Nel dialogo tra Lorenzo Gasparrini e Lorenzo Maragoni per “Il Domani delle donne”, la riflessione su potere, paura e libertà di riscrivere l’immagine dell’uomo: «Il corpo maschile porta con sé un potere che non ha scelto. È un simbolo sociale, non biologico. Serve un antidoto»
A “Il Domani delle donne”, dentro la sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano a Roma, luogo che conserva nel nome la memoria dell’impero, si parla uomini. Di fragilità, di identità. “Decostruire il maschile”, si chiama l’incontro moderato da Danilo Fastelli. Un titolo che sembra un ossimoro, una provocazione gentile. Ospiti due Lorenzo, due modi di abitare la parola: Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista, Lorenzo Maragoni, poeta e attore.
Maragoni apre con una breve stand-up comedy. La leggerezza del gesto serve a sciogliere le resistenze. «Il tipico maschio italiano», racconta parlando del suo spettacolo, «è una riflessione nata dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. All’inizio ho pensato: cosa c’entro io? Poi ho capito che ci sono dentro anch’io. Non come colpevole, ma come parte di un sistema che mi ha insegnato a essere uomo in un certo modo. E che provoca ferite intorno a me. Quella cosa non la voglio più fare».
Bisogna scomporre l’identità dell’uomo per poterla raccontare meglio, spiega Gasparrini declinando la parola “decostruire”. «Non è una demolizione. È un lavoro lento, un’analisi. Vuol dire guardare ogni pezzo con cui hai costruito te stesso e chiederti: questo l’ho scelto davvero? Lo voglio ancora? Oppure l’ho ereditato da qualcun altro, da un modello che non ho mai messo in discussione? Non è facile per un uomo, perché la pressione sociale è fortissima. Ma è l’unica via per essere liberi».
Una donna nella notte
Il dibattito si addensa, le parole diventano personali. Poi Fastelli propone un’immagine, quasi un esperimento mentale. «È notte. Un uomo cammina per strada. Davanti a lui, una donna come lui attraversa la strada da sola. Lei si irrigidisce, accelera il passo, si gira, afferra il telefono. Non lo conosce, ma ha paura. E lui lo sente».
Gasparrini si ferma un istante. La sala è immobile. Poi spiega: «Ecco, questa scena racconta molto. Perché anche senza intenzione, quel corpo maschile porta con sé un potere che non ha scelto. È un simbolo sociale, non biologico. E in quella situazione non serve difendersi, spiegare che non si è pericolosi. Serve capire cosa sta succedendo. Cambiare marciapiede, poi il giorno dopo chiedersi: perché il mio corpo viene letto così? Da dove arriva questa paura? La decostruzione non è una colpa individuale ma un lavoro collettivo. Bisogna mandare in giro storie diverse, immagini nuove del maschile. Ogni gesto, ogni parola può essere una piccola rivoluzione». È un momento che rimane nell’aria, denso di immagini. «Poi il giorno dopo ne parli con gli amici, ti chiedi perché accade, da dove arriva quell’immaginario», aggiunge «Non serve dire “non tutti gli uomini sono così”. Serve creare altri racconti, perché solo i racconti cambiano la realtà». È la fotografia esatta dell’intero incontro voluto da Domani: la consapevolezza del potere che si esercita anche senza volerlo, e la possibilità di agire cambiando racconto.
Sono i ragazzi a chiedere l’educazione
Si parla poi di educazione sessuo-affettiva, del ddl Valditara che bloccherà i corsi all’interno delle scuole e delle paure attraversano le aule. «Sono tra quelli – dice Gasparrini – che, secondo una certa propaganda, entrano nelle classi per “cambiare l’orientamento” dei ragazzi. In realtà facciamo questo da anni: ascoltiamo, spieghiamo il consenso, aiutiamo a nominare le emozioni. Non è ideologia, è educazione civile. Sono i ragazzi a chiederlo, non noi a imporlo. Le pressioni sociali arrivano prima di noi, e loro vogliono solo capire come gestirle».
Maragoni, dal canto suo, sposta il discorso sul linguaggio, sull’arte, sui social network. «Abbiamo delegato la realtà ai social. Ma lì tutto diventa performance. Il femminismo, che è collettivo, rischia di diventare competizione. Dobbiamo fare ecologia degli algoritmi, capire cosa stiamo amplificando». Gasparrini annuisce: «Io sui social rispondo male, lo ammetto. Non mi interessa piacere a tutti. Il rischio è diventare un piccolo guru, un punto di riferimento che poi deve difendere il proprio spazio. E così il patriarcato rientra dalla finestra, anche dove crediamo di averlo cacciato».
«Sei femminista per rimorchiare?»
Fastelli chiude con una domanda che alleggerisce il tono, ma solo in apparenza: «Lorenzo, sei femminista per rimorchiare?».
Gasparrini ride, insieme al pubblico. «All’inizio no. Ma la verità è che oggi basta comportarsi da persona civile per fare colpo. Il livello è così basso che il rispetto sembra un superpotere. Non lo faccio per rimorchiare, lo faccio per giustizia. Perché non mi va che in giro resti l’idea che essere uomo significhi essere una minaccia».
Poi Maragoni chiude il cerchio: «Sì, si rimorchia di più da femministi», scherza: «Ma non per convenienza: perché chi pratica il consenso vive più leggero. È una pace, una coerenza con sé stessi. È scegliere di non fare del male, nemmeno per distrazione». Il pubblico applaude piano, come si applaude quando si è pensato molto. Decostruire il maschile, si capisce allora, non è un gesto contro qualcuno. È un gesto per. Per gli uomini che non vogliono più essere prigionieri di un ruolo, per le donne che non vogliono più averne paura, per una società che può finalmente riconoscersi intera. Non un cantiere di macerie, ma di possibilità.
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