Nel tornante storico segnato dalla conversione ecologica, l’Italia ha la possibilità di scegliere un nuovo modello di sviluppo che la aiuti a uscire dal declino. Del passaggio all’elettrico, nel medio e lungo periodo, beneficerebbe infatti non solo l’ambiente, come è ovvio, ma la nostra economia. L’Italia soffre, storicamente, di carenza di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas) e per di più ha rinunciato al nucleare (e recuperare, anche volendo, richiede tempo e non conviene).

Ma l’Italia, rispetto a Francia, Germania e paesi del nord Europa, ha un vantaggio comparativo nell’energia solare, la principale delle fonti rinnovabili. Noi abbiamo anche alcune imprese avanzate da questo punto di vista. Sia pubbliche: Enel (pannelli solari e centrali elettriche integrate), Terna (collegamenti elettrici sottomarini). Sia private: Elettricità Futura, cui fanno capo oltre 500 aziende e 400 addetti. E abbiamo la possibilità di investire nelle migliori tecnologie, come l’acciaio verde.

La scelta insomma non è fra la decrescita ambientale e la crescita fossile. Ma fra il declino fossile (già in atto) e la svolta ecologica. Perché questo si realizzi, tuttavia, occorrono spese e investimenti pubblici, ben calibrati e in accordo con l’Europa, e una precisa strategia industriale. Il governo Meloni ha scelto la strada opposta. Quanto alle strategie industriali, preferisce assecondare la filiera delle fonti fossili, a partire dall’Eni.

E nelle negoziazioni europee, anziché chiedere nuovi investimenti per la conversione ecologica, punta solo a ritardare la (inevitabile) affermazione delle nuove tecnologie. Con il risultato che l’Italia si troverà ancora più indietro. Sull’auto elettrica, abbiamo assistito a una rinascita del luddismo, cioè la difesa a lungo termine di una tecnologia antiquata per paura di perdere posti di lavoro, supportato (come nei casi da manuale di declino economico) dai principali organi di informazione.

Sulle abitazioni, a maggior ragione dopo la direttiva europea, occorrerebbe ricalibrare il Superbonus: orientandolo a favore delle classi meno abbienti e delle case meno efficienti; limitandolo solo agli impianti rinnovabili, escludendo le caldaie a gas; sostituendo l’intermediazione bancaria (più costosa) con quella pubblica, in cambio di controlli sui prezzi. Infine, gli investimenti che la conversione ecologica richiede non possono venire solo dall’Europa.

Occorrono risorse nazionali. Ma dalla riforma fiscale che il governo immagina, le risorse si ridurranno: e in modo ingiusto, peraltro, dato che la flat tax avvantaggia solo i più ricchi. Scientemente, per convenienze di breve periodo, in ogni campo il governo Meloni rema contro la conversione ecologica e quindi contro l’interesse nazionale.

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