In economia le nicchie di mercato sono spazi dove c’è una domanda specifica e poca o nessuna offerta, caratteristiche che le rendono profittevoli per chi è disposto o capace di rispondere ai bisogni di quel gruppo. Matteo Renzi non è ancora propriamente un imprenditore, ma ha certamente abilità di marketing e sembra aver individuato una nicchia del mercato politico italiano profittevole.

La scelta di organizzare la sua nuova scuola politica a Ponte di Legno, la cittadina dove Umberto Bossi ha tenuto per anni il suo comizio di Ferragosto, rivendicata esplicitamente ieri di fronte alle telecamere del Tg4, gli omaggi ripetuti alla provincia di Brescia che se fosse uno stato autonomo avrebbe un Pil «superiore ad almeno quattro stati che siedono nel Consiglio europeo» e quindi «sarebbe la numero 25 dell’elenco dei paesi europei», la sua battaglia contro il reddito di cittadinanza («la gente deve soffrire») fanno pensare che stia giocando sul terreno del leader della Lega.

Di certo Renzi negli ultimi mesi ha evitato qualsiasi presa di posizione che possa essere etichettata a sinistra. Boicotta la richiesta di dimissioni del sottosegretario leghista nostalgico della Latina Littoria, Claudio Durigon, non sposa la battaglia sullo ius soli o sul ddl Zan di Enrico Letta, impegnato a spostare il Pd più a sinistra, almeno a parole. Renzi invece cita il «profondo nord», propone patti anti-tasse e sostiene di dettare la linea alla Lega: «È bastato annunciare il referendum sul reddito di cittadinanza per far fare marcia indietro a Salvini». Ma a guardare bene, la nicchia di Renzi è più selezionata.

Con Cartabia e Casini

Più che il quesito referendario che il leader di Italia viva ha presentato ieri, è interessante quello che Renzi farà oggi. A Castenedolo, poco più di 10mila abitanti nella provincia bresciana, il senatore parteciperà alla presentazione di un libro dedicato all’ultimo segretario Dc, Mino Martinazzoli, che nel bresciano cercò il dialogo con la Lega e poi si rassegnò alla concorrenza, a dieci anni dalla sua scomparsa.

Accanto a lui ci saranno Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, e soprattutto la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e il senatore Pier Ferdinando Casini. La prima si impegna da tempo a far dimenticare la sua appartenenza a Comunione e liberazione, l’altro deve impegnarsi a marcare la sua fede, ma entrambi rivendicano il radicamento nel mondo cattolico e sono considerati in corsa per la poltrona del Quirinale.

A ospitarli è Gianbattista Groli, ex sindaco e presidente dell’associazione “Mino Martinazzoli Aldo Moro”, che dal 1° settembre è il responsabile provinciale di Italia viva. Anche perchè il partito di Renzi ha scelto di promuovere entrambi i due ex coordinatori provinciali di Brescia, Sara Bodon e Giorgio Ferrari, nella segreteria regionale lombarda.

È la seconda volta nel giro di nemmeno due mesi che Renzi fa tappa in questo piccolo paese del bresciano ed è da diverso tempo che l’ex premier ha rivolto la sua attenzione alle province lombarde che competono con Milano per ricchezza, ma assai meno progressiste politicamente.

Per esempio, venivano principalmente da Brescia gli imprenditori che Renzi ha accompagnato dal presidente del Senegal questa primavera in un tour da facilitatore di affari.

Giorgio Jannone, imprenditore bergamasco di adozione, ex parlamentare di Forza Italia, protagonista della battaglia contro la cordata bazoliana in Ubi Banca, dice: «Renzi sa bene che qui c’è una classe dirigente che è ancora orfana della Dc e di Forza Italia, e che al contrario della base non ha ceduto ai richiami della Lega.

Negli anni di governo Renzi ha incontratogli imprenditori del bergamasco e del bresciano uno ad uno e ora gli riconoscono a torto o a ragione il merito di aver portato Draghi al governo. Non si tratta di voler intercettare grandi numeri ma un certo tipo di “elettori”, a cui non interessa lo ius soli di Letta e che si concepiscono come coloro che lavorano, a differenza dei percettori del reddito di cittadinanza, e magari possono diventare utili finanziatori».

I tentativi del passato

Ai tempi del governo, il tentativo renziano di sedurre le classi dirigenti della provincia lombarda si inceppò. Quando l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli tacciò il renzismo di un «odore stantio di massoneria», dall’entourage di Renzi trapelarono timori sul fatto che i mandanti fossero la coppia Giovanni Bazoli e Romano Prodi. Ora i tempi sembrano cambiati. Il supposto rappresentante della Lega moderata, Giancarlo Giorgetti, qui si fa vedere poco.

La Lega, salviniana o meno, resta partito gerarchico. Anche Giuseppe Conte ha rincorso per mesi il sogno di un partito con entrature Oltretevere e ha intuito che si è aperto uno spazio a nord, ma non sembra avere l’offerta giusta. Un possibile competitor è Carlo Calenda, che sta facendo incetta di finanziamenti da quelle province, ma è impegnato su Roma. Così Renzi, visti i sondaggi deludenti, si concentra sulle nicchie.

© Riproduzione riservata