Il ddl non è ancora stato approvato, ma le scuole fanno già autocensura. È quello che è successo a Silvia Pangrazzi, psicoterapeuta e sessuologa, che da anni insegna educazione affettiva alle scuole elementari (quarta e quinta) e medie. Con il polverone che si è alzato dopo la denuncia della segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, sull’emendamento contro questo tipo di educazione a scuola, chi può corre ai ripari, talvolta anche non capendo del tutto cosa sta accendo, come nel caso della dottoressa.

Ma facciamo un passo indietro. Il 15 ottobre, durante la discussione sul disegno di legge “in materia di consenso informato in ambito scolastico”, è stato approvato alla Camera un emendamento che specifica che, prima di svolgere qualsiasi attività che tratti temi legati alla sessualità, bisogna ottenere il consenso da parte delle famiglie: questo avviene sia per l’offerta formativa scolastica, sia per le attività esterne, come quelle di Pangrazzi, che proprio a giorni doveva iniziare il suo ciclo di incontri in una scuola elementare, e che si è vista recapitare il seguente messaggio: «Purtroppo devo chiedere una rettifica al progetto educazione all’affettività perché è stato approvato ieri un emendamento che impedisce di fare educazione alla sessualità nel primo ciclo. Quindi non potrà essere approvato in sede di collegio».

La dottoressa ha risposto che non cambierà i suoi progetti, rinunciando così all'incarico, e chiamando a una resistenza collettiva.

Le accuse dei genitori e la difesa di Pangrazzi

In realtà il disegno di legge è ancora in discussione, quindi al momento nulla è cambiato, ma la narrazione del governo e del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che parla di «teorie gender e indottrinamento», inizia a fare i primi danni: «Sono temi che fanno paura, si pensa che si vogliano “inculcare” strane idee ai bambini. Genitori mi scrivono che insegnamo il sesso e che i bambini possono diventare omosessuali», spiega Pangrazzi. «Tanti mi dicono che iniziare alle elementari è troppo presto, mi dispiace dire loro che questi bambini, da come parlano e dai gesti che fanno, anche simulando atti sessuali, hanno già avuto accesso a materiale esplicito. Ho lavorato anche alle medie come educatrice e non escludo che avessero avuto già rapporti sessuali».

La dottoressa svolge un’attività di due giorni in cui non si parla di sesso esplicitamente, capita però che gli studenti facciano domande su come nascano i bambini: molte delle domande sono in forma anonima, essendo prevista una scatola in cui inserire curiosità o dubbi. «Mi chiedono “perché alle donne piace questo”, riferendosi a rapporti violenti, “quindi le piace quando urlano?”. In generale sono soprattutto i maschi interessati all’aspetto sessuale. Le bimbe sono più in imbarazzo, più serie e interessate all’aspetto relazionale, ad esempio con le amichette», aggiunge Pangrazzi.

Nello specifico la scuola le ha chiesto di cambiare le attività del primo giorno che consistono in due momenti: il primo è sui “cambiamenti del corpo”: la psicoterapeuta divide la classe in due gruppi (maschi e femmine) e assegna a ogni gruppo un omino su cui applicare post-it in corrispondenza delle parti del corpo che stanno cambiando. Da qui parte la spiegazione della pubertà e si fa una riflessione sui cambiamenti che non per tutti avvengono allo stesso momento.

Durante la seconda attività, “piace e non piace”, Pangrazzi distribuisce una scheda in cui si invita a riflettere su ciò che piace e non piace del proprio corpo e si chiede di esprimersi anche sui cambiamenti che si provano a livello psicologico. Nessun riferimento alla sessualità quindi, ma aderenza a quel programma che proprio il ministero ha detto che non sarebbe stato toccato. Al momento per la scuola primaria le indicazioni in vigore prevedono di «acquisire le prime informazioni su riproduzione e sessualità».

«Anche gli insegnanti hanno paura»

Gli obiettivi di questo tipo di educazione però vanno oltre l’acquisizione di queste informazioni: «Queste attività aiutano anche a capire come stare con gli altri a come esprimersi, anche sul consenso: alla loro età è difficile dire di no, perché non esiste linguaggio emotivo», spiega Pangrazzi che sottolinea come nei suoi programmi non ci sono riferimenti a tematiche Lgbt, ma che spesso i bambini si chiamano tra loro con appellativi dispregiativi come “checca”, usato proprio per denigrare chi non rientra in una visione machista della mascolinità.

«Non so cosa succederà, ma sarà difficile approvare questo tipo di progetti in futuro, c’è il terrore anche tra gli insegnanti».

Intanto le reazioni non sono mancate. I presidenti degli Ordini degli psicologi di Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Puglia, Sicilia e Veneto «esprimono profonda preoccupazione»: «L’educazione sessuo-affettiva è una risorsa, non un rischio - scrivono in un comunicato congiunto -. Limitare o escludere la possibilità di promuovere da parte dei professionisti della salute attività educative su questi temi significa privare bambini e adolescenti di strumenti fondamentali per comprendere e gestire i cambiamenti fisici ed emotivi legati alla crescita».

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