Ho preso anche io il Covid, e quando meno me l’aspettavo: nell’unico momento degli ultimi due anni e mezzo in cui sono stato meno cauto del solito. Quando si tratta di Covid, preferisco lasciare parlare i dati ufficiali o le pubblicazioni scientifiche, ma in questo caso la mia vicenda, anche se non ha la pretesa di essere statisticamente rilevante o scientificamente solida, può insegnare qualcosa.

Dall’inizio della pandemia, frequento cliniche dove sono ricoverati giovani fragili, spesso immunodepressi, e per questo motivo io, come tutti i medici e gli operatori sanitari che vi lavorano, devo adottare misure di precauzione ancora più rigide rispetto ai comuni cittadini, per non rischiare di contagiare quei giovani mettendo a repentaglio la loro vita: indosso sempre la mascherina, evito i luoghi affollati, ho ridotto i miei contatti a solo due o tre persone, ogni settimana devo sottopormi a un tampone. E poi ovviamente mi sono vaccinato, con tre dosi. Finora, il Covid l’avevo scampato.

A basso rischio?

Qualche settimana fa, mi invitano a una cena all’aperto, in riva al mare, dove sono presenti solo medici e dirigenti di queste cliniche ipercontrollate.

Sono tranquillo, tutti questi medici fanno un tampone a settimana, come me, sono sicuramente negativi, stiamo all’aria aperta, si chiacchiera tra di noi e quindi mi levo la mascherina.

Di fianco a me si siede un primario che conosco da anni. Lo saluto e quando mi risponde «Ciao Andrea», noto che ha il naso chiuso e la voce un po’ rauca, poi fa uno starnuto. Quasi per scherzo gli chiedo: «Ehi, non avrai mica il Covid?», al che lui mi rimbecca: «Stai tranquillo! Ho avuto la febbre per tre giorni, ora ho un po’ di raffreddore ma ho fatto il tampone ed era negativo, è stata solo un’influenza». Io mi tranquillizzo. La lunga cena passa serena.

I sintomi

Due giorni dopo, comincio ad avere qualche sintomo: sento un po’ di brividi, faccio uno o due starnuti, la sera ho qualche linea di febbre.

Mi viene un sospetto: due giorni sono proprio il tempo medio di incubazione di Omicron, ma poi lo scaccio: «Non può essere Covid, il mio amico era negativo, mi avrà trasmesso la sua influenza».

Il giorno dopo però i miei sintomi peggiorano. La febbre sale fino a 39, ho il naso che cola, starnutisco, il mio corpo è scosso dai brividi, mi viene un mal di testa lancinante che non va via. Mi fanno male le ossa e i muscoli, sono debolissimo, mi stendo a letto e non riesco a muovermi.

Mi passa completamente l’appetito, ho la nausea, la sera mangio due cucchiai di riso in bianco ma il mio stomaco è in subbuglio, non digerisco, comincio a sudare come se avessi ingoiato una teglia intera di lasagne al ragù.

Ogni otto ore, prendo una pasticca di Tachipirina per abbassare la febbre e una compressa di antidolorifica per far andare via il mal di testa, ma per giorni la febbre resta alta almeno a 38,5, e il mal di testa non passa.

Non riesco a mangiare nulla, solo un po’ di gelato e acqua con limone zuccherata.

Sono preso dall’ansia, ogni ora vado in cucina, mi metto un po’ di sale sulla lingua e annuso la bottiglia dell’aceto per assicurarmi di non aver perso il gusto e l’olfatto e per placare il mio terrore di avere preso il Covid, ma i sapori e gli odori continuo a sentirli e questo mi tranquillizza, anche se so benissimo che Omicron solo raramente causa questi sintomi. E poi, mi dico: «Non ho tosse e non mi fa male la gola: non può essere Covid».

Per cinque giorni non esco di casa, al sesto la febbre mi passa, ma resto debolissimo e ho ancora il mal di testa. Vorrei tornare al lavoro, telefono ai colleghi che inflessibili mi fanno: «Con i sintomi che hai avuto prima dovresti fare un tampone».

Vado a comprarlo in farmacia, sempre convinto di aver avuto solo una brutta influenza.

Faccio il tampone, e compaiono le due barrette rosse vicine alla C e alla T: sono positivo al Covid.

La prima cosa che penso è che le mie tre dosi di vaccino hanno salvato la vita a me, che comincio a essere un po’ anzianotto, e soprattutto che questa variante Omicron non provoca affatto una malattia lieve come un’influenza.

Dopo cinque giorni ho ancora il mal di testa, non riesco a mangiare, ho perso 7 chili, e dopo una rampa di scale mi viene il fiatone. Avviso subito la mia azienda, poi compilo il modulo di autocertificazione del mio fascicolo sanitario elettronico, e così, da quel giorno, risulto essere uno dei tanti positivi al Covid della regione Emilia-Romagna. Subito, la regione mi invia una mail nella quale mi invita a rimanere sette giorni in isolamento.

Contact tracing?

Poi mi viene una preoccupazione: devo avvisare tutti quelli che sono entrati in contatto con me. Ma per prima cosa mando uno screenshot con la foto del mio tampone positivo al mio amico primario, quello seduto di fianco a me alla cena. Lui mi chiama subito. «Benvenuto nel regno del Covid!» mi fa. «In che senso?», replico io.

«Sai, la scorsa settimana io avuto la febbre alta e la tosse, tutti i sintomi del Covid, ma mi sono rifiutato di fare il tampone perché adesso mal che vada è come un’influenza, non volevo correre il rischio di non partire per le vacanze. Anche mia moglie e i miei due figli hanno avuto gli stessi sintomi: sicuramente hanno preso il Covid da me, ma niente tamponi, perché la Grecia ci aspetta!».

Quando ho sentito queste parole, mi è mancato il fiato. Il mio amico primario quella sera a cena dicendo di avere avuto un tampone negativo aveva mentito a me e al direttore del suo ospedale, che era seduto di fianco a lui, e soprattutto aveva nascosto la sua malattia ai suoi pazienti fragili, visto che aveva continuato imperterrito a frequentare il suo reparto, mettendo a rischio la loro salute: come poteva aver commesso una leggerezza così enorme?

«Ho capito cosa pensi», mi fa, leggendomi nel pensiero. «Stai tranquillo, quando ero in ospedale ho sempre tenuto la mascherina, ma dopo un anno di lavoro così intenso non potevo perdere i miei quindici giorni di vacanza!».

Sono rimasto senza parole. Come, lui non poteva perdersi le sue vacanze? E il rispetto verso gli altri, e soprattutto verso i suoi pazienti, che fine aveva fatto? Oltre a me, altre due persone presenti a quella cena si sono infettate col Covid, e nel suo reparto qualche giovane si è ammalato, per fortuna senza gravi conseguenze. Li ha infettati tutti lui? È molto probabile.

E quanti, come lui, in questi giorni anche se sospettano di essere positivi se ne vanno in giro ad infettare gli altri perché tanto il Covid ora è come un’influenza?

Qualche lezione

La mia è una storia personale, però può insegnare molte cose.

La prima è che Omicron è un virus terribilmente contagioso, anzi, il più contagioso al mondo. Possiamo prendere il virus da una persona infetta anche se stiamo all’aperto e a distanza di sicurezza. Meglio indossare le mascherine.

La seconda, è che fortunatamente le tre dosi di vaccino ci garantiscono ancora una protezione sufficiente contro la malattia grave e la morte.

Rischiano “solo” le persone più anziane e più fragili, che è una considerazione vile e tragica. E vi posso garantire che anche se hai fatto tre dosi di vaccino la malattia provocata da Omicron non è affatto come un’influenza, ma molto più pesante. Io, che non ho mai avuto problemi di salute e non fumo, dopo un mese dal Covid mi sento ancora debole e affaticato.

La terza è che noi tutti abbiamo cominciato a prendere troppo alla leggera il Covid. Siamo tutti stanchi e provati dopo quasi tre due anni di pandemia, ma questa non è una giustificazione.

Ogni giorno in Italia nove persone muoiono a causa degli incidenti stradali, e noi giustamente siamo scandalizzati. Bene: ogni giorno di Covid ora muoiono 100 persone, dieci volte di più, e basterebbe qualche cautela in più per salvare molte vite.

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