Quel che sappiamo con certezza di Caitlin Clark è che ha reso il campionato di basket americano più ricco, più seguito, più cool. È arrivata e in due minuti ha cambiato la WNBA. Quel che non abbiamo capito è se gliela stanno facendo pagare.

Di certo l’unica persona in tutta l’America che non s’accende per il caso Caitlin Clark si chiama Caitlin Clark. Da qualche parte si incontra rabbia, da qualche altra parte stupore, in lei si riconosce invece la forza della calma. È rimasta fuori dalla squadra olimpica americana, lei che ha la freschezza dei 22 anni, è stata un fenomeno al college con Iowa. Non andrà ai Giochi di Parigi, non convocata, eppure dice che in fondo è meglio così, potrà starsene un po' di tempo lontano dal basket e dalla follia di tutto quello che sta succedendo.

Cos’è che sta succedendo? Il gioco duro su di lei, la marcatura stretta che subisce, i falli anti-sportivi. L’ultimo la notte scorsa.

Andranno alle Olimpiadi tutte le veterane, capeggiate da Diana Taurasi con le sue cinque medaglie d’oro, le altre stelle WNBA compresa Brittney Griner, per la prima volta sulla scena internazionale dopo la sua detenzione di 10 mesi in Russia nel 2022. Fuori invece Clark, la scelta numero 1 al draft, la nuova forza trainante dell’economia e degli ascolti tv.

Fuori dai Giochi: giusto?

Quanto è anomala questa esclusione: questo sarebbe il primo nodo da sciogliere per capir meglio. Le USA puntano alla decima medaglia d'oro dal 1984. Non hanno giocatrici sotto i 26 anni, l'età di Sabrina Ionescu e Jackie Young. Ma nelle formazioni precedenti la scelta numero 1 del draft nell’anno olimpico c’era sempre stata: Diana Taurasi nel 2004, Candace Parker nel 2008 e Breanna Stewart nel 2016.

Chi cerca ragioni tecniche per giustificare l’esclusione cita gli alti e bassi in questa sua stagione da rookie, le 5,6 palle perse in media a partita, la mancanza di esperienza internazionale, le 11 partite giocate in 20 giorni in principio di stagione.

La federazione spiega di aver valutato l'esperienza della giocatrice e non la sua popolarità, il pubblico televisivo, la vendite delle maglie, questa non è materia di competenza del comitato tecnico, ha detto Jennifer Rizzotti che ne è a capo. Non tutte la pensano a questo modo. «Non ho mai visto un tale livello di ostilità nei confronti di una giocatrice», è il parere della comproprietaria dell'Atlanta Dream, Kelly Loeffler. «Caitlin Clark è senza dubbio la cosa migliore mai accaduta alla WNBA. Aumenta il pubblico delle partite, consente alle giocatrici finalmente di viaggiare con i charter, e invece di essere accolta, viene aggredita verbalmente e fisicamente».

E qui si spalanca un mondo, si apre una discussione nella quale è possibile vedere in controluce tutta l’America nell’età di Donald Trump, l’America, le Americhe, le sue facce, quella dei riot al Campidoglio e dei processi, una parte contro l’altra, e dunque uomini contro donne, etero contro gay, neri contro bianchi. È tutto qui, tutto dentro questa storia.

Reggie Miller, ex leggenda della NBA, oggi commentatore per il canale TNT, prova a normalizzare la questione: «Cosa si aspettava, Clark? È passata dall'università al mondo professionistico, dove gioca contro adulte che cercano di destabilizzarla. Non c’è niente di personale in questo».

Ma per Stephen A. Smith, consulente di ESPN, Clark sarebbe vittima di gelosia, addirittura di razzismo: «Il risentimento deriva da tutti questi anni durante i quali le attuali giocatrici - in prevalenza nere - hanno cercato di risollevare l'immagine della WNBA e del basket femminile. Sforzi vani finché questa ragazza bianca non è arrivata e ha trasformato la lega da un giorno all'altro».

Il caso Carter

In questo teatro dei sentimenti, ogni parere sembra guidato dall’iscrizione a qualcosa, un’appartenenza. Candace Buckner sul Washington Post ha difeso la guardia delle Chicago Sky, Chennedy Carter, autrice del fallo considerato finora più cattivo, «diventata oggetto di brutti discorsi da allora, discorsi che presuppongono una fragilità di Clark e un’accusa di malvagità che pende sulle avversarie. Carter ha fatto una mossa che Draymond Green probabilmente avrebbe deriso perché troppo lieve. Eppure, quel gesto viene presentato come la prova che alle veterane della WNBA non piace Caitlin Clark, e la starebbero intenzionalmente malmenando». Draymond Green è considerato il villain della NBA.

Buckner ha scritto che chi lo dice è in malafede e che «il gesto viene amplificato come prova incriminante che le brutali donne nere sono gelose della presunta salvatrice della lega e quindi preferirebbero picchiarla anziché mostrare apprezzamento».

Secondo l’editorialista del Washington Post è un tipico esempio di superficialità dei commentatori sportivi, uomini, maschi, etero, quando sono costretti a discutere di sport femminili, e questo sport poi, questo nel quale le campionesse più in vista sono afro-discendenti e spesso impegnate nella lotta per la rivendicazione dei diritti LGBT.

Buckner definisce allora Caitlin Clark come «la star commerciabile per il colore della pelle e la sessualità gradevoli», l’eroina sul cavallo bianco che non deve, non può subire un contatto duro.

Le spaccature

Eccola la divisione. Chi difende Caitlin, si è visto iscrivere al gruppo delle “Clarkies”, tutti accusati di trasformare le loro osservazioni in un'offesa. Sono narrazioni bigotte, così ha detto sempre Buckner, «in difesa non di una ragazzina, ma di un’adulta, una professionista. I tifosi più arrabbiati non sono qui per difendere il basket; vogliono solo proteggere Caitlin Clark».

Non è una storia esplosa per caso. Un anno fa, durante una delle partite decisive per il titolo universitario, la giocatrice di Louisiana Angel Reese venne criticata per un gesto fatto in campo, si era passata la mano sulla faccia per deridere l’avversaria, significa non mi vedi, non mi acchiappi. L’avversaria era lei: Caitlin. Solo che quello stesso gesto Caitlin lo fa e lo rifà da sempre, rientra nel fenomeno del trash talking, l’insulto all’avversaria in campo per destabilizzarla. Critiche a Clark? Non risultano.

EPA

LeBron James e la velocista Sha’Carri Richardson corsero a manifestare solidarietà a Reese, la ragazza nera invitata a scusarsi. «Mi avete dato della cafona – disse Reese – ma quando lo fanno le altre non dite niente. Questo gesto è dedicato alle ragazze che mi assomigliano». Reese vinse il campionato con la sua squadra e scoprì che la First Lady aveva intenzione di estendere il tradizionale invito alla Casa Bianca pure alla squadra battuta, la squadra di Caitlin Clark. Andò su tutte le furie: «Vuol dire che allora noi andremo da Michelle Obama».

Il messaggio di Taurasi

Ecco perché quando Caitlin Clark è diventata la prima scelta delle Indiana Fever in WNBA, la veterana Diana Taurasi le ha mandato un messaggio: «La realtà sta arrivando, sembri sovrumana giocando contro delle diciottenni, ma verrai a giocare con alcune donne adulte che giocano a basket professionistico da molto tempo». Una frase che viene considerata la pistola fumante da chi considera la tesi dell’ostilità.

Quando a Taurasi è stato chiesto se i maliziosi per caso non avessero ragione, ha risposto che i nuovi tifosi sono troppo sensibili, non si può più dire niente a questo mondo.

Diana Taurasi è figlia di immigrati argentini, era la Caitlin Clark di vent'anni fa. Aveva vinto tre campionati nazionali con l'Università del Connecticut ed era stata votata due volte come giocatrice nazionale dell'anno, quando nella sua prima stagione in WNBA segnò una media di 17 punti, venne nominata esordiente dell’anno. Dopo ha vinto tre campionati WNBA, cinque medaglie d'oro olimpiche, ha segnato quasi tremila punti in più rispetto a qualsiasi altra giocatrice della storia. È una ragazza dura, sfacciata, fallosa.

Kobe Bryant l’aveva soprannominata White Mamba, per il carisma e l'intensità che ci mette: gli parevano un riflesso dei suoi, per tutti il Black Mamba. Dopo aver perso le finali del 2021 Taurasi spaccò la porta dello spogliatoio della squadra ospite. Durante una lite con un'avversaria, le diede un bacio sulla guancia e le disse: «Portalo con te, tesoro». Espulsa. Diana Taurasi racconta di non aver mai provato più disagio in vita sua del giorno in cui i signori del marketing nella lega le chiesero di sciogliersi i capelli e mettere il rossetto, per una campagna di pubblicità.

Nel raccontare allora quanto sta accadendo intorno a Caitlin Clark, al New Yorker è parso opportuno ricordare che «la WNBA ha sempre fatto fatica a commercializzare Taurasi, che è gay, come molte delle stelle nere della lega». Come molte altre giocatrici della sua generazione, quando il campionato si ferma, Taurasi deve andare a giocare all’estero. Per arrotondare i 100mila, 200mila dollari che guadagna in America.

Clark è appena arrivata, ed è inseguita dagli sponsor. Quasi due milioni e mezzo di persone hanno assistito al suo draft. Da quando c’è lei, la WNBA ha migliorato le condizioni di viaggio e alloggio. La tennista Martina Navratilova, in prima linea nelle campagne contro il gender gap, ha detto che le altre giocatrici devono rendersene conto: una Caitlin Clark aiuta tutte.

Una lettura contestata da più parti, perché Caitlin Clark aiuta innanzitutto il suo Iban, avendo firmato un contratto da 28 milioni di dollari con gli sponsor prima ancora di vincere una sola partita. Il New Yorker ha scritto che è facile immaginare perché «non tutte le giocatrici vogliono mettersi in fila per ringraziarla», o perché potrebbero essere sfinite all'idea che un fallo antisportivo – per inciso commesso da chi ha più esperienza di lei – debba scatenare così tante reazioni.

«Le discussioni che circondano Clark - tocca il punto il New Yorker – sono intrecciate con le difficili discussioni su razza e genere in questo paese, sono storie che toccano tutti». Così viene il sospetto che se un fronte esiste contro di lei, quel fronte non sia in lotta contro Caitlin Clark, ma contro l’America a cui piace Caitlin Clark.

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