1992-2022

Falcone è stato prima deriso e poi ucciso, mentre le mafie si erano già prese il nord

Giovanni Falcone nel suo studio (Foto AGF)
Giovanni Falcone nel suo studio (Foto AGF)
Giovanni Falcone nel suo studio (Foto AGF)
  • Alle sei di sera del 30 gennaio 1992 il maxi processo è finito. E, per la prima volta nella sua storia, Cosa nostra siciliana è sconfitta. Ma il magistrato Giovanni Falcone non è tranquillo: «Credo che ci sarà inevitabilmente una reazione».
  • Ma in quegli stessi anni la mafia sale più a nord. Milano al pari di Palermo e Reggio Calabria era una polveriera pronta a esplodere. Un vecchio pentito disse a Falcone: «Dottore, qui la chiamate mafia, a Milano la chiamano corruzione».
  • Nel tribunale di Palermo è solo. È solo in Sicilia, solo in Italia. Un giudice troppo diverso per piacere a una magistratura pacifica e paladuta, troppo audace il suo “riformismo rivoluzionario” in un paese che sopravvive sulle convenienze e sui ricatti. Sono trascorsi trent’anni dalla morte del giudice, c’è da scommettere che una cosa non mancherà durante le commemorazioni: l’ipocrisia del potere.

Fuori è già buio, lo squillo di un telefono viola il silenzio nella stanza. Giovanni Falcone, direttore generale degli Affari penali del ministero della Giustizia, trattiene il fiato. È da dieci lunghi anni che aspetta questo momento. «Abbiamo vinto», dice una voce. È quella di Vito D’Ambrosio, uno dei tre pubblici ministeri che hanno sostenuto la pubblica accusa in Cassazione. I testimoni presenti nella stanza raccontano di un sorriso che sembra una smorfia, di uno sguardo coperto da un velo d

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