In provincia di Terni, la società di Roberto Trovati aveva individuato un appezzamento ideale per realizzare un impianto fotovoltaico da 984,72 kilowatt: terreno incolto, classificato come agricolo ma non adatto alla coltivazione perché scosceso e troppo vicino a un bosco. Inoltre, l’azienda agricola proprietaria era gestita da persone anziane, a cui un reddito extra avrebbe fatto comodo. Ma – secondo Trovati – un decreto legge emanato lo scorso 21 novembre dal governo per delimitare le aree in cui sarà possibile installare nuovi impianti rischia di mandare tutto in fumo.

«Siccome ha una distanza dal bosco di meno di 500 metri, questo non si può fare più», spiega a Domani. Il decreto vieta alle Regioni, infatti, di permettere di installare impianti fotovoltaici entro mezzo chilometro dai beni tutelati dal Codice dei beni culturali, che include anche beni paesaggistici, come aree protette e paesaggi naturali. «Ma l’Umbria è la regione di San Francesco che parlava con il lupo a Gubbio, tranne che nei centri storici qui c'è tutto bosco», ribatte sarcastico l’ingegnere.

Trovati lavora nell’ambito del fotovoltaico da quasi vent’anni anni con le società Tetra Engineering e Tetra Service. Oggi in Umbria sta seguendo le pratiche di 35 diversi impianti fotovoltaici che vanno dai 590 kilowatt ai 990 kilowatt. E racconta che il decreto potrebbe avere un impatto devastante. «Fra i nostri impianti diretti e quelli che seguiamo per conto terzi, se ne salvano tre o quattro», dice.

Terreni agricoli e beni tutelati

Pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 21 novembre, il decreto legge 175 doveva sanare dei contenziosi legali a cui era andato incontro il provvedimento che l’aveva preceduto a novembre 2024, con lo scopo di semplificare i processi autorizzativi e velocizzare l’installazione di rinnovabili. A maggio, il Tar del Lazio aveva infatti indicato al governo di rimetterci mano, in quanto lasciava troppa discrezionalità nelle mani delle Regioni.

Con il nuovo decreto, il governo ha invece optato per una revisione complessiva del provvedimento. Ora sarà possibile realizzare installazioni in cave, miniere esaurite, aree con impianti già esistenti, degradate o dismesse. Si apre inoltre alla possibilità di realizzare installazioni su zone individuate dall’agenzia del demanio e dai gestori di aree con infrastrutture ferroviarie o concessioni statali, oltre che a beni di proprietà militare. Per i pannelli solari, sono inoltre considerate aree idonee quelle interne agli stabilimenti industriali sottoposti al procedimento amministrativo dell’autorizzazione integrata ambientale (Aia), quelle entro 300 metri dalla rete autostradale e tutte le aree a destinazione industriale, direzionale, artigianale, commerciale o logistica.

Le regioni hanno poi 120 giorni per individuare ulteriori aree. Ma il provvedimento stabilisce che non sarà possibile per loro permettere di installare impianti eolici entro tre chilometri da un bene tutelato dal Codice dei beni culturali, e impianti fotovoltaici entro 500 metri.

Per quanto riguarda i terreni agricoli, invece, l’installazione di impianti fotovoltaici a terra è permessa solo a progetti realizzati con il Pnrr o per la creazione di Comunità energetiche rinnovabili (Cer). È invece permessa l’installazione di impianti agrivoltaici elevati, ovvero di impianti che permettono l’attività agricola o pastorale nella zona di installazione.

L’Umbria è completamente non idonea

Non tutte le regioni sembrano però aver particolarmente gradito il provvedimento. A pochi giorni dalla pubblicazione, l’assessore all’Ambiente dell’Umbria, Thomas De Luca, ha scritto immediatamente ai suoi comuni per informarli che, con le disposizioni attuali, sarà praticamente impossibile installare qualunque impianto aggiuntivo.

«In base a una mappa allegata alla lettera inviata ai Comuni è possibile evincere che solo il 4 per cento dell’Umbria sarebbe individuabile come area idonea per l'installazione di impianti a fonti energetiche rinnovabili», scrive De Luca. La Regione si trova così nel bel mezzo di un paradosso: da un lato, deve quadruplicare la potenza installata per raggiungere gli obiettivi del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec). Dall’altro, secondo l’assessore, vede bloccati tutti i progetti.

De Luca è critico soprattutto con la disposizione che non permette alle Regioni di installare in alcun caso pannelli a meno di 500 metri da un bene tutelato. «In aree già antropizzate, si crea una sostanziale difficoltà a poter realizzare un impianto», dice.

Al contrario, teme che con il decreto si possa dare via libera all’espansione incontrollata di grandi impianti agrivoltaici. «Il nostro equilibrio era basato su un forte intervento regolatorio nei confronti del grande eolico e del grande agrivoltaico, e al tempo stesso una liberalizzazione molto ampia dei piccoli e medi impianti – spiega a Domani – ora l’equilibrio è stato invertito».

L’11 dicembre il Consiglio regionale umbro ha così votato una mozione per chiedere al governo di rivedere alcune delle norme contenute nel decreto. Parere che, racconta De Luca a Domani, sarebbe stato condiviso da un ampio numero di Regioni durante l’ultima commissione Ambiente della Conferenza Stato-Regioni.

Missione impossibile?

Caustiche sono state anche le associazioni delle imprese che operano nella filiera delle energie rinnovabili.

Audito dalla commissione Ambiente del Senato lo scorso 2 dicembre, Luciano Barra, responsabile legislativo di Italia solare, ha sottolineato come il divieto generalizzato di installare fotovoltaico a terra in aree agricole continui a bloccare progetti anche su terreni non coltivabili o non utilizzati, impedendo perfino la realizzazione di impianti per l’autoconsumo delle imprese.

Allo stesso tempo, i limiti all’utilizzo delle aree circostanti alle aziende sono considerati «privi di giustificazione tecnica». Il divieto di individuare come aree idonee quelle a 500 metri da beni sottoposti a tutele rende poi «quasi impossibile raggiungere i target assegnati». Infine, l’associazione sottolinea come non ci sia alcun meccanismo per salvaguardare gli investimenti già avviati, e questo lascia nel limbo centinaia di progetti sviluppati sulla base delle norme precedenti.

Sullo stesso tono anche associazioni imprenditoriali come Confindustria. Per il vicepresidente Marco Nocivelli, «le disposizioni dell’articolo 2 rischiano di bloccarne la funzione di semplificazione, i progetti in pipeline e aumentare il costo dell’energia, che è una delle principali criticità dell’industria italiana».

I critici sperano che la discussione in Senato possa smorzare alcuni di questi aspetti. Per ora, Trovati ironizza per sciogliere la preoccupazione. Per portarsi avanti con i lavori, la sua azienda ha infatti già acquistato 20mila pannelli fotovoltaici: «Forse farò in modo di farli recapitare ai membri del governo e vedere che cosa ci fanno».

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