Due docenti universitari accusati di molestie e poi almeno altri cinque casi emersi nelle settimane successive, come un effetto a catena. In pochi giorni quegli eventi apparentemente isolati hanno generato un’ondata di proteste in tutte le principali città d’Italia al grido di «Non parlate di mele marce». Come insegna il Me Too, a volte basta una denuncia per far emergere molte altre situazioni sommerse.

Creare un luogo sicuro

Torino è la città da cui è partito tutto con i casi del direttore della scuola di specializzazione di medicina legale e del professore del dipartimento di filosofia. Ma è stata anche la prima, nell’ottobre 2019, a dotarsi di uno sportello antiviolenza universitario. La gestione è indipendente dall’ateneo, grazie alla collaborazione con i centri antiviolenza E.m.ma. ed è aperto a studentesse, ricercatrici, docenti, personale, chiunque studi o lavori nell’università torinese.

«In questo momento può esserci resistenza nell’affidarsi a un organo che si trova fisicamente nell’ateneo», dice la referente Paola Maria Torrioni, «ma per risolvere il problema è necessario passare da quella strada. Dobbiamo fare azioni di trasformazione culturale, lavorare sui significati della violenza, del consenso, sui confini dei corpi e sulla gestione dei rapporti di potere. La comunità universitaria deve stringersi attorno a questo problema per creare un luogo sicuro per le donne vittime di violenza, che sappia contrastare la supremazia maschile».

Sulla scia di Torino, molti altri atenei negli ultimi anni si sono mobilitati. Dapprima Bari e Perugia a inizio 2020, seguite dall’università della Calabria e Pisa a giugno 2022. Roma, anche in ragione della grandezza dei suoi atenei, offre numerosi sportelli antiviolenza universitari.

Il primo ha aperto alla Sapienza a luglio di due anni fa e nell’arco di 12 mesi ha registrato un numero superiore ai 100 accessi. «A differenza di molti altri centri, i nostri non si rivolgono solo alla popolazione studentesca, ma anche ai residenti del quartiere. Forniamo consulenza psicologica e legale, gruppi di auto mutuo aiuto e la possibilità di percorsi nutrizionali», spiega Giuliana Giardi, responsabile del centro antiviolenza Sapienza.

Tra coloro che si sono rivolte al cav Sapienza alcune hanno segnalato molestie di colleghi universitari, ma nessuna di docenti o personale di ateneo. Diversa invece la situazione a Roma Tre. Il centro antiviolenza Sara Di Pietrantonio, aperto a gennaio 2023, ha ricevuto circa 120 contatti e ha preso in carico 90 persone nel corso di 12 mesi. Tra queste, sono state raccolte anche segnalazioni di molestie compiute da professori, tutor, dottorandi, oltre che da parte di altri studenti. Questi fatti hanno favorito lo sviluppo di una campagna di sensibilizzazione social anche per far conoscere a più persone l’esistenza degli sportelli universitari.

Spesso, infatti, queste realtà sono ancora poco conosciute. «C’è un problema di informazione, anche se abbiamo molte iniziative per far sapere a tutte le persone che questo sportello esiste», dice Renata Pepicelli, delegata per gender studies and equal opportunities dell’Università di Pisa. «Ogni occasione è buona per pubblicizzarlo, dalla rassegna cinematografica agli eventi organizzati in collaborazione con il Centro universitario sportivo».

C’è anche chi ha fatto fronte alla mancanza di informazione con campagne mirate. «Abbiamo tappezzato tutti i corridoi, i bagni, le biblioteche di poster e cartoline in cui si parlava dello sportello e continuiamo a fare presentazioni a tappeto», spiega Cristina Demaria, delegata per l’equità dell’università di Bologna. Lo sportello, aperto nel 2022, ha una sede anche all’università di Forlì e dall’apertura ha registrato 88 accessi. «Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin c’è stato un picco», continua Demaria, «in più era vicino al 25 novembre e in quei casi, grazie al fatto che se ne parla in misura maggiore, si registrano sempre più accessi».

Posti da costruire

Tra gli ultimi atenei a essersi dotati di uno spazio antiviolenza c’è Palermo, dove l’attività è iniziata a settembre 2023. Ma sono molte anche le università in cui gli sportelli apriranno tra poco. Firenze, ad esempio, sta lavorando alla progettazione e anche a Genova nei prossimi mesi dovrebbe essere approvato il progetto.

Alla Statale di Milano il via è atteso in queste settimane. «Avevamo istituito uno sportello per far fronte al disagio psicologico nel 2020-2021. Su richiesta, abbiamo formulato anche uno spazio dedicato nello specifico al tema della violenza. Si chiamerà Ad alta voce», dice Marilisa D’Amico, prorettrice delegata a legalità, trasparenza e parità di diritti.

In molte università, invece, gli sportelli ancora non ci sono. La Ca’ Foscari di Venezia collabora con quello del comune, ma non ne ha uno proprio. Peggiore la situazione in altre città, in cui non sono presenti centri specializzati né progetti di apertura prossimi. Fanno parte della lista piccoli atenei come quelli di Bolzano e L’Aquila, ma anche poli più grandi come Napoli.

«Abbiamo un centro che si occupa di tutelare il benessere psicologico degli studenti», spiega Valeria De Rosa, responsabile dell’esecutivo provinciale Udu Napoli, «ma non si occupa nello specifico di molestie. C’è uno spazio al Policlinico Federico II, ma è molto lontano e difficilmente accessibile. Negli anni passati c’erano stati episodi di molestie tra il personale di ateneo, nessuno di recente si è fatto nuovamente avanti, ma sappiamo benissimo che ci sono altri casi. Per questo è necessario sensibilizzare».

Il caso di Padova

Anche l’ateneo di Padova si inserisce tra quelli in cui non è presente uno sportello antiviolenza, nonostante la popolazione studentesca lo chieda da anni. «Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha dimostrato come gli spazi che percorriamo tutti i giorni non sono luoghi sicuri, questo perché c’è un problema strutturale e culturale», dice Teresa Cozzi, rappresentante in senato accademico di Unipd con Udu Padova.

Per questo motivo gli studenti e le studentesse hanno avviato un dialogo con la rettrice. «Crediamo sia fondamentale inserire sportelli antiviolenza nelle università perché si possa intervenire quando si verificano episodi. Vorremmo anche la creazione di corsi obbligatori di educazione al consenso, alla sessualità e all’affettività per studenti e docenti. Finché la nostra società non ammetterà di avere un problema e non inizierà a decostruire la cultura patriarcale di cui è pervasa non potremo mai sentirci sicure».

© Riproduzione riservata