Nel 2021 l’Italia ha usato 76,118 miliardi di metri cubi di gas, se venissero a mancare i quasi 30 miliardi che arrivano dalla Russia sarebbe un problema: i primi progetti per sostituire il metano che ci arriva da Putin non sarebbero pronti prima di qualche mese, mentre la compensazione totale non si raggiungerebbe prima dei tre anni.

I consumi negli anni sono leggermente aumentati. Il confronto con il 2020 non è molto utile, visto che l’anno in cui è scoppiata la pandemia c’è stato un crollo, ma rispetto al 2019, la ripresa economica nel 2021 ha fatto segnare quasi 2 miliardi di metri cubi in più.

Tra tubi e metaniere, le navi che trasportano gas naturale liquefatto (Gnl), non è chiaro come si potrebbe compensare la quota russa. I tubi si riforniscono da paesi che difficilmente possono fare di più, il Gnl arriva via mare ma è soggetto a forti oscillazioni di prezzo.

L’Italia è comunque destinata a dipendere da altri paesi, visto che importa il 95 per cento del metano che usa.

I gasdotti

Del gas estero, l’80 per cento è importato tramite gasdotti: i principali sono il Tag, attraverso l’Austria; il Transitgas, che si collega all’interconnessione tra Germania e Francia; il Transmed, dall’Algeria; il Greenstream, dalla Libia e il Tap, che trasporta gas dall’Azerbaigian.

Il punto di ingresso del metano russo è il gasdotto che approda a Tarvisio, il “Tag”, Trans Austria Gas Pipeline, che unisce la Russia, l’Austria, la Slovenia e l’Italia. L’anno scorso ha trasportato meno di 29 miliardi di metri cubi di metano, ma la capienza massima arriva a 40 miliardi.

Poi c’è il gasdotto Transmed, chiamato anche “Enrico Mattei” dallo storico fondatore dell’Eni. Per il 2021 ha trasportato 21 miliardi di metri cubi di gas che hanno coperto il 16 per cento dei consumi. Il gasdotto ha una capienza massima di 33 miliardi di metri cubi.

A Passo Gries arriva il Trans Europa Naturgas Pipeline o Transitgas, da cui riceviamo il gas nord Europa. È di quasi 20 miliardi di metri cubi all’anno, ma da lì i quantitativi di metano sono andati via via assottigliandosi: da 11 miliardi di metri cubi nel 2019 ai 2,1 del 2021.

Il Greenstream che rifornisce dalla Libia e arriva a Gela (Sicilia) può trasportare circa 10 miliardi di metri cubi all’anno, ma l’instabilità politica ed economica libica hanno ridotto il suo contributo da oltre 5 miliardi di metri cubi nel 2019 ai 3,2 dell’anno scorso.

Il Tap, osteggiato per anni dai cittadini di Melendugno, dove approda in Puglia, è entrato in funzione nel 2020. L’anno scorso ha raggiunto i 7 miliardi di metri cubi, a pieno regime può sfiorare i dieci.

Il gas naturale liquido

La restante parte è importata sotto forma di Gnl, gas naturale liquido. Attualmente, come ha ricordato anche il presidente del Consiglio Mario Draghi, abbiamo tre rigassificatori, il che non lascia grande spazio di manovra: Olt Lng, al largo di Livorno, Panigaglia, e Adriatic Lng, a Rovigo.

Il primo ha una capacità di rigassificazione autorizzata che arriva a 3,75 miliardi di metri cubi all’anno. L’anno scorso non ha funzionato a pieno carico, arrivando a 1,4 miliardi di metri cubi. Di grandezza simile il rigassificatore di Panigaglia. Il terminal ha una capacità di 3,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, e anche questo l’anno scorso è stato sottoutilizzato. Entrambi infatti hanno spazi di approdo per le metaniere più piccole e non è detto che il mercato renda convenienti i carichi verso i due terminali.

Ha funzionato a pieno regime il rigassificatore di Rovigo, da circa 8 miliardi di metri cubi di gas, e adesso, dice Alfredo Balena, direttore relazioni esterne «stiamo ampliando la nostra capacità di rigassificazione a 9 miliardi di metri cubi l’anno, senza dover apportare modifiche strutturali». L’autorizzazione è arrivata a dicembre 2021 e «ora stiamo provvedendo all’ottemperanza delle prescrizioni previste». La nuova capacità potrebbe essere disponibile perciò tra poche settimane.

Le metaniere arrivano da diversi paesi: Qatar, Norvegia, Stati Uniti, ma anche Trinidad de Tobago ed Egitto. Di fatto il prezzo resta una variabile fondamentale perché sia conveniente rispetto al gas contrattualizzato via tubo. Gli Stati Uniti si sono offerti di aiutare, ma finora non è chiaro a quali condizioni commerciali.

Il metano italiano

In questo scenario si inserisce il metano italiano, che attualmente si ferma a circa 3 miliardi di metri cubi. Draghi si è lamentato che le estrazioni sono andate diminuendo negli ultimi 20 anni lasciando spazio alla Russia, ma questa è una legittima scelta. L’Italia ha espresso il suo no con sempre maggiore fermezza. Il più evidente nel 2016: già prima che ci fosse il cosiddetto “referendum trivelle”, il governo Renzi aveva vietato le estrazioni all’interno delle 12 miglia marittime come chiesto dal Coordinamento No Triv. Una vittoria per gli ambientalisti, anche se al referendum manca il quorum.

Nonostante questa radicata ostilità ai nuovi progetti, il governo Draghi ha varato il Piano per la transizione energetica delle aree idonee (Pitesai) per far ripartire la prospezione e la ricerca di gas (e petrolio) dove possibile, mentre un recente decreto ha tracciato una strada semplificata per incrementare le estrazioni nei siti già operativi. L’incremento sarebbe prima di 2 miliardi di metri cubi e in futuro si punta al raddoppio.

Gli stoccaggi

All’import e alla produzione, sul fronte sicurezza si aggiunge il sistema di stoccaggio, che garantisce il bilanciamento giornaliero assicurando la copertura nella stagione invernale e comunque continuità e sicurezza delle forniture. La capacità di stoccaggio prima che arrivasse l’inverno è arrivata al 75 per cento del totale  – circa 19 miliardi di metri cubi - la media europea è del 65 per cento, dunque siamo stati più accorti. Tuttavia è rimasta inferiore alla media degli anni precedenti: nessuno si aspettava che la Russia avrebbe cominciato a ridurre il flussi, così il governo ha deciso di rendere obbligatorio il riempimento al 90 per cento in vista dell’inverno 2022-2023. Al momento, ha detto Draghi, esclusa la riserva strategica di 4,5 miliardi, abbiamo da parte 2,5 miliardi di metano.

Algeria, Azerbaigian e Gnl

Di fronte all’ipotesi che venga meno il metano russo, l’esecutivo è pronto a non lasciare intentata nessuna strada. La prima, apparentemente più praticabile, è quella che parte dall’Algeria. Il ministro degli Esteri Luigi di Maio, dopo una missione lunedì scorso, ha detto che la partnership energetica migliorerà.

A quanto risulta a Domani, tuttavia, durante l’incontro con i vertici algerini a cui ha partecipato anche l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, si è parlato di incrementare la produzione nazionale in vista di un eventuale aumento delle forniture all’Italia. L’Algeria però ha tutta la sua capacità già contrattualizzata, mentre crescono i consumi interni: se arriverà gas non sarà dall’oggi al domani. L’Italia spera che possa arrivarne di più entro l’inverno, ma non è chiaro quanto. Poi si parla del raddoppio del Tap e avere così più gas azero. Anche in questo caso la strada è tecnicamente possibile ma porterebbe nuovo metano non prima di tre anni.

Nel dibattito sono entrate le ipotesi di nuovi impianti di rigassificazione. In settimana l’amministratore delegato dell’Enel Francesco Starace lo ha proposto con un articolo sul Corriere. Un progetto esistente, quello di Porto Empedocle, riguarda direttamente la sua società.

Ci sono poi il progetto di rigassificatore di Gioia Tauro – di Sorgenia e Iren – infine quello di Api a Falconara, dove la società ha anche una raffineria. Per tutti questi, ammette Starace, è impossibile immaginare che diventino operativi prima di tre anni. Di fronte a questa incertezza, il think tank sul clima Ecco ha suggerito un’altra strada: «È necessario dare priorità al risparmio di calore ed elettricità in tutti i settori». Insieme a un piano di efficienza energetica strutturale, alle opzioni gas attualmente esistenti e a nuovi impianti di energia rinnovabile, permetterebbe all’Italia di mettere sul tavolo «un’opzione pacifica» per svincolarsi dalle forniture russe entro il prossimo inverno, mettendoci sulla giusta strada per l’addio alle fonti fossili. E per questo, sottolinea il think tank, siamo tutti responsabili.

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