, aerosol, inquinanti e perfino indizi dell’attività umana. Ora, un gruppo internazionale di ricercatori ha estratto dal Dôme du Goûter, sul Monte Bianco, la più antica carota di ghiaccio mai rinvenuta nelle Alpi francesi, con reperti che risalgono a circa 12.000 anni fa, ovvero all’ultima era glaciale.

Lo studio, pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Pnas Nexus, dimostra che questo ghiacciaio conserva una registrazione intatta del clima e degli aerosol atmosferici dalla fine del Pleistocene fino ai giorni nostri, attraversando epoche di grandi cambiamenti naturali e antropici: lo sviluppo dell’agricoltura, l’industrializzazione e il recente riscaldamento globale.

Un archivio unico nel cuore dell’Europa

«Per la prima volta, abbiamo una registrazione alpina abbastanza completa della chimica atmosferica e delle precipitazioni che risale fino al Mesolitico”, spiega Joe McConnell, direttore dell’Ice Core Laboratory del Desert Research Institute (DRI) e coautore dello studio. «Questa carota copre un periodo cruciale della storia umana: il passaggio da una società di cacciatori-raccoglitori a quella agricola e industriale, proprio nel cuore dell’Europa occidentale, dove si è evoluta gran parte della civiltà occidentale». I ricercatori hanno analizzato una carota di ghiaccio lunga 40 metri, prelevata nel 1999 da un gruppo francese e conservata per oltre 20 anni in un congelatore prima di essere trasferita a Reno, in Nevada. Qui, grazie a tecniche avanzate di analisi a flusso continuo, il ghiaccio è stato fuso e analizzato chimicamente strato per strato.

Determinare l’età esatta degli strati di ghiaccio non è semplice. Il gruppo ha combinato diverse tecniche radiometriche e datazioni al radiocarbonio per stabilire una cronologia precisa. Siamo stati sollevati nello scoprire che, nonostante il clima eccezionalmente caldo del XX secolo, le basse temperature a oltre 4.300 metri di quota hanno preservato il ghiacciaio”, ha commentato Nathan Chellman, coautore dello studio.

Sorprendentemente, il ghiaccio alla base della carota – a 40 metri di profondità – è risultato molto più antico di quello prelevato a meno di 100 metri di distanza, al Col du Dôme, che risale a circa un secolo fa. Una differenza che gli scienziati attribuiscono alle forti correnti ventose sul Monte Bianco, capaci di rimuovere gli strati di ghiaccio più recenti.

Cosa rivela il ghiaccio

 L’analisi ha evidenziato la presenza di aerosol atmosferici – piccole particelle sospese nell’aria, come polveri desertiche, sali marini, residui vulcanici, fuliggine e inquinanti – con una precisione senza precedenti per la regione europea. Tali dati sono fondamentali per capire come le concentrazioni di queste particelle siano cambiate nel tempo e quale impatto abbiano avuto sul clima.

Durante l’ultima era glaciale, le concentrazioni di polveri erano circa otto volte superiori rispetto a quelle dell’attuale Olocene, smentendo i precedenti modelli climatici che ipotizzavano un semplice raddoppio. Secondo i ricercatori, la spiegazione più plausibile è l’aumento delle tempeste di sabbia provenienti dal Sahara, principale fonte di polveri per l’Europa.

Anche il fosforo ha raccontato una storia interessante: le sue concentrazioni erano basse durante l’era glaciale, aumentavano notevolmente durante l’inizio dell’Olocene (quando le foreste si espandevano grazie al clima più caldo) e diminuivano progressivamente nell’epoca moderna, a causa della deforestazione e della diffusione dell’agricoltura e dell’industria. Infine, i sali marini presenti nella carota hanno permesso di ricostruire i cambiamenti nei modelli dei venti nel corso dei millenni.

Durante l’era glaciale, i depositi di sale marino erano più alti, probabilmente a causa di venti occidentali più intensi sull’Europa occidentale.

Dati preziosi 

Se vogliamo davvero comprendere tutti i possibili scenari climatici, passati e futuri, abbiamo bisogno di modelli che catturino la vera variabilità del clima”, afferma McConnell. "Ma per valutare se un modello è realistico, dobbiamo confrontarlo con dati concreti. Ed è proprio qui che entrano in gioco le carote di ghiaccio".

Ora che la cronologia della carota è stata stabilita, i ricercatori del DRI continueranno ad analizzarla per ottenere nuovi dati sull’impatto delle attività umane, come i livelli di piombo e arsenico, e comprendere meglio la storia ambientale dell’Europa.

“È emozionante scoprire la prima carota di ghiaccio delle Alpi europee che conserva una registrazione intatta dal clima glaciale fino all’attuale periodo interglaciale”, ha dichiarato Susanne Preunkert, coautrice dello studio e membro del team che ha raccolto la carota nel 1999. Un archivio di ghiaccio che, dopo millenni di silenzio, ha finalmente cominciato a raccontare la sua storia.

Il caso TOI-1227b

Stelle e pianeti sono legati da una relazione gravitazionale che, nella maggior parte dei casi, li mantiene uniti in sistemi solari ordinati. Ma non sempre va così: alcuni pianeti finiscono per allontanarsi troppo dalla propria stella o avvicinarsi pericolosamente, con esiti spesso catastrofici. È in queste eccezioni che gli astronomi trovano indizi preziosi per comprendere l’evoluzione degli esopianeti, ossia i pianeti che ruotano attorno ad altre stelle. Negli ultimi anni, l’esplorazione oltre il Sistema Solare ha rivoluzionato la nostra visione del cosmo: con circa 6.000 esopianeti scoperti finora, abbiamo capito che il nostro sistema planetario è tutto fuorché rappresentativo. Esistono mondi con caratteristiche e orbite che sfidano i nostri modelli. Uno di questi è TOI-1227b.

Scoperto nel 2022 grazie ai dati del satellite TESS della NASA, TOI-1227b è un gigante gassoso delle dimensioni di Giove ma con una massa pari solo al 20 per cento di quella del nostro. Orbita attorno a una nana rossa (una piccola stella relativamente fredda e poco luminosa, che brucia lentamente l’idrogeno e può vivere per miliardi di anni) — tecnicamente una stella di tipo M — a circa 330 anni luce dalla Terra.

Ma non è la sua struttura a incuriosire gli scienziati, bensì la sua età: solo otto milioni di anni. Un neonato cosmico, il secondo esopianeta più giovane mai osservato in transito davanti alla propria stella. Purtroppo, questo giovane pianeta sta affrontando una crisi esistenziale. La sua orbita estremamente ravvicinata — solo un quinto della distanza tra Mercurio e il Sole — lo espone a una dose letale di radiazioni. Le nane M, infatti, sono note per il loro comportamento irrequieto: a causa della loro natura completamente convettiva, generano potenti campi magnetici e brillamenti che rilasciano intensi raggi X.

Una stella “killer”

«È quasi inimmaginabile ciò che sta accadendo a questo pianeta», ha dichiarato Attila Varga, autore principale dello studio in via di pubblicazione su The Astrophysical Journal e già disponibile su arXiv.org. «L’atmosfera del pianeta semplicemente non riesce a sopportare l’elevata dose di raggi X che riceve dalla sua stella».

Le osservazioni condotte dal team, comprendenti spettroscopia ottica e imaging a raggi X, hanno confermato che TOI-1227b sta perdendo massa atmosferica a un ritmo impressionante: circa un milione di tonnellate al secondo, ovvero due atmosfere terrestri ogni due secoli. Se la situazione non cambia, in un miliardo di anni il pianeta potrebbe perdere completamente la propria atmosfera.

Come sparisce un pianeta

Il processo di erosione atmosferica in atto su TOI-1227b è legato a diversi meccanismi innescati dai raggi X. Le molecole colpite vengono ionizzate e riscaldate, aumentando la temperatura dell’atmosfera fino a migliaia di gradi. L’atmosfera si espande e, raggiungendo una certa soglia, può iniziare a sfuggire alla gravità del pianeta.

Inoltre, i raggi X possono spezzare le molecole come l’acqua, liberando idrogeno che, essendo leggero, si disperde facilmente nello spazio. Anche il vento stellare gioca un ruolo: riscaldato dalla radiazione, acquista energia sufficiente per contribuire alla dispersione dell’atmosfera. «Un aspetto cruciale per comprendere i pianeti extrasolari è considerare l’effetto delle radiazioni ad alta energia, come i raggi X», sottolinea Joel Kastner, coautore dello studio. «Riteniamo che TOI-1227b sia un pianeta “gonfio” proprio a causa dell’assalto continuo della sua stella».

Un laboratorio naturale

TOI-1227b rappresenta un banco di prova unico per comprendere come le atmosfere planetarie si formino e si distruggano. Il suo futuro appare incerto: secondo Alexander Binks, coautore dell’Università di Tubinga, il pianeta potrebbe ridursi a un decimo delle sue dimensioni attuali, perdendo oltre il 10 per cento della sua massa  – anche se queste stime dipendono da variabili ancora poco note, come la massa effettiva del pianeta. Il caso di TOI-1227b è particolarmente rilevante anche per un altro motivo: potrebbe aiutare a spiegare una misteriosa “lacuna” nella distribuzione degli esopianeti.

Osservazioni precedenti hanno infatti mostrato che i pianeti con raggi compresi tra 1,5 e 2 volte quello terrestre sono insolitamente rari. Una delle ipotesi è che la fotoevaporazione, come quella in atto su TOI-1227b, giochi un ruolo decisivo nel ridimensionamento di questi corpi celesti. «Il sistema TOI-1227 è un punto di riferimento fondamentale per capire le primissime fasi dell’evoluzione planetaria attorno alle stelle di piccola massa», concludono i ricercatori.

«Serviranno osservazioni successive di controllo, sia spettroscopiche (analizzano la luce emessa o assorbita da un oggetto per identificarne composizione chimica, temperatura, velocità e movimenti), sia fotometriche (misurano la luminosità di un oggetto celeste nel tempo o in diverse lunghezze d’onda), per affinare la nostra comprensione della sua massa e dei tassi di perdita atmosferica».

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