Se la bozza della Misura di inclusione attiva(Mia), che prenderà il posto del reddito di cittadinanza (Rdc), circolata nei giorni scorsi divenisse il testo di legge i diversi cambiamenti, con riferimento soltanto al lato monetario della misura e non alle politiche attive e ai servizi di lavoro, avrebbero come risultato complessivo quello di far quasi svanire l’impatto dell’assegno sulla riduzione della povertà, cioè l’obiettivo per cui la misura era stata creata.

La platea dei beneficiari

La platea dei beneficiari, da un lato, si amplia perché il requisito relativo gli anni minimi di residenza scende da dieci a cinque; dall’altro, si restringe perché scende da 9.360 a 7.200 euro annui il requisito Isee per l’accesso alla misura e potrebbe scendere anche il requisito reddituale per le famiglie in affitto. Si introduce la distinzione tra nuclei familiari ‘occupabili’ e ‘non occupabili’, questi ultimi essendo quelli con minori, persone con disabilità o over 60: sembrano, quindi, irrilevanti per la distinzione le chances occupazionali degli individui. Inoltresi stabilisce che l’importo massimo del sussidio per gli ‘occupabili’ scende da 500 a 375 euro mensili. Ne segue un alleggerimento della spesa complessiva, a cui contribuisce anche una revisione della durata della prestazione per gli anni a venire.

Un ulteriore cambiamento riguarda la revisione delle scale di equivalenza per tenere conto della diversa composizione dei nuclei familiari che, in modo discutibile, prevede anche l’esclusione dei minori dal computo dei componenti con l’argomento che ad essi è collegato l’importo dell’assegno unico e universale, ma sono previsti 50 euro al mese in più per minore. Nel complesso questo cambiamento potrebbe avere effetti di innalzamento degli importi anche se in modo non uniforme.

Vi sono poi due aspetti non chiari nella bozza eppure molto importanti. Non è chiaro se verrà abolita la distinzione tra reddito e pensione di cittadinanza, che penalizzerebbe gli anziani e non è chiaro se verrà eliminata dal sussidio la quota precedentemente prevista per le spese di affitto o per mutuo.

Abbiamo stimato l’impatto di questi cambiamenti su bilancio pubblico, platea dei beneficiari, importi del sussidio e povertà utilizzando un modello di micro-simulazione statico, con i dati dell’indagine It-Silc, cioè l’indagine statistica sulle condizioni di vita delle famiglie utilizzata per l'analisi della distribuzione dei redditi, del benessere e della qualità della vita delle famiglie.

I principali risultati della nostra simulazione sono i seguenti (per maggiori dettagli rimandiamo al nostro articolo sul Menabò di Etica e Economia n° 189, ndr).

I nuclei dei beneficiari potenziali diminuiscono di 180mila unità per l’effetto di 309mila uscite e 129mila nuovi ingressi. Il loro numero complessivo sarebbe 1 milione e 544 mila e il rapporto fra uscenti e entranti è massimo fra i nuclei con almeno quattro componenti.

Gli importi medi (con la quota per l’affitto non considerata per la Mia), scendono da 5.011 a 3.720 euro annui. Le differenze nelle prestazioni per famiglie non occupabili e occupabili sono rilevanti, ma conta anche il fatto che le seconde sono, in media, meno numerose.

Risparmio di 2,9 miliardi

La spesa complessiva si riduce significativamente, di 2,9 miliardi, che derivano da un risparmio di 3 miliardi negli importi erogati ai precedenti beneficiari e di 300 milioni per le ‘uscite’ a fronte di una maggiore spesa di 400 milioni per i nuovi ‘entranti’.

Quanto all’incidenza sulla povertà il RdC ha ridotto il rischio di povertà, calcolato in base una soglia al 60 per cento del reddito mediano, dal 20,4 al 19 per cento. Con la Mia la riduzione quasi svanisce. Anche sul versante della complessiva disuguaglianza dei redditi (disponibili equivalenti), calcolata con l’indice di Gini, gli esiti sono peggiori: la disuguaglianza si riduce meno di quanto accadeva con il RdC rispetto a quella che si avrebbe in assenza di misure di reddito minimo.

Questi dati permettono di acquisire un’idea più precisa del carattere restrittivo delle misure previste dalla bozza, che nel suo complesso non contiene elementi di radicale riforma dell’impianto del RdC. Siamo di fronte a un ridimensionamento che non ci sembra, di per sé, giustificare la scelta di una nuova denominazione della misura.

I costi sociali di questo ridimensionamento possono essere molto rilevanti e l’auspicio minimo che si può formulare è che nella versione finale sia, almeno, prevista una distinzione analoga a quella che sussisteva tra reddito e pensione di cittadinanza nonché il riconoscimento delle quote per gli affitti e i mutui. Ma anche sulla distinzione tra non occupabili e occupabili una revisione sarebbe utile per individuare criteri basati sulle effettive chances occupazionali individuali, per evitare opportunistiche ricomposizioni familiari e per non penalizzare troppo i single che in prevalenza rientrano tra gli occupabili.

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