Nei tre anni successivi alla pandemia la disuguaglianza in Italia ha preso l’ottovolante. disuguaglianza in forte salita nel 2020, con l’economia italiana in contrazione che ha colpito soprattutto i lavoratori precari e marginali. Una serie di misure compensative (ricordate le casse integrazioni straordinarie ed i decreti dignità?) hanno tentato di abbassare la disuguaglianza e la ripresa del 2021 ha certamente aiutato.

Con il 2022 abbiamo visto dispiegarsi gli effetti della riforma dell’Irpef che ha abolito uno scaglione di reddito (disuguaglianza su) e l’introduzione dell’Assegno unico (disuguaglianza giù); abbiamo poi visto l’impatto dell’inflazione e della guerra  sui prezzi dell’energia (disuguaglianza su), e la parzialmente mitigazione dai vari bonus energia (disuguaglianza giù). Con la legge di bilancio 2023, il governo Meloni sta di nuovo intervento con misure che sono destinate a far peggiorare significativamente la disuguaglianza, anche se sta tentando di nasconderlo.

È uscita infatti da poco la Relazione sugli indicatori di Benessere equo e sostenibile (Bes) 2023 pubblicata dal ministero dell’Economia dalla quale si emerge che le politiche del governo attuale introdotte con la legge di bilancio 2023 vanno nella direzione di un aumento della disuguaglianza del reddito disponibile.

Un aumento considerevole

Perché la disuguaglianza è un problema? Perché può avere implicazioni negative per la stabilità economica e sociale di un paese. In particolare, una disuguaglianza eccessiva può generare tensioni sociali, ridurre la coesione sociale e creare instabilità politica. Inoltre, quando una parte significativa della popolazione ha un reddito insufficiente, ciò può limitare la domanda aggregata e rallentare la crescita economica. 

Dal 2017, il Mef invia ogni anno al parlamento una relazione sull’impatto delle politiche economiche dell’anno precedente e dell’anno in corso e dei tre anni successivi, di una serie di indicatori di benessere equo-sostenibile (Bes). Questi indicatori sono utilizzati per integrare il processo di programmazione economica e tra questi indicatori vi è anche quello della disuguaglianza, misurata come il rapporto tra la ricchezza del quinto della popolazione più ricco ed il quinto più povero.

La lettura di questo rapporto è quindi molto istruttiva per formulare dei giudizi circa le politiche economiche dei governi. Mentre nel 2022 si stima una sostanziale diminuzione della disuguaglianza principalmente dovuta all’introduzione dell’assegno unico per i figli che più che compensa l’impatto negativo della riforma dell’Irpef e alle misure una tantum contro il caro energia, le stime per il 2023 mostrano un peggioramento di circa il 2 percento della disuguaglianza.

Il 2 percento è tanto oppure è poco? Per fare un raffronto, si tratta della metà dell’impatto che ha avuto l’intera pandemia, quindi un impatto alquanto significativo.

La distanza tra il quinto più ricco e quello più povero è destinata nel 2023 ad aumentare sia perché i poveri diventano più poveri e sia perché i ricchi diventano più ricchi. I poveri infatti subiscono l’eliminazione dei contributi monetari contro il caro energia che erano stati erogati nell’anno precedente, nonché la riduzione del periodo di percezione del reddito di cittadinanza da 12 a sette mesi per buona parte dei nuclei familiari (quelli senza minori, persone con disabilità o anziani).

I ricchi allo stesso tempo giovano dell’innalzamento della soglia sotto la quale si può applicare il vantaggioso regime forfettario della flat tax al 15 percento (soglia estesa da 65mila euro a 85mila euro di fatturato) e della flat tax incrementale al 15 per cento per gli incrementi di reddito registrati tra il 2023 e il reddito più alto registrato nel triennio precedente.

Il reddito di cittadinanza

Si noti che il peggioramento della disuguaglianza previsto per il 2023 ancora non tiene conto dell’annunciata abrogazione del reddito di cittadinanza che, secondo la legge di Bilancio appena approvata, avrà luogo a partire dal 1° gennaio 2024. Insomma, il peggioramento significativo del 2023 è solo il probabile preambolo ad un’impennata della disuguaglianza che avverrà nel 2024 se il Rdc verrà davvero abolito o radicalmente limitato.

Ricordiamo infatti che pur non avendo abolito di certo la povertà come qualcuno improvvidamente aveva annunciato al momento della sua approvazione, il reddito di cittadinanza ha certamente ridotto le disuguaglianze: tra il 2019 ed il 2020, quando il reddito di cittadinanza è entrato pienamente in vigore, l’indice di disuguaglianza sopramenzionato si è ridotto di circa il 5 per cento secondo le stesse stime del Mef del 2020.

È quindi davvero difficile credere al rapporto Bes 2023 che prevede per il 2024 (anno della prevista abrogazione del reddito di cittadinanza) lo stesso livello di disuguaglianza del 2023 almeno di non ritenere – come di fatto gli estensori del rapporto fanno – che qualsiasi misura verrà istituita nel 2024 avrà lo stesso effetto redistributivo del reddito di cittadinanza attuale.

Uno scenario pericoloso

La questione della disuguaglianza ci interpella come cittadini e come studiosi delle politiche pubbliche. John Rawls ci insegnava che le nostre società democratiche possono tollerare la persistenza e addirittura l’aumento della disuguaglianza solo a patto che la condizione dei più poveri migliorasse con il tempo.

Lo scenario che il rapporto del Mef ci mette davanti però cambia radicalmente: nei prossimi due anni la combinazione di misure favorevoli ai percentili più ricchi della popolazione (flat tax in testa) e di misure restrittive verso i percentili più poveri (vedi limitazione ed abrogazione del reddito di cittadinanza) allargherà la forbice della disuguaglianza soprattutto attraverso la punizione delle fasce più deboli. Questo oltre a essere ingiusto è anche socialmente dirompente e pericoloso.

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