Duecentomila. È l’incredibile numero di confezioni vendute negli Stati Uniti, ogni anno tra il 1835 e il 1840, da due signori chiamati Archibald Miles e Guy Phelps. Grazie a una comunicazione pervasiva, Miles e Phelps proponevano estratti vegetali destinati a un’incoerente miscela di malanni, che spaziava dall’alitosi ai reumatismi, dalle malattie veneree alla tosse passando per i problemi di fegato e l’immancabile dimagrimento.

Palinsesto di ciarlatanerie

In apparenza è l’ennesima replica nel ricco palinsesto di ciarlatanerie che ha contribuito a creare l’immaginario di un Far West in cui tutto era privo di regole, possibile e credibile. A rendere interessante la storia sono invece la sua attualità, il ruolo dei media e quel Compound Tomato Pills scritto sulle confezioni. Il prodigioso frutto della salute era banale pomodoro, anzi, l’ingrediente principale era lo stesso triplo concentrato che usiamo per dare colore e gusto a certi piatti. Come oggi è prevedibile, dopo soli cinque anni tutto finì, la mania scomparve con la stessa rapidità con cui era esplosa, duecentomila divenne zero e furono gli stessi consumatori a decretarne la fine: bastò notare che le promesse non erano mantenute.

Il pomodoro non era un cibo

Nel frattempo però qualcuno aveva speso inutilmente i propri soldi e molti si erano messi a inseguire le promesse di un’altra chimera alimentare, secondo un modello che si perpetua anche nei mercato odierni.

Per essere capito, quel duecentomila va confezionato a dovere. Agli inizi dell’Ottocento il pomodoro per gli americani non era un cibo: niente insalata, niente sugo, niente caprese, al massimo una bizzarra pianta ornamentale. Fu un medico chiamato John de Sequeyra a introdurlo nella dieta dei suoi pazienti partendo dalla parentela botanica con piante medicinali come la mandragora e trovando nel terzo presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, un importante testimonial. Il suo collega Alexander Hunter nel 1820 sosteneva che  tra le specialità della medicina andava annoverata l’arte culinaria, forse aprendo con le sue ricette a base di pomodoro l’epopea del cibo-farmaco e della commistione tra chef e discepoli di Ippocrate.

Così, quando nell’autunno del 1832 il colera colpì Cincinnati e un giornale narrò di miracolose guarigioni per effetto di una dieta a base di soli pomodori, la cosa fu accettata senza batter ciglio: la fama di cibo inconsueto ma con doti fuori dall’ordinario era già stata digerita e come un frutto il mercato iniziava a profumare di maturo.

A favorire Miles e Phelps fu poi la viralità lenta ma implacabile delle riviste per agricoltori, che come un social portavano in ogni casa editoriali venduti al miglior offerente, senza verificare alcuna affermazione.

Disinformazione

Nel 1834, il presidente del dipartimento medico della Willoughby University in Ohio pubblicò una raffica di articoli identici su giornali come il New York Farmer and American Gardener’s Magazine o il Farmers’ Monthly Visitor, decantando le meraviglie salutari del pomodoro. Il suo camice gli attribuiva una credibilità spesa anche anticipando i tempi di paure tutt’ora ben vive: sosteneva che il pomodoro avrebbe presto sostituito tutti i pericolosi farmaci chimici usati dai suoi colleghi. Grazie a questi ricercatori a caccia conferenze ben retribuite e grazie a media per nulla selettivi rispetto alle loro fonti, Miles e Phelps si ritrovarono la strada spianata: bastava offrire ai consumatori un prodotto ad hoc basato sul pomodoro.

Allora come oggi, le notizie erano spesso oggetto di ripetuti copia-e-incolla acritici e più venivano rilanciate e più ne aumentava l’attendibilità. Ad agire in questi a casi è infatti un preciso meccanismo psicologico di conferma chiamato “effetto di mera esposizione”: se molti lo dicono sarà vero, se tanti lo ripetono lo sarà ancora di più e se una persona che considero qualificata ha scelto il pomodoro, allora imitarlo potrebbe darmi dei benefici. Certo, a beneficio dell’ingenuità di chi acquistava quelle duecentomila confezioni all’anno va detto che la ricerca medica e nutrizionale nel 1835 era agli albori ed era ostico verificare o confutare le affermazioni di Phelps, Miles o de Sequeira.

Certo, quello era il Far West con la sua mitologica assenza di controlli e regole, ma questa se vogliamo è un aggravante ai giorni nostri. Chi volesse approfondire l’effettiva qualità delle conoscenze disponibili per quelle piante più o meno esotiche proposte oggi come nuovi cibi-farmaco, si troverà infatti davanti a una sorpresa: per gli epigoni moderni del pomodoro le evidenze scientificamente solide mancano del tutto o smentiscono le promesse.

Come ai tempi delle Compound Tomato Pills, la validità di questi alimenti è misurata dalla selezione naturale del mercato e dalla disaffezione di consumatori delusi, anziché dalla ricerca indipendente. Questa ancora oggi arriva quando lo scontrino è già stato stampato e quando un’altra chimera ha iniziato a sedurre i potenziali compratori.

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