Probabilmente le perquisizioni di Brescia non erano un caso isolato. Stanno venendo a galla altri episodi di attiviste che, dopo manifestazioni pacifiche, sono state portate per ore in questura, costrette a spogliarsi e fare piegamenti. Sembrerebbe esserci un filo rosso, quasi un modus operandi o una prassi quando in questura ci finisce chi protesta, spesso pacificamente. E non in stato di arresto o fermo, ma per semplici e teoricamente rapide procedure di identificazione che alla fine diventano qualcosa di più di semplici perquisizioni.

L’ultima a denunciare è stata Valentina Corona, attivista di Extinction Rebellion che, lo scorso luglio, ha subito a Bologna trattamenti pressoché identici a quelli riservati ad alcune sue compagne che protestavano davanti ai cancelli della Leonardo. «Il trattamento a cui sono stata sottoposta è stato degradante. Per me è stato difficile espormi, ma alla fine ho deciso di denunciare», spiega Valentina a Domani. Ora l’attivista e il suo legale hanno scelto di presentare un ricorso contro l’archiviazione della denuncia.

In questura per otto ore senza acqua né cibo

L’occasione era la riunione del G7 a Bologna sulla scienza e la tecnologia dello scorso 9 luglio, uno dei tanti appuntamenti in cui “i grandi della Terra” si sono incontrati durante l’anno di presidenza italiana. Come sempre, le riunioni del G7 chiamano a raccolta manifestanti di ogni genere e vengono aumentate le misure di sicurezza. Nel capoluogo emiliano-romagnolo c’erano anche gli attivisti climatici di Extinction Rebellion. Qualcuno era seduto davanti agli ingressi del comune, a palazzo D’Accursio, qualcun altro sempre in piazza Maggiore aveva srotolato dalla Torre dell’Orologio uno striscione: «G7: la vostra tecnologia, il nostro collasso». Niente di più.

«Io facevo la mediatrice con la polizia durante i momenti di tensione», sottolinea Valentina. «Poi siamo stati portati tutti in questura, nonostante avessimo fornito senza alcuna resistenza i nostri documenti. Eravamo in 21, io ci sono arrivata a piedi. Quando siamo entrati ci hanno sequestrato tutto. Siamo rimasti lì dentro otto ore senza né cibo né acqua, stipati in una piccola stanza come le sardine». È qui che i fatti si sovrappongono con quanto successo a Brescia il 13 gennaio.

«Nuda in un bagno nauseabondo»

«Ai maschi è stato chiesto solo di svuotare le tasche, mentre a me è stato detto che sarei stata perquisita da un’agente donna nei bagni di pertinenza alle camere di sicurezza», continua Valentina. «Era un luogo nauseabondo, terribilmente sporco e non riservato. Lì mi è stato detto di spogliarmi, di dovermi togliere anche mutande e reggiseno e fare dei piegamenti». Quando l’attivista ha chiesto delucidazioni, sottolineando la natura non violenta del movimento di cui fa parte, l’agente non ha voluto sapere ragioni. Quella, a suo dire, era una «prassi ordinaria».

«Non ero mai stata in questura. Non è facile opporsi quando si ha una poliziotta davanti. Così mi sono spogliata, messa di spalle e fatto alcuni squat», aggiunge. «Quando sono uscita ho capito che nessuno aveva subito un trattamento del genere. Ho avuto un crollo emotivo. Quando mi sono ripresa ho fatto chiamare anche l’ispettore, mi hanno dato versioni diverse dell’accaduto. Poi ne hanno cambiata un’altra ancora quando hanno capito che li avrei denunciati. Mi hanno detto che sono stata perquisita in quel modo perché ero arrivata a piedi in questura, mentre le altre erano state controllate in volante. Ma non era assolutamente vero».

E anche i verbali, secondo Valentina, conterrebbero delle inesattezze: «Me l’hanno dato lontano dagli altri, circondata da agenti. C’era scritto che, prima di essere perquisita, mi avevano chiesto se volessi avvalermi di un legale di fiducia e che io mi sarei rifiutata. Falso. Nei giorni successivi sui giornali circolava solo la versione della polizia, che sosteneva che io avrei fatto resistenza. Anche questa cosa non è vera. Quel giorno – aggiunge – siamo stati fondamentalmente oggetto di sequestro. Non eravamo né in stato di arresto né di fermo. Siamo stati portati in questura per l’identificazione nonostante avessimo tutti fornito i nostri documenti». Valentina, con alle spalle un’accusa archiviata per manifestazione non autorizzata, alla fine è stata denunciata per violenza privata.

Il ricorso contro l’archiviazione

Il 26 luglio l’attivista di Extinction Rebellion ha scelto di esporsi, denunciando, e il giorno dopo le è stato recapitato un avviso orale in cui viene definita «socialmente pericolosa». Il 2 gennaio di quest’anno è arrivata la richiesta di archiviazione. Valentina lo scorso 14 gennaio ha comunque scelto, insieme al suo legale, di presentare un ricorso. «Non condivido le argomentazioni spese dal pm nella richiesta di archiviazione. Non sono condivisibili nel merito e non fanno i conti con le risultanze delle indagini», dice a Domani l’avvocato dell’attivista, Ettore Grenci.

La motivazione principale è che la poliziotta non avrebbe commesso alcun abuso perché «non era a conoscenza delle ragioni in forza delle quali l’interessata doveva essere sottoposta a perquisizione, né aveva ricevuto indicazioni sulle modalità da seguire nel corso dell'atto di controllo. Per questo seguiva l'atto di perquisizione nel modo più possibile completo». Ma il legale spiega che «dagli atti emerge esplicitamente che all’agente era stato ordinato di perquisire per ricercare materiali di propaganda. Quindi non può essere vero che non sapeva cosa stesse facendo».

«Le indagini sono state carenti»

Da un punto di vista formale, continua Grenci, «le indagini sono state carenti, a partire dalle tipologie di reato iscritte e non iscritte. È stato formalizzato solo il 609, cioè la perquisizione arbitraria. Nel verbale poi c’è scritto che l’avevano avvisata di poter farsi assistere da un difensore, ma lei dice il contrario. Quanto meno, si indaghi per capire se questo è effettivamente accaduto, perché in caso sarebbe un falso ideologico in atto pubblico. E poi il fascicolo è stato aperto a carico di ignoti, quando in tutti i verbali ci sono nomi e cognomi. L’iscrizione di persone specifiche è stata fatta solo il giorno prima della richiesta d’archiviazione».

Ci sono poi questioni che entrano più nel merito di quanto è successo lo scorso luglio nelle stanze della questura di Bologna. «Un passaggio degli atti mi lascia allarmato – continua il legale – quello in cui si dice che “l’agente avrebbe eseguito una perquisizione finalizzata alla ricerca di tracce del reato in modo accurato, senza adottare comportamenti lesivi della dignità o del pudore della persona perquisita che degenerassero nell’esecuzione di una misura inutilmente vessatoria”. Ma Valentina è stata costretta a spogliarsi in un bagno lercio. Si legge inoltre che questo tipo di perquisizione sarebbe migliore rispetto a quella tattile: quindi denudarsi è più dignitoso di essere semplicemente toccati, come quando si va in aeroporto o allo stadio? Non mi sembra che a Bologna o a Brescia siano stati rispettati i prìncipi di proporzionalità e necessità».

In arrivo una denuncia per i fatti di Brescia

Il richiamo alla «proporzionalità» è quello che ha fatto anche il ministro dell’Interno Piantedosi. Non in parlamento, dove lo attenderebbe un’interrogazione presentata da Marco Grimaldi di Avs, ma in un talk show «amico» come Dritto e Rovescio. Rispondendo alle domande di Paolo Del Debbio, il titolare del Viminale ha garantito che tutto «si è svolto nella piena regolarità», aggiungendo di aver condiviso con il capo della polizia la necessità di dover «rafforzare l’indicazione agli operatori che queste pratiche, che hanno una loro sensibilità, siano caratterizzate da una proporzionalità e adeguatezza agli scenari che si presentano». Quello che secondo gli attivisti è stato un vero e proprio abuso, per Piantedosi è «una pratica operativa che in determinate circostanze è consentita e anche prescritta».

Sabato 18 gennaio circa 200 persone si sono ritrovate sotto la questura di Brescia per chiedere giustizia per le attiviste di Extinction Rebellion, Ultima generazione e Palestina libera. Ma anche qui potrebbe aprirsi un fronte penale e un filo direttissimo tra la procura lombarda a quella bolognese.

Nei giorni scorsi uno dei legali delle attiviste, Gilberto Pagani, ha attaccato l’operato delle forze dell’ordine: «L’unica volta in cui ho sentito di perquisizioni del genere, facendo spogliare le ragazze che hanno poi dovuto eseguire degli squat, era stata a Genova durante il G8». L’avvocato ha anche aggiunto di star preparando una denuncia formale: si aspetterebbe solo di capire chi tra le ragazze avrà il coraggio e la forza di esporsi.

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