Negli ultimi giorni si sono moltiplicate le voci di chi chiede di non diffondere più quotidianamente i numeri dei contagi da coronavirus. «Bisogna finirla col report serale: non dice nulla e non serve a nulla se non mettere l’ansia alle persone», ha detto Matteo Bassetti, primario di malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova. Bassetti è un medico popolare e uno dei più noti tra i contrari a lockdown e restrizioni.

Ma la richiesta di non diffondere più i numeri dei contagi si è diffusa anche nelle istituzioni. Ne starebbe parlando addirittura il Comitato tecnico scientifico, il principale organo di consulenza medica del governo. Alcuni suoi membri, come l’infettivologo Donato Greco, chiedono che il comitato consigli ufficialmente di eliminare la comunicazione quotidiana sulla diffusione del virus.

Casi e percentuali

L’argomento principale di chi fa questa richiesta è che con la diffusione dei vaccini è cambiato in modo significativo il rapporto tra contagi, ricoveri e decessi. Se un anno fa, ogni cento infetti potevamo aspettarci fino a cinque ricoveri, oggi sono meno di uno. Con i vaccini, le possibilità di morire dopo essersi vaccinati sono oltre di 25 volte in meno, secondo i calcoli dell’Istituto superiore di sanità.

Nello stesso tempo, abbiamo più che decuplicato la nostra capacità di fare tamponi e di trovare nuovi casi. Se a marzo 2020 ne facevano meno di 50mila al giorno, oggi abbiamo superato il milione. Il risultato è che è crollato il rapporto tra casi e decessi, il case fatality ratio, superiore a dieci due anni fa e oggi sceso al due per cento.

In altre parole, centomila casi oggi non sono come centomila casi un anno fa o due anni fa. In parte perché sappiamo tracciare meglio del passato la pandemia e quindi ci sfuggono meno contagi. In parte perché grazie ai vaccini la pericolosità individuale del virus è diminuita moltissimo e quindi avere anche duecentomila casi non ci spaventa tanto quanto averne 30mila lo scorso gennaio. Di fronte a questi fatti, i sostenitori dell’abolizione del bollettino dicono che fornire quotidianamente i numeri rischia solo di essere male interpretato.

Come comunichiamo i dati?

In realtà, le autorità hanno già ridotto molto l’importanza dei contagi quotidiani nella comunicazione ufficiale. La conferenza serale della protezione civile è stata abolita alla fine di aprile 2020, quasi due anni fa. Oggi, la comunicazione dei numeri quotidiani, avviene in sostanza in modo automatico. Le regioni inviano i loro dati al ministero della Salute, che li carica mano a mano che arrivano in un database online e quando sono arrivati tutti, pubblica una schermata riassuntiva.

I media, come giornali, televisioni e siti web, compreso Domani, hanno creato sistemi automatici per «pescare» questi dati non appena vengono caricati e quindi produrre i bollettini che vedete su internet o mostrati nei telegiornali.

Da parte loro, le autorità hanno già dato una scansione settimanale alle comunicazioni sul virus. Il venerdì, infatti, viene pubblicato il bollettino dell’Istituto superiore di sanità, con tutti i dati della settimana, accuratamente confezionati e spiegati con numerosi dettagli tecnici.

È su questo report settimanale che il governo si basa per decidere i cambi di colore delle regioni. Per quanto svuotato di significato dal governo Draghi (tranne che in zona rossa le regole sono sostanzialmente identiche), questo strumento non si basa sui casi come principale indicatore. Le regioni si spostano di colore solo se vengono superate contemporaneamente sia le soglie di allarme per le terapie intensive che quelle per posti letto ordinari.

In altre parole: governo e autorità sanitarie hanno smesso da tempo di utilizzare e incentivare l’utilizzo dei dati quotidiani. Sono piuttosto i media che utilizzano ancora queste cifre. E lo fanno soprattutto in occasione di grandi picchi o di record.

Che fare?

Quest’ultima è anche la ragione per cui delle proposte circolate in questi giorni non si farà nulla. L’unico modo per il governo di limitare la diffusione dei dati quotidiani su giornali e televisioni sarebbe secretare i numeri giornalieri del contagio, cioè smettere di caricarli sul database pubblico e farlo invece una volta a settimana.

Ma quegli stessi dati non sono usati solo dai giornali. Li utilizzano anche migliaia di ricercatori universitari e indipendenti in tutto il mondo, portali di informazione pubblica come quello della John Hopkins University e Our world in data. Secretarli, significherebbe limitare moltissimo la conoscenza della pandemia e la capacità di prevederne l’andamento. Sarebbe anche andare in una direzione contraria a quella seguita fino ad ora in Italia e non solo: aumentare l’accesso ai dati, renderlo sempre più democratico e trasparente, non opaco e arbitrario.

Infine, va ricordato che anche se il significato dei numeri dei contagi è cambiato rispetto al passato, non è scomparso del tutto. Ricoveri e decessi sono ancora una percentuale dei contagi, anche se più bassa rispetto a un anno fa. Visto che il ricovero e l’eventuale decesso arrivano a volte settimane dopo il contagio, il numero di casi rimane ancora oggi l’indicatore migliore per conoscere l’evoluzione della pandemia in tempo reale.

È sempre possibile migliorare la comunicazione, renderla più scientifica, precisa e meno umorale. Quella dei casi positivi al Covid-19 non fa eccezione. I media dovrebbero riflettere su come hanno comunicato fino a ora e fare più attenzione nel gestire i numeri dei contagi, cercando di non commettere più gli stessi errori a due anni dall’inizio della pandemia (ancora oggi si può leggere dei «cali» di contagi del lunedì, quando è ormai chiaro che quel giorno i numeri sono sempre più bassi per ragioni che non hanno a che fare con l’andamento pandemia).

Ma la soluzione non può essere privare il pubblico, gli esperti e gli scienziati di un dato che rimane centrale per decidere come comportarsi, sia come individui che come società.

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