Si chiama Gold Cup, ed è il torneo continentale di calcio che si sta giocando negli USA. L’Arabia Saudita è invitata, ufficialmente per favorirne lo sviluppo in vista dei Mondiali che ospiterà nel 2034. Ma è solo un nuovo episodio del soft power sportivo del governo attraverso gli investimenti del fondo sovrano PIF
Mentre tutte le attenzioni mediatiche sono per il Mondiale per Club Fifa a 32 squadre che si sta giocando negli Stati Uniti come aperitivo saporito di United 2026, il torneo iridato che tra un anno sarà ospitato pure da Canada e Messico, in altre dodici città – dieci delle quali negli stati del sud-ovest – si sta tenendo la ventottesima edizione della Concacaf Gold Cup, il torneo continentale del Centro e Nord America.
Un torneo che per la prima volta vede la partecipazione dell’Arabia Saudita, invitata come ospite. Ha esordito nel gruppo D battendo Haiti per 1-0, gol di Saleh Al-Shehri, attaccante dell’Al-Ittihad, la squadra di Benzema e Kanté; nello stesso gruppo ci sono Stati Uniti e Trinidad e Tobago.
Secondo Yasser Al Misehal, presidente della federazione calcistica di Riyad, il calcio saudita avrebbe raggiunto un prestigioso status internazionale grazie al costante supporto della leadership del regno, riconoscendo l’impegno del ministro dello Sport nel fornire tutte le risorse necessarie per rafforzarne la reputazione globale.
L’Arabia Saudita partecipa all’edizione attuale e prenderà parte pure a quella del 2027. La squadra è in corsa per un posto alla Coppa del Mondo del 2026 e sta cercando il salto di qualità in vista del Mondiale che ospiterà in casa nel 2034.
Avrebbe dovuto partecipare come invitata alla Copa América del 1999 in Paraguay, in qualità di vincitrice della Coppa d’Asia 1996, ma rinunciò e al suo posto si presentò il Giappone vincitore nel 1992. Il Giappone è tornato a giocare la Copa América nel 2019 insieme con il Qatar, e il Qatar ha preso parte alla Concacaf Gold Cup nel 2021 e 2023, mentre il Giappone nel 1993 aveva rifiutato l’invito.
Senza confini
Il rimescolamento totale della geografia. Questo tipo di chiamate non sono solo propedeutiche alla crescita delle rispettive nazionali, invitate a confrontarsi con squadre e movimenti decisamente più forti, ma anche a una diplomazia sportiva che ci racconta come l’attenzione una volta dedicata al Giappone oggi è dirottata sui Paesi del Golfo.
Insieme alla squadra dell’Arabia Saudita, negli Stati Uniti è arrivato anche il PIF. Dall’acquisizione di club calcistici di alto livello come il Newcastle ad ambiziosi progetti nel pugilato, nel golf e negli eSport, il fondo sovrano saudita ha permesso al regime di sfruttare lo sport come strumento diplomatico ed economico, sollevando preoccupazioni sui conflitti di interesse, sulla governance e sulla crescente presa autoritaria sullo sport mondiale.
Poco più di un anno fa Concacaf e PIF hanno siglato un accordo scegliendo la compagnia petrolifera statale saudita Aramco quale “partner energetico ufficiale” per tutte le competizioni per squadre nazionali e club. La confederazione ha poi annunciato che Riyadh Air sarebbe stata il “partner aereo ufficiale” con un accordo pluriennale.
Il governo statunitense, a sua volta, ha espresso preoccupazione per le attività del PIF negli Stati Uniti. Il senatore democratico Richard Blumenthal, membro di spicco della Sottocommissione permanente per le indagini del Senato, ha aperto un’inchiesta sui modi in cui lo Stato saudita sta utilizzando il fondo sovrano per acquisire influenza nel Paese, incluso il tentativo in corso di creare una fusione tra la lega di golf LIV, di proprietà saudita, e il PGA Tour.
La presenza del PIF
Il rapporto di Blumenthal ha messo anche in evidenza come l’amministrazione Trump stia minando la capacità del governo statunitense di contrastare l’influenza straniera, ridimensionando l’applicazione di misure come il Foreign Agents Registration Act e svuotando gli stessi dipartimenti incaricati di indagare su questi tentativi. Si tratta di una vulnerabilità che il governo saudita è ben intenzionato a sfruttare, in particolare grazie alla crescente presenza del PIF nello sport globale.
Un’arma nella strategia nazionale e internazionale: il regno saudita sta rafforzando così la sua influenza in Nord America, consolidando la propria immagine globale in vista del Mondiale del 2034. La partecipazione dell’Arabia Saudita alla Gold Cup non riguarda solo il calcio. È una strategia calcolata, radicata in manovre geopolitiche e nella gestione dell’influenza.
Nel 2018, l’Arabia Saudita sembrava ancora periferia del calcio. Cinque anni dopo ospita supercoppe europee, compra club inglesi e costruisce stadi nuovi ogni sei mesi, in vista della propria Coppa del mondo. Ma lo sport, per Riyad, non è solo intrattenimento: è soft power, branding, diplomazia, economia. È Vision 2030, il nome del piano voluto dal principe ereditario Mohammed bin Salman per trasformare il regno da petromonarchia isolata a hub globale. Il Public Investment Fund è lo strumento con cui questo futuro viene costruito, uno sport alla volta. Con tre obiettivi ancora da centrare: ospitare una tappa ufficiale della NBA o una della Summer League; acquisire ulteriori club europei; introdurre una Champions asiatica riformata con i criteri dell’UEFA.
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