Il dopo Malagò comincia da Luciano Buonfiglio, 74 anni, napoletano, numero uno della federazione canoa e kayak, sport che ha praticato con tanto di esperienza olimpica a Montreal 1976. Battendo il leader paralimpico Luca Pancalli è diventato il nuovo presidente del Coni con 47 voti contro i 34 del rivale.

Si fa presto però a parlare di dopo Malagò: il presidente uscente è stato comunque protagonista con un ripetuto «votate per lui» a vantaggio del vincitore e ha probabilmente spostato un bel po’ del verdetto. Buonfiglio aveva azzeccato tutto, e da solo, all’inizio: scelta di tempo perfetta per candidarsi, proprio al confine fra il momento in cui si era capito che non ci sarebbe stata nessuna proroga per Malagò e le voci sulle prime candidature; capacità di alzare una diga all’insegna del «deve essere uno di noi» pronunciato dai presidenti federali quando si è affacciata l’ipotesi che portava a Diana Bianchedi, peraltro eletta in giunta e nominata vicepresidente (vicaria) insieme con il presidente dell’equitazione, Marco Di Paola; infine il tener duro degli ultimi giorni di fronte alla candidatura «pacificatrice» di Franco Carraro, che giovedì ha di fatto rinunciato dando libertà di scelta ai suoi potenziali elettori invitandoli ad appoggiare il nome più unitario.

E qui, però, probabilmente è stato ancora Malagò, che resterà in giunta come membro Cio, a costruire l’intesa che ha portato alla conferma di Carlo Mornati a segretario generale, proprio il nome che aveva pubblicamente indicato Carraro e che cancellava la precedente scelta di Buonfiglio per Alberto Miglietta, attuale presidente della Federpesi.

Le grandi manovre

Poi s’è aggiunto un altro segnale: di fronte alla più o meno dichiarata preferenza di parte della maggioranza governativa per Pancalli, vedi attivismo del capogruppo alla Camera di Forza Italia e presidente del nuoto Paolo Barelli, e in maniera non vistosa del ministro dello sport Andrea Abodi, ufficialmente neutrale, il “partito” di Buonfiglio e Malagò ha aiutato l’elezione come membro di giunta di Juri Morico, esponente dell’Opes, uno degli enti di promozione più vicini a Fratelli d’Italia, che avrebbe dovuto soccombere sulla carta di fronte all’altro candidato, e invece s’è assicurato il suo posto in modo addirittura travolgente (55 voti contro 22 dello sfidante).

Un mix di orgoglio sportivo e realpolitik che ha prodotto una vittoria piuttosto robusta almeno rispetto a qualche previsione più prudente della vigilia.

Quanto ai contenuti, Buonfiglio nel suo intervento ha parlato di un Coni «che non deve essere cambiato ma migliorato». Insomma, discontinuità sì ma fino a un certo punto. E un finale fatto di fair play, complimenti e abbracci, ma anche di qualche scambio polemico.

Quando, a bocce ormai ferme e a risultato conseguito, il suo avversario Pancalli ha parlato di «colpi bassi che fanno però parte della vita», l’appena eletto presidente ha risposto con una certa durezza: «Io posso dire di essere un rappresentante dello sport, non di una parte politica». Una patente che l’avversario, forte di una storia e di un curriculum fuori discussione, aveva rifiutato più volte ma evidentemente in modo non sufficientemente convincente (il suo successore al comitato paralimpico sarà Marco Giunio De Santis). 

ANSA

Una inversione di rotta

In giunta, il “governo” del Coni, sono entrati, oltre a Bianchedi, Di Paola e Morico anche gli atleti Giampaolo Ricci e Valentina Rodini, Elisabet Spina in quota tecnici, Marco Riva per i comitati regionali e Domenico Ignozza per i provinciali, e i dirigenti Laura Lunetta (la più votata, presidente della danza sportiva), Francesco Ettorre, Francesco Montini, Tania Cagnotto e Giovanni Copioli.

Ora, però, si passa «dalle parole ai fatti», come ha detto Buonfiglio. E qui c’è da capire che Coni sarà e in quale direzione potrà essere «migliorato», sempre per stare al vocabolario del vincitore. Consigliamo modestamente una prima inversione di rotta: la convocazione dei consigli nazionali, una sorta di “parlamento” sportivo, di prima mattina e con tutta la giornata per confrontarsi, abbandonando il rito delle discussioni telegrafiche dei risicati pomeriggi con spazi praticamente nulli per ogni dibattito.

È stato uno dei limiti della precedente gestione, un “Malagocentrismo” che avrà avuto pure l’alibi di fare muro di fronte alle varie tempeste (dalla riforma con la nascita di Sport e Salute in poi) di questi anni, ma che ora dovrà essere superato.

Ora, infatti, c’è un altro scenario. La democrazia del sistema è piuttosto affaticata, l’esigenza di allargare la base elettorale per le cariche elettive e quella di tutelare le minoranze è sempre più diffusa, facile pronosticare che questo non sia un tema particolarmente popolare tra i presidenti federali che detengono ovviamente un potere che non vogliono ridurre, ma l’esperienza dimostra che è meglio autoriformarsi che essere riformati.

Per esempio, in tema di giustizia sportiva. Negli anni si sono succeduti interventi normativi, dentro e fuori lo sport, ma ormai non si scappa: ci vuole una terzietà veramente tale, che non sia uno spostare verso la politica e il governo le nomine dei giudici sportivi, ma costruire dei meccanismi di designazione veramente super partes.

Partendo da un fatto: l’insulto è un reato, la critica no. Basta con le squalifiche per «reati di opinione». Buonfiglio avrà questo coraggio o si limiterà a chiedere magari ai soliti esperti “statutologi” del sistema, di provare a toccare le cose senza però cambiarle sul serio?

Scuola e territorio

Il problema è quello di un Coni più aperto. Non avrà più la cassa, ormai a Sport e Salute, sempre di più braccio operativo del governo, ma il diritto di intervenire su alcune grandi questioni non glielo toglie nessuno. Sì, va bene, la scuola non appartiene più alla sua area di competenza, ma per arrivare alle medaglie bisogna avere per esempio dei licei sportivi che funzionino meglio, dei programmi didattici che contemplino passato, presente e futuro dello sport, delle facoltà universitarie di scienze motorie che non siano sempre più “medicalizzate” e sempre meno “sportivizzate”.

Quanto al territorio, va dato atto a Malagò di aver frenato lo smantellamento di una parte della rete delle delegazioni provinciali del Coni, anche con una girandola di viaggi praticamente in ogni pezzo d’Italia. Ci vuole, però, maggiore capacità di ascolto. Più che dal basso, del basso. Vista la sofferenza di tante società sportive, assediate dalle nuove incombenze previste dalla riforma del diritto sportivo: una cosa è il rispetto di diritti sacrosanti di chi lavora nello sport un’altra l’assedio di obblighi che costringono a fare i salti mortali per riuscire a mettersi in regola.

E forse vanno gettate le basi di un nuovo patto fra federazioni sportive ed enti di promozione con un definitivo “chi fa cosa” che possa servire alle une e agli altri.

Milano-Cortina

Il Coni che comincia ha già dunque una lista di ordini del giorno piuttosto complicati davanti a sé. E il rischio è che si moltiplichino le spinte conservatrici del tipo: pensiamo alle medaglie e non cerchiamo altre rogne. Ma paradossalmente proprio esaurire la propria mission nella ricerca dei risultati ad alto livello è il modo migliore per rischiare di essere sempre più marginalizzati. Per dire, chiaro che la riuscita dell’Olimpiade di Milano-Cortina si misurerà anche nelle nostre presenze sul podio e nell’affidabilità organizzativa di costruzione dell’evento.

Ma poi, ancora lui, c’è un “dopo” che dovrà raccogliere – non solo in termini di impianti, ma anche di cultura sportiva, di lascito nell’immaginario, di campioni da portare in giro non solo una volta ogni tanto – l’eredità dei Giochi. Insomma, una sfida che non muore in poco più di due settimane, ma guarda molto più in là. Non si tratta di esercitare diritti di veto sull’una o l’altra iniziativa proveniente dall’esterno, ma di spostare la sfida sui contenuti. Questo Coni ce la farà?

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