Il parlamento il 4 aprile ha approvato un decreto legge che interviene di nuovo, correggendo il provvedimento dello scorso febbraio che aveva abolito la cedibilità dei crediti di imposta, sul Superbonus 110 per cento con lo scopo di agevolare la fuoriuscita da uno schema di cui tardivamente si è riconosciuta l’insostenibilità finanziaria.

Va bene superare il Superbonus ma l’efficienza energetica degli edifici resta un obiettivo essenziale per la transizione ecologica. Cosa fare per il futuro? Prendere sul serio la direttiva della Commissione che il Parlamento europeo ha approvato a marzo, invece di gridare alla “patrimoniale occulta”.

La direttiva richiede ai singoli paesi di predisporre piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, che dovranno comprendere la rassegna del parco immobiliare nazionale e una tabella di marcia per i prossimi decenni, fino al 2050. Vengono fissati due obiettivi intermedi: per tutti gli edifici di proprietà pubblica entro il 2026 il raggiungimento della classe energetica E ed entro il 2029 della classe D; per gli immobili residenziali (con una lunga serie di esenzioni) il raggiungimento della classe E entro fine 2029 e della classe D entro fine 2032.

Un approccio opposto

Sono obiettivi incompatibili con l’approccio finora seguito che trascura il patrimonio immobiliare pubblico e eroga sussidi a pioggia ai privati, senza alcuna selettività né in termini di potenzialità di risparmio energetico – come riportato dall’Ufficio parlamentare di bilancio il 70 per cento dei risparmi energetici sono stati realizzati dal 28 per cento della spesa –  né di condizioni economiche dei beneficiari.

Bisogna, invece, concentrare le risorse. Per cominciare abolendo le agevolazioni edilizie diverse da eco-bonus, sisma-bonus e barriere architettoniche. Se decido di spostare una parete in casa, non si vede perché mai dovrei usufruire di un contributo dal bilancio pubblico, per non parlare dell’arredamento.  

Abbandonare le detrazioni fiscali

La questione della povertà energetica è particolarmente critica vista l’abolizione della cedibilità dei crediti e, quindi, dello sconto in fattura che consentiva ai più poveri di accedere alle agevolazioni. Tuttavia, se si assume un’ottica di lungo periodo, le ragioni di usare lo strumento delle detrazioni fiscali per spalmare nel tempo gli oneri sul bilancio pubblico vengono meno. È anzi opportuno, per ragioni di trasparenza dell’impatto sul bilancio e per ridurre i costi di intermediazione finanziaria, utilizzare sussidi diretti, cioèspesa pubblica.

Lo spazio finanziario attuale sarebbe comunque significativo. L’onere annuale (dati 2020) per detrazioni edilizie, esclusi i due bonus più generosi, è di 10 miliardi, di cui 2 miliardi per risparmio energetico. L’abolizione delle agevolazioni diverse dall’ecobonus 65 per cento comporterebbe a medio termine quindi uno spazio di circa otto miliardi all’anno. Va poi considerato che per i prossimi quattro anni si sono liberati (contabilmente) 14 miliardi annui per effetto delle nuove modalità di registrazione dei crediti fiscali. Vi è poi la possibilità, prevista dalla direttiva, di utilizzare finanziamenti europei.

Cosa implicano queste risorse in termini di volumi fisici di attività e se saranno sufficienti a garantire il conseguimento degli obiettivi fissati dalla direttiva non è possibile determinarlo con le informazioni disponibili. Non è definita la classificazione degli edifici e mancano dati sull’incrocio tra prestazioni energetiche delle abitazioni e situazione reddituale degli abitanti. Lo sforzo di sistemazione delle informazioni, che dovrebbe per prima cosa realizzare l’incrocio dei dati Enea con quelli dell’Agenzia delle entrate-territorio, sarebbe il primo compito del piano nazionale.

Selezionare chi ha diritto al sussidio

La base per un nuovo schema dovrebbe essere l’Ecobonus 65 per cento trasformato da detrazione in sussidio diretto permanente, soggetto a un tetto di spesa annuale per il bilancio pubblico e limitato nei primi anni agli edifici delle classi energetiche G e F. La selettività rispetto alle condizioni economiche dei beneficiari, misurate da un indicatore di reddito familiare come l’Isee, può essere realizzata prevedendo tre fasce: 50 per cento, 65 per cento e 80 per cento.

Il sussidio dovrà essere integrato con schemi come quello che la direttiva denomina pay-as-you-save (in pratica, la cessione al distributore di energia elettrica dei risparmi energetici conseguiti) e prestiti agevolati. La combinazione di sussidio e schema pay-as-you-save dovrebbe garantire per la fascia più vulnerabile della popolazione la copertura dell’intera spesa. Per il resto ci dovrà essere un contributo dei privati, supportato da prestiti agevolati, anche a tasso zero e con garanzia pubblica.

La regia pubblica

Un aspetto fondamentale è la regia pubblica di tutto il programma. Nell’esperienza italiana, è finora mancata e ci si è affidati all’interazione spontanea tra proprietari delle abitazioni e imprese.  Mancano completamente controlli sia ex ante che ex post. Nella direttiva si prevede l’istituzione di sportelli unici, uno ogni 45mila abitanti (in Italia sarebbero circa 1300 uffici), che offrano gratuitamente servizi integrati di ristrutturazione energetica e consulenze in ambito energetico. Qualcosa del genere esiste in Francia dal 2022 (550 Espaces Conseil in tutto il territorio) per la realizzazione del programma France Renov. Molta enfasi è dedicata poi ai controlli ex post: ogni stato membro dovrà istituire un sistema di controllo indipendente al fine di assicurare la qualità degli attestati di prestazione energetica e l'ispezione delle caratteristiche termiche degli impianti di riscaldamento e condizionamento d'aria.

Volendo, insomma, ci sarebbe modo di affrontare seriamente la questione ma ciò richiede capacità e volontà di ragionare con un’ottica che guardi al futuro.   

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