Matteo Mazzola è un giovane uomo di 36 anni che ha sofferto a stare nei banchi di scuola da ragazzino. Voleva stare all’aria aperta, capire la natura, viverla appieno. Con un diploma da perito agrario in tasca, dopo due giorni dall’esame di maturità, ha preso la bici ed è andato a Capo Nord e per dieci anni non si è fermato. Ha viaggiato per l’Europa, l’Australia, il Messico, frequentando corsi sull’agricoltura rigenerativa e sull’ecologia con esperti del settore come David Holmgren, Jairo Restrepo Rivera, Darren Doehrty, Joel Salatin e Eugenio Gras.

Novarese di nascita, si ritrova a mettere in pratica tutto ciò che ha appreso in un primo tentativo di comunità rurale sul lago di Garda. Poi conosce Paola, sua moglie, a un corso e insieme mettono su Iside, una fattoria certificata bio di sei ettari che si arrampica su una fetta di Prealpi dolomitiche a picco sul lago d’Iseo. L’azienda agricola è a Sulzano, in provincia di Brescia, a poche centinaia di metri dalle sponde di un luogo turistico e a mezz’ora di auto da migliaia di ettari vitati in Franciacorta.

In fattoria invece non c’è nulla di intensivo, né la gazzarra da fronte lago né la monocoltura. Di gente però, in questi primi sette anni di Iside, ne è passata: centinaia, racconta Matteo, le persone che volevano fare un’esperienza rurale autentica. Qualcuno è rimasto e oggi in azienda sono in sette. Da fare c’è tanto: ci sono gli animali – galline, asini, pecore – oltre 140 orticole, alberi da frutto, l’olio extra vergine di oliva, le erbe aromatiche e officinali. Tutto viene coltivato sia per la vendita, che per la creazione di preparati per ciò che si coltiva attraverso una sorta di attività consortile dove ciò che conta è l’interdipendenza tra le cose.

Gran parte del prodotto viene venduto tramite abbonamenti Csa (Community Sustained Agriculture) in un raggio non più vasto di una decina di chilometri però: «Il punto – spiega Matteo – non è arrivare ovunque, ma creare un modello di azienda che possa essere replicata da altri agricoltori in grado così di rifornire le comunità di riferimento. Se fossimo solo io e Paola basterebbe occuparci dell’olio e degli animali, ma Iside è nata come progetto di comunità rurale, deve essere un luogo di crescita».

Probabilmente, se volessero, potrebbero vendere – e bene – tutto alla ristorazione bresciana di buon livello: «Abbiamo tra i clienti Contrada Bricconi, La Madia e il Colmetto. Confesso che ci abbiamo pensato, ma non è lo spirito di Iside. Nella prima fase della pandemia, quando ci fu l’assalto ai supermercati, la gente del posto ha realizzato che poteva venire da noi e comprare del cibo. Sembra banale ma è una stata cosa potente capire che un’azienda agricola ti nutre».

Il futuro di Iside

La fattoria è davvero piena di cibo, con colture che partono dal lago e arrivano fin su la collina con noci e noccioli. È anche un cantiere un po’ in disordine perché i progetti in essere sono tanti: c’è la casa appena terminata, c’è un rudere rilevato all’interno della proprietà, un ex monastero del XIII secolo che la coppia vorrebbe trasformare in un asilo e in una Casa dei mestieri, ci sono i lavori dell’area ristorazione che sarà anche un allevamento ittico: «In pratica – continua Matteo – abbiamo interrato delle vasche che accoglieranno i pesci; sopra nascerà la locanda e sul tetto ci saranno dei laghetti inerbiti con piante per la fitodepurazione, utili a creare foraggio per l’itticoltura. L’acqua delle vasche poi, una volta ripulita, servirà a innaffiare le piante. Da non sottovalutare il fatto che saranno anche contenitori di raccolta per l’acqua piovana».

Parlare di acqua significa anche affrontare il tema attuale della siccità. Qui, però, il giovane agricoltore colpisce per l’approccio serafico: «È stata un’annata davvero interessante, ci ha dato modo di osservare tanto, dal capire quali sono le colture più resistenti, ad esempio, ad avere una diversa gestione degli animali. Qui coltiviamo su sabbie moreniche che tendono all’asciutezza. Devo quindi dare umidità e lo faccio piantando alberi negli orti così mi generano ombra, mi fanno da barriera contro grandine e burrasche, fungono da argine e poi rappresentano un ottimo foraggio per le pecore, in particolare sambuchi, gelsi e paulownie. Per carità, non faccio nulla di innovativo. Quello che oggi è diventata anche una promessa elettorale è la cosa più ovvia del mondo. Nel momento in cui vieni al mondo devi piantare alberi. È pericoloso pubblicizzare aspetti che dovrebbero essere consueti, sennò questi si trasformano in episodi straordinari».

Nei racconti di Matteo tornano spesso i bambini: i suoi due figli, l’idea di un posto dove fare scuola in campo, insegnare loro a seguire le attitudini: «Alla fine quello che faccio non è per la sciura maria che – spiega l’agricoltore – magari si lamenta perché le carote sono venute troppo dure, ma è prima di tutto per i bambini che devono sentirsi parte di un sistema rurale e non alieni su un pianeta che non conoscono». Il Matteo ragazzino che non voleva stare nei banchi di scuola è soprattutto per loro che sta lavorando.

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