In mezzo al caos elettorale siciliano, con i presidenti di seggio introvabili, gli elettori rispediti a casa e lo scontato trionfo dell’ex rettore Roberto Lagalla, mancava solo l’eco delle dichiarazioni di Silvio Berlusconi. L’ex primo ministro si è fermato all’uscita del suo seggio milanese e ha violato, come da prassi consolidata, il silenzio elettorale.

Il leader di Forza Italia si è messo in sintonia con i fatti siciliani rispolverando il vocabolario da caimano, tipico della tradizione berlusconiana.

La giustizia politicizzata non è morta

«Questi arresti di candidati un giorno o due prima delle elezioni, potevano anche aspettare due giorni. Questa è sempre la storia della giustizia politicizzata che non è morta», ha detto Berlusconi.

Dal centro di Milano ha riannodato il filo antico con l’isola. La Sicilia, per il leader di Forza Italia, è stata prima terra di investimenti e rapporti opachi e, successivamente, la regione del trionfo elettorale con lo storico 61 a 0 sulle sinistre ridotte a comparsa.

Da imprenditore e da politico ha raccolto successi, ma anche problemi quando ha foraggiato Cosa Nostra tramite Dell’Utri per evitare guai, quando le bombe estorsive hanno fatto saltare i negozi della Standa, fino alle inchieste pesanti con l’unica che ha retto fino in Cassazione, quella che ha condannato il fido Marcello Dell’Utri per aver concorso con la mafia.

Ogni parola, quando si riferisce alla Sicilia, è un macigno e Berlusconi ha parlato proprio di una giustizia politicizzata e ha aggiunto «che non è mai morta». Ed è una fortuna, in realtà, che la giustizia sia ancora viva e abbia ottenuto gli arresti di due candidati (uno di Forza Italia e l’altro di Fratelli d’Italia) che trafficavano con due mafiosi per raccattare qualche voto.

I pm doppiamente matti

Nel trentennale delle stragi, le parole dell’ex primo ministro suonano sinistre, ma in linea con la sua storia e il suo lessico politico che peggiora quando si parla di Cosa Nostra.

Nel 2003 ha commentato così l’indagine per i rapporti con la mafia a carico del sette volte primo ministro Giulio Andreotti, indagine che si è chiusa con l’assoluzione e la prescrizione per i fatti commessi fino al 1980 (per il reato di associazione a delinquere semplice, quello per mafia non esisteva ancora): «Questi giudici sono doppiamente matti. Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana», ha detto.

Dieci anni dopo, da Bari ha sferrato un altro attacco duro alle toghe. «Oggi dentro la nostra democrazia c’è un cancro, una patologia che si chiama magistratura. Non tutti i magistrati, ma una corrente legata da un filo rosso che usa il potere dei giudici contro gli avversari per farli sparire», ha detto. Ovviamente il marcio albergava, secondo lui, tra i pubblici ministeri colpevoli di occuparsi di potere politico e non in quelli che inseguivano solo i senza potere.

Sempre nel 2013, l’ex primo ministro tornava a parlare di magistrati per difendere il suo stalliere, il mafioso Vittorio Mangano, definendolo eroe. «Ogni settimana un procuratore andava da lui in carcere e gli diceva: ti mandiamo a casa oggi pomeriggio se ci racconti dei rapporti tra Marcello Dell’Utri e la mafia, tra Silvio Berlusconi e la mafia. Ma lui si rifiutò. Lo fecero uscire il giorno in cui poi morì. Credo che Marcello abbia detto bene quando ha definito Mangano un eroe», dice Berlusconi.

Nel ventennio berlusconiano, quello del 2013 è stato l’anno orribile con le dichiarazioni più roboanti e verbalmente violente. Il giorno prima del voto per le politiche, Berlusconi ha rotto di nuovo il silenzio elettorale e ha sferrato un durissimo attacco contro i pubblici ministeri che avevano osato indagare sull’affare Ruby e sul bunga bunga.

Peggio della mafia

«In Europa han messo in giro la storia che io ero irriso perché qui in Italia mi hanno fatto un attacco con il bunga bunga che è un’operazione di mistificazione e diffamazione che non si regge su nulla. Non è venuto fuori un reato e continuano con i processi che sono stati ripresi da tutti i giornali stranieri, dove la magistratura è una cosa seria. Mentre da noi la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa ma è così», ha detto Berlusconi.

L’odio contro i magistrati ha raggiunto l’apice nell’anno della condanna definitiva a quattro anni per frode fiscale e della mai dimenticata espulsione dal senato. Nove anni dopo, l’ex cavaliere è tornato ad attaccare la magistratura raccogliendo il silenzio diffuso degli alleati per non scalfire la figura del Berlusconi “statista”.

L’ex primo ministro ha ancora conti aperti con la giustizia. L’indagine più delicata è quella di Firenze dove è indagato per concorso in strage con l’aggravante di aver favorito la mafia. I magistrati decideranno entro l’anno se chiedere il rinvio a giudizio o archiviare, come le tre precedenti indagini, anche la quarta inchiesta. L’accusa è pesante, quella di aver concorso alle stragi sul continente insieme al gotha di Cosa Nostra. Berlusconi e Dell’Utri si dicono inorriditi e totalmente estranei. I magistrati, alcuni, continuano a indagare. Un vecchio vizio che l’ex primo ministro non perdona loro.

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