Le disuguaglianze – di salute, di opportunità di crescita e sviluppo – sono presenti già alla nascita e aumentano con l’età in assenza di interventi. Nel 2018 la mortalità nel primo anno di vita era del 2,2 per mille nati vivi nelle regioni del nord e del 3,6 nelle regioni del sud, con punte del 4 in Sicilia e Calabria.

La maggiore mortalità al sud è dovuta a differenze sia di reddito e istruzione sia di organizzazione e qualità dei servizi: il 41,7 per cento dei punti nascita con meno di 500 parti/anno, al di sotto del requisito minimo di sicurezza per le cure perinatali, si trova nelle regioni del sud e le indagini hanno messo in evidenza che il 38 per cento dei decessi perinatali poteva essere evitato in Sicilia, l’11 per cento in Lombardia e lo 0 per cento in Toscana.

I bambini con genitori di cittadinanza non italiana hanno un rischio di morire nel primo anno doppio rispetto ai figli di genitori autoctoni se nati al sud, e del 50 per cento in più se nati al nord. Alle disuguaglianze nella mortalità infantile corrispondono – le cause sono infatti le stesse – disuguaglianze sia in altri esiti di salute sfavorevoli – disabilità, patologie croniche e loro conseguenze – sia nelle difficoltà di sviluppo cognitivo e socio-emotivo.

Le competenze

Quanto queste ultime siano diffuse, abbiano un’origine precoce e influiscano negativamente sugli itinerari di vita individuali e sulle comunità di appartenenza è poco noto tra i non addetti ai lavori.

Ancora meno noti sono i fattori, ambientali prima ancora che genetici, che determinano il mancato sviluppo di competenze essenziali e soprattutto l’esistenza di interventi efficaci per prevenire questo che è un grave danno per i bambini che lo subiscono e uno spreco per le comunità di appartenenza.

Alcuni dati possono essere utili a descrivere l’entità del problema: nel 2019, una indagine condotta da Save the Children ha documentato, su un campione di 673 bambini con un’età media di soli 4 anni, differenze significative – correlate allo stato socio-economico, alla posizione occupazionale e al livello di istruzione dei genitori – nelle competenze preparatorie alla lettura, alla scrittura, al calcolo e alla soluzione di problemi e in quelle socio-emotive.

Il gap si accentua negli anni successivi, come dimostrano le indagini Invalsi: a 15 anni la proporzione di ragazzi che raggiungono un livello di competenze sufficiente è meno della metà in bambini appartenenti al 25 per cento più svantaggiato, per livello socio-economico e culturale, delle famiglie rispetto al 25 per cento più avvantaggiato.

Il quadro è quindi molto chiaro: le disuguaglianze, già presenti alla nascita, si accentuano via via con l’età e, come facilmente intuibile, si riflettono negli itinerari di vita successivi, prima in termini di esiti scolastici, poi di occupazione e di possibilità di contribuire alla comunità cui si appartiene.

L’apprendimento famigliare

Le conoscenze emerse, in particolare nelle ultime due decadi – dagli studi longitudinali che seguono coorti di nati per decenni, dalle neuroscienze e da studi di intervento condotti anche su larga scala – hanno consentito di comprendere meglio i meccanismi attraverso i quali si vengono a creare queste disuguaglianze e di individuare azioni efficaci per contrastarle.

Lo stesso studio condotto da Save the Children ne fornisce chiari indizi, mettendo in luce che a determinare le differenze nelle competenze dei bambini non è solo il livello socio-culturale dei genitori (della madre in particolare, in quanto genitore che dedica più tempo al bambino), ma anche il tempo di frequenza di un nido e la pratica di leggere ai bambini già dal primo anno.

D’altronde studi condotti in vari paesi hanno già ampiamente dimostrato quanto siano importanti sia la frequenza di un nido di qualità sia quello che è definito come ambiente di apprendimento familiare, vale a dire non solo chi sono i genitori ma cosa fanno e come sono con i loro bambini: un nido di qualità e un ambiente familiare che favorisce lo sviluppo, curandone i presupposti con un’interazione affettivamente ricca attraverso la voce, il contatto, il gioco, la lettura e altre attività di qualità, sono in grado di diminuire o annullare il gap che altrimenti si crea nei bambini di famiglie di basso reddito e istruzione.

I fondi del Pnrr

Questi portati della ricerca sono fondamentali in quanto mettono in evidenza che, accanto alle azioni finalizzate a sostenere il reddito delle famiglie, è necessario assicurare a tutte le bambine e i bambini l’opportunità di accedere precocemente ai servizi educativi e rendere universali programmi tesi a far conoscere ai neogenitori le caratteristiche, i tempi e i bisogni dello sviluppo del bambino e far loro scoprire quali semplici pratiche possono favorirlo.

I fondi del Pnrr, di cui una quota importante è destinata ad aumentare significativamente l’accesso al nido, oggi limitato a un bambino su quattro, e alcuni provvedimenti e propositi dell’attuale governo vanno in questa direzione, unendo i sostegni economici alla messa a disposizione di servizi.

Occorre garantire equità a entrambi gli interventi, anche nella loro distribuzione territoriale, che risente molto dei diversi livelli di preparazione esistenti negli enti locali. E occorre dare vita a un vasto programma di accompagnamento ai neogenitori al fine di offrire loro opportunità di sviluppare le loro conoscenze e competenze.

Attualmente interventi di questo tipo sono lasciati alla lungimiranza di alcune (non molte) amministrazioni locali e al terzo settore, con risorse per lo più messe a disposizione da bandi e quindi per loro natura poco sostenibili e a rischio di mantenere disuguaglianze su base territoriale, perché le competenze per partecipare ai bandi sono spesso carenti in piccoli comuni, aree rurali, gran parte del sud.

Gli effetti della pandemia

Per un’azione realmente efficace di prevenzione dell’insorgere precoce delle disuguaglianze, tra l’altro come è noto aggravate dalla pandemia, occorrono: una collaborazione tra i diversi settori (sanitario, educativo, sociale e culturale); un impegno degli enti di alta formazione per una migliore formazione delle figure professionali dedicate a infanzia e famiglia; uno status (e una selezione, formazione e retribuzione) maggiore per gli educatori e gli insegnanti; e strumenti di monitoraggio, quali quelli in uso in vari paesi Ocse, e da noi attivati solo su base locale, per valutare l’evoluzione dei bisogni e i risultati degli interventi.

Le disuguaglianze negli itinerari di vita imputabili a fattori prevenibili vanno chiamate con il loro nome: ingiustizie. E sono ancor meno tollerabili quando a subirle sono bambini che non possono scegliere dove nascere e da chi.

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