Viviamo in un mondo in cui il mezzo di produzione più importante è diventata la conoscenza che, come affermava già Thomas Jefferson, diversamente da macchinari e edifici, è simile alla fiamma di una candela. Accendere altre fiamme non rende meno forte la fiamma della candela con cui le si accende. Questa fondamentale differenza fra la conoscenza e altri mezzi di produzione ha fatto sperare che nel mondo moderno il mezzo di produzione più importante fosse ora accessibile senza limitazione alcuna a chiunque lo volesse utilizzare: se la conoscenza viene prodotta da istituzioni pubbliche o da comunità come un bene comune disponibile a tutti, tutti avranno numerose opportunità, anche imprese di piccole dimensioni fra di loro in concorrenza.

A ostacolare le imprese italiane è soprattutto la non conoscenza

Dal monopolio naturale a quello legale

Paradossalmente è stata però proprio questa benefica caratteristica di disponibilità universale della conoscenza che ha indotto la nostra società a restringere fortemente le opportunità degli individui aumentando le diseguaglianze. Il temporaneo monopolio che si veniva a creare grazie alle innovazioni prima della loro imitazione non veniva ritenuto sufficiente e si è sostenuto che gli imprenditori privati potessero essere incentivati a produrre nuove conoscenze utili alla produzione solo se avessero avuto il monopolio legale del loro uso. A fronte di questo possibile vantaggio dei monopoli legali vi sono numerosi e ben noti svantaggi: prezzi più alti ai consumatori, clima di segretezza nel processo innovativo, presenza di brevetti concepiti solo per bloccare i processi innovativi di potenziali concorrenti, maggior rischio di investire in innovazioni il cui sfruttamento richiede l’uso di conoscenza già monopolizzata e inibizione delle innovazioni che possano migliorarla.

Investire sulle università per migliorare la nostra vita sociale

In passato ogni stato era chiamato a bilanciare vantaggi e svantaggi di assegnare i diritti legali di monopolio ai privati e in molti casi ricorreva alla strada alternativa di finanziare ricerche pubbliche che fossero disponibili a tutti. Questo quadro è profondamente cambiato con l’istituzione nel 1994 del  Wto e degli annessi trattati Trips con cui questi monopoli sull’uso della conoscenza sono stati elevati al rango di diritti di proprietà intellettuale che, pena sanzioni commerciali, vanno rispettati a livello globale. Trattando i monopoli intellettuali come dei diritti di proprietà simili a quelli su macchine, edifici o terreni si nega il fatto che, mentre questi ultimi possono essere giustificati dal fatto che possono essere usati solo da un limitato numero di persone, la proprietà privata di una conoscenza nega a tanti una libertà che potrebbe essere accessibile a tutti, creando così enormi diseguaglianze e inefficienze.

Il capitale intangibile come rendita

La monopolizzazione dei vaccini Covid e l’incapacità di sospendere i relativi brevetti persino nel corso di una pandemia costituiscono un segnale di allarme che non può essere ignorato. La proposta del Forum disuguaglianze e diversità risponde all’urgenza di riformare le istituzioni internazionali in modo da consentire a livello globale quell’opera di bilanciamento fra i vantaggi e gli svantaggi dei monopoli intellettuali che era prima fatta a livello nazionale. Da quando i monopoli sono stati ridefiniti come diritti di proprietà intellettuale ogni stato tende a non investire più in una scienza aperta disponibile a tutti e spinge invece anche le istituzioni pubbliche, come università ed enti di ricerca statali, a privatizzare quanto è più possibile la conoscenza. Ogni stato cerca opportunisticamente di sfruttare la conoscenza prodotta come bene comune da altri e di privatizzare la propria.

©Markus Winkler

Inoltre, con la estensiva privatizzazione della conoscenza il capitalismo è profondamente mutato. Si pensi che per le prime 500 grandi imprese del mondo la parte del capitale costituito dagli asset intangibili (in gran parte i cosiddetti diritti di proprietà intellettuale) è salito dal 20 per cento degli anni 70 a una quota ormai maggiore del 90 per cento. Questa enorme crescita del capitale intangibile ha costituito una ricca fonte di rendite finanziarie che ben poco hanno a che fare con lo sviluppo dell’economia. Anzi la crescente monopolizzazione ha contribuito a una stagnazione, per alcuni economisti secolare.

Una autorità per la conoscenza aperta

È il Wto stesso che deve stabilire che la partecipazione al commercio internazionale richiede che s’investa una percentuale minima di Pil in scienza aperta. Solo in questo modo la capacità che ha la conoscenza di accendere tante fiamme a beneficio di tutti non smetterà di essere inibita dal comportamento opportunistico degli Stati e delle imprese private. Occorre inoltre garantire che quando la proprietà privata di una conoscenza ostacola fortemente lo sviluppo di altre conoscenze, o ostacola l’urgente produzione di prodotti essenziali al benessere pubblico, essa possa essere prontamente espropriata. È davvero paradossale che si possa espropriare un edificio che blocca il percorso tracciato per una nuova strada di pubblica utilità mentre una simile procedura è praticamente impossibile nel caso di una conoscenza. Eppure dovrebbe essere il contrario: una conoscenza dovrebbe essere espropriata con minori remore, perché il soggetto espropriato perde semplicemente il diritto di escludere gli altri dall’utilizzo della conoscenza di cui monopolizzava l’uso. A questo proposito, la proposta prevede anche di istituire una autorità internazionale che possa rapidamente decidere e agire quando anche quelle conoscenze che sono state monopolizzate debbano diventare accessibili a tutti.

 

© Riproduzione riservata