Dopo le dimissioni di Albino Ruberti da capo di gabinetto del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, per il video nel quale parlava ai commensali con il frasario di Suburra, si abbatte un altro scandalo sul Pd e sul centrosinistra. Alessio D'Amato, potente assessore alla Sanità nel Lazio, tra i candidati alla successione di Nicola Zingaretti alla guida della regione, è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire, insieme ad altri responsabili, 275 mila euro. Il danno erariale rischia di compromettere definitivamente la sua corsa e sposta gli equilibri e le alleanze in vista della prossima campagna elettorale per le regionali.

I fatti risalgono agli anni 2005-2008, periodo nel quale sono stati stanziati i fondi pubblici, utilizzati, secondo i giudici contabili, in spregio dell'interesse pubblico e in maniera difforme rispetto all'oggetto dello stanziamento. Il processo penale per truffa aggravata si è chiuso con la prescrizione del reato, ma come Domani ha documentato, lo scorso febbraio, è arrivato il rinvio a giudizio di D’Amato, firmato dal pubblico ministero contabile Barbara Pezzilli e dal procuratore generale Pio Silvestri.

I fatti

Ora è arrivata la sentenza, i giudici Tommaso Miele, Massimo Balestieri, Giovanni Guida hanno condannato D'Amato, in solido con i collaboratori Barbara Concutelli ed Egidio Schiavetti, a pagare 275mila euro oltre gli interessi legali.

Ma D’Amato come ha causato un danno erariale alla regione, l'ente del quale era a era al tempo consigliere e oggi assessore e plenipotenziario? La vicenda è molto semplice e gira attorno a due associazioni attraverso le quali si è realizzato l'uso disinvolto dei fondi pubblici e la distrazione dei soldi dalle originarie finalità. L'associazione “Fondazione Italia – Amazzonia onlus”, della quale D'Amato è stato fondatore, vicepresidente e presidente onorario, è stata destinataria di 275mila euro, attraverso due finanziamenti, per il programma di promozione di «iniziative di carattere sociale, culturale e sportivo di peculiare interesse per la regione».

Bisognava, con quei soldi, realizzare progetti di ricerca e valorizzazione delle culture dei popoli amazzonici. E, invece, i soldi dei cittadini sono stati utilizzati per sostenere, in modo indebito, «l’attività politica e di propaganda elettorale svolta dall’associazione Rosso Verde-Sinistra Europea, che nel periodo in esame ha espresso propri candidati alle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e alle comunali del 29-29 maggio 2006», si legge nell'atto d'accusa della procura accolto integralmente dai giudici. Così è arrivata la sentenza e la richiesta di restituzione del danno erariale, un pronunciamento contro il quale i coinvolti annunciano ricorso. 

La difesa e la sentenza

«Ritengo la sentenza ingiusta ed ingiustificata e contro la quale sarà depositato immediatamente l'appello da parte degli avvocati Angelo Piazza e Gennaro Terracciano», dice l’assessore Alessio D’Amato in un comunicato. Gli abbiamo chiesto se ritirerà la sua candidatura alla presidenza della regione che, secondo la Corte dei Conti, ha danneggiato, ma al momento non ha risposto. 

«Mi considero totalmente estraneo ai fatti risalenti ad oltre 15 anni fa, senza che peraltro sia stata fornita prova alcuna di un atto o fatto da me compiuto, rilevo che nonostante la procura regionale della Corte dei Conti per ben tre volte avesse aderito alle richieste procedurali dei miei difensori per ben tre volte e con motivazioni infondate e sorprendenti sono state respinte con verbali che non corrispondono all'effettivo svolgimento del giudizio», dice D'Amato che annuncia un esposto al consiglio di presidenza della Corte dei Conti e una denuncia per falso ideologico alla Procura della Repubblica di Roma.

Basta leggere la sentenza per scoprire che i giudici hanno vagliato, come doveroso, le obiezioni proposte dalla difesa di D'Amato, ma le hanno giudicate irricevibili. Partiamo dall'eccezione di prescrizione che avrebbe, in caso di accoglimento, fatto chiudere, come nel caso penale, in un nulla di fatto il procedimento contabile salvando passato e carriera. Secondo i giudici, a differenza di quanto sostenuto dalle difese, il termine è stato correttamente sospeso fino al 2016, anno del deposito della sentenza penale.

A nulla è valso il tentativo della difesa di depositare pezze d'appoggio per le spese sostenute, «documentazioni giustificative alterate» le definisce la corte che scrive di «un preordinato sistema decettivo con finalità distrattive».

Secondo la difesa D’Amato non avrebbe rivestito un ruolo gestionale nell’associazione destinataria dei fondi regionali, ma i giudici con tre esempi, ricavati dalla mole di documentazione della guardia di Finanza, hanno dimostrato «il diretto coinvolgimento del convenuto essendo i predetti materiali facenti diretto riferimento alla sua persona pagati con fondi relativi a spese rendicontate dall'associazione fondazione Italia-Amazzonia onlus».

Bocciata anche la regione

Quando i giudici passano a valutare il profilo e le responsabilità erariale di D'Amato sono perentori. La ricostruzione inizia elencando i ruoli ricoperti dall'attuale assessore all'interno dell'associazione e, all’epoca, in veste di politico. «Consigliere regionale e capogruppo del gruppo consiliare “Ambiente e Lavoro” in rapporto di servizio onorario, in palese conflitto di interessi e venendo meno al dovere fedeltà – spendendo tali qualità e dando indicazione di utilizzate la sede del gruppo consiliare (articolazione /organo interno dell’assemblea regionale) come punto di riferimento per le attività dalle associazioni di cui era dominus», scrivono.

C'è un punto nel quale la sentenza boccia pesantemente l'operato di D'Amato che «ha fatto gravare sul bilancio regionale spese e costi privi di alcun interesse pubblico e generale, che avrebbero dovuto essere invece sostenuti in definitiva dal gruppo consiliare in discorso e da lui stesso con fondi propri e non già dell’amministrazione di appartenenza», si legge. D'Amato viene condannato insieme ai collaboratori e all'associazione Italia-Amazzonia ancora esistente mentre viene assolta Simona Sinibaldi.

I giudici bocciano anche l'inerzia della regione Lazio, guidata da Nicola Zingaretti con assessore proprio D'Amato, amministrazione danneggiata che «non ha posto in essere nell’ampio lasso temporale intercorso dall’emersione delle predette criticità iniziative volte a tentare il recupero delle somme illegittimamente corrisposte».

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