Forse non aveva più di vent’anni la donna che ha attraversato la pianura fangosa con in braccio un bambino di tre anni. A un certo punto lo mette a terra per riprendere fiato. Ma ha troppa paura per fermarsi a lungo.

I due sono soli e per questo sono un facile bersaglio per le tigri dai denti a sciabola che potrebbero nascondersi nelle vicinanze. La ragazza prende di nuovo in braccio il bambino e si affretta, svanendo in lontananza. Per un po’ ritorna il silenzio. Poi un gigantesco bradipo terrestre arranca attraverso lo stesso sentiero. È probabile che l’animale percepisca l’odore della donna e la stia seguendo, ma ciò nonostante lui stesso si sente braccato da possibili cacciatori umani.

Non c’è nulla di inventato in tutto questo: è una scena di nostri antichissimi avi ricostruita semplicemente studiando le loro impronte. Una strada importantissima per cercare di ricostruire non solo come erano, ma anche per conoscere la loro vita quotidiana. Non c’è ossa o traccia che possa raccontarci i sentimenti di quel mondo lontano, ma oggi paleontologi, paleoantropologi, archeologi e ricercatori di varie discipline stanno iniziando a ricostruire proprio ciò che i fossili non ci dicono.

Rinnovato interesse scientifico

Le tracce, tanto per iniziare, hanno un ordine, il che significa che gli eventi possono essere letti come una narrazione. E la storia di quella donna, del bambino e del bradipo gigante non è certo l’unico esempio. Un’esplosione di scoperte di impronte sta rivelando un nuovo ritratto del lontano passato, dalla divisione del lavoro tra i sessi alla fine dell’età della pietra al comportamento di animali estinti da tempo.

Gli archeologi sanno da decenni quanto siano importanti le impronte fossilizzate. Nel 1976 un gruppo di ricerca scoprì impronte che avevano un’età di 3,7 milioni di anni, a Laetoli, un sito paleontologico della Tanzania. Risultarono di estrema importanza per dimostrare che una delle prime specie di ominidi –  chiamata Australopithecus afarensis, di cui l’esempio più noto è il fossile di nome Lucy – camminava su due gambe anziché a quattro zampe.

A quel tempo, le impronte venivano studiate per ricostruire gli elementi anatomici di una specie, oltre a identificare dove e quando visse. Ma la scoperta di Laetoli non innescò la ricerca di simili impronte ancora più antiche. «Si pensava che fossero rare, un’eccezione e difficilissime da trovare», afferma Matthew Bennett della Bournemouth University, nel Regno Unito. «Il fatto che pochi ricercatori si siano impegnati a cercarne altre è stato un vero peccato», dice Bennett. 

«Sono state prodotte quantità enormi di impronte antiche, forse un milione a persona ogni anno, quindi se anche solo una piccola parte si è fossilizzata, ce ne devono essere, comunque, tantissime», afferma Kevin Hatala della Chatham University di Pittsburgh, in Pennsylvania. 

Dunque, sebbene per decenni la ricerca di impronte antiche non sia stata una priorità per gli archeologi, le cose stanno finalmente cambiando. Gli ultimi venti anni infatti, hanno visto un’esplosione senza precedenti del numero di siti dove sono presenti impronte molto antiche. Sono state trovate in quasi ogni angolo del mondo: in Africa, Europa, nella penisola arabica, in Australia e nelle Americhe. E via via nel tempo le ricerche hanno fatto scoprire elementi sempre più intimi di chi le lasciò.

Come leggere le impronte

Una delle modalità con cui le impronte si preservano nel tempo è, ad esempio, camminando su una coltre di cenere di un’eruzione vulcanica, la quale poi, può indurirsi come cemento rapido se viene esposta all’umidità. Così si sono fossilizzate le impronte di Laetoli, ma questo processo, a dire il vero, è molto raro. 

È molto più comune che impronte nella sabbia bagnata o nel fango vengano rapidamente ricoperte da sabbia secca e polvere trasportate da una tempesta. In tal modo i calchi vengono sepolti e fossilizzati. Altri processi geologici possono poi spingerli di nuovo in superficie.

Da esperimenti di laboratorio sappiamo che le dimensioni e la forma del piede permettono di risalire alle dimensioni del corpo in modo abbastanza accurato. E poiché le dimensioni corporee generalmente differiscono tra i sessi, è possibile risalire al sesso dell’individuo che ha lasciato impronte.

La lunghezza del piede è sempre stata circa il 15 per cento dell’altezza della persona, mentre la distanza tra le impronte fatte dallo stesso piede consente di stimare la velocità di camminata o di corsa. «Le impronte riflettono quanto sei alto, la tua età, il tuo sesso, potenzialmente anche il tuo peso», afferma l’archeologa Ashleigh Wiseman dell’Università di Cambridge.

Alcuni studi

Questi elementi sono stati utilizzati durante uno studio del 2020 su oltre 400 impronte in un sito della Tanzania chiamato Engare Sero. Kevin Hatala e i suoi colleghi hanno utilizzato quanto finora conosciuto sulle impronte umane per ricostruire una scena di circa 12mila anni fa. Hanno scoperto che le tracce appartenevano ad almeno diciassette persone della nostra specie Homo sapiens, rendendo questa la più grande collezione di antiche impronte umane mai trovata in Africa. 

I ricercatori hanno concluso che il gruppo era probabilmente composto da quattordici donne, due uomini e un giovane. Tutti i membri del gruppo stavano camminando alla stessa velocità, da 1,2 a 1,5 metri al secondo, il che suggerisce che stessero viaggiando insieme.

Con queste prove certe, i ricercatori hanno iniziato a porsi la domanda su cosa stessero facendo. Partendo dal fatto che in alcune comunità di cacciatori-raccoglitori che vissero più vicine a noi, gruppi di donne spesso lavoravano insieme per cercare cibo, si è dedotto fossero alla sua ricerca. «Non so se esistono altre prove archeologiche che ti permettono di arrivare a simili deduzioni», afferma Hatala su NewScientist. 

Alcune delle impronte più emozionanti per quel che raccontano, sono state trovate in un sito chiamato White Sands national park nel New Mexico. In quella zona vi è un enorme lago prosciugato dove da tempo è nota la presenza di impronte fossili di antichi animali. Nel 2017, David Bustos, che lavora con il National park service a White Sands, ha scoperto più di un’area con impronte umane. «In un caso abbiamo trovato impronte che appartengono a un paio di adulti e a un gruppo di bambini», afferma Bennett. Il genere di cose che ti aspetteresti da una famiglia durante una passeggiata domenicale. 

La storia della donna e il bradipo

Un’altra serie di impronte invece, ha permesso di ricostruire una storia completamente diversa. Le tracce apparterrebbero a una giovane donna, a un bambino e a un bradipo di terra. Bennett e Bustos identificarono due serie di binari di impronte: una diretta all’incirca a nord per almeno 1,5 chilometri; l’altra, a meno di un metro, che percorreva parallelamente la stessa strada verso sud.

I ricercatori hanno dedotto che le impronte verso nord sono state lasciate prima, perché sono incrociate e parzialmente distorte dalle impronte lasciate da due grandi animali: un mammut e un gigantesco bradipo terrestre.

Le impronte umane verso sud, al contrario, si trovano sopra le impronte degli animali. Le analisi statistiche hanno permesso di affermare che molto probabilmente vennero lasciate dalla stessa persona. «Il fatto che quell’individuo non abbia deviato dal proprio corso in nessuno dei due viaggi è significativo», afferma Bennett. «È come se dicesse: sono in missione». 

Chi era quella persona? Bennett e il suo gruppo di lavoro hanno stabilito che si sia trattato di un individuo snello, probabilmente una giovane donna. Ed è anche chiaro che aveva fretta. Studiando le impronte, si è potuto stabilire che il suo ritmo era di 1,7 metri al secondo, più veloce della velocità media di una camminata moderna. Il percorso inoltre era impegnativo: le impronte raccontano che la donna è scivolata più volte mentre percorreva la sua strada. «Senza dubbio aveva fretta», dice Bennett.

Ma qual era la sua missione? Durante il viaggio verso nord, alcune delle impronte del piede sinistro mostrano uno scivolamento rotatorio nel fango morbido, dando loro una forma a banana. Bennett sospetta che fosse sbilanciata alla sua sinistra perché portava un peso sull’anca. E in alcuni punti del suo viaggio verso nord, si scopre cosa fosse quel peso: sono le impronte appartenenti a un bambino di non più di 3 anni.

Sembra che la donna stesse portando il bambino in braccio e di tanto in tanto lo deponesse, forse per riposare. Non è nota la destinazione della donna. Le impronte verso nord svaniscono nell’area della base missilitica di White Sands. Ma non ci sono indicazioni che la donna stesse ancora portando il bambino durante il ritorno. Forse il bambino fu consegnato a qualcuno? In ogni caso, la donna è tornata da sola.

Bennett sottolinea che c’è sempre il rischio di spingere troppo oltre l’analisi delle impronte, alla ricerca di una storia accattivante, quella che chiama “paleo-poesia”. Si è tentati di sostenere che la donna si sia affrettata perché avesse paura delle tigri dai denti a sciabola, ma non lo sapremo mai con certezza. Tuttavia, lo studio delle impronte ci sta avvicinando alle probabili emozioni di quegli antichi avi.

Se la ricostruzione è corretta la scoperta racconta anche come la paura aleggiava nell’aria quel giorno. Il gigantesco bradipo terrestre si è comportato in modo strano quando ha attraversato le tracce della donna. Le sue impronte mostrano che si è sollevato sulle zampe posteriori e ha compiuto un movimento in cerchio. «La conclusione ovvia», dice Bennett, «è che aveva captato l’odore della donna e, in ansia per la possibile presenza di cacciatori, stava scrutando il paesaggio». 

Altre impronte studiate da Bennet a White Sands raccontano anche momenti di gioia. In lavori inediti, Bennett racconterà di aver trovato una caotica mescolanza di impronte appartenenti a un gruppo di bambini, il più grande dei quali non aveva più di 6 anni. Le minuscole impronte sono focalizzate su grandi impronte lasciate da un altro bradipo di terra. La conclusione logica, dice Bennett, è che i bambini stavano sguazzando nelle pozzanghere fangose ​​lasciate nelle profonde impronte dell’animale. «Ai bambini è sempre piaciuto saltare nelle pozzanghere», afferma Bennett. 

Lo studio delle impronte dunque, ci sta facendo rivivere momenti di vita quotidiana di decine se non centinaia di migliaia di anni fa, che fino a pochissimi anni fa sembravano impossibili da ricostruire.

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