Riaperta l’inchiesta sui due giovani “rossi”, assassinati a Milano il 18 marzo del 1978. Al centro degli sviluppi investigativi una perizia calligrafica su un vecchio volantino
Aveva base alla Sapienza e negli anni Settanta era conosciuto con il nome di Fuan Caravella. Era l’articolazione degli studenti legata al Fronte della gioventù e al Movimento sociale italiano: la stessa in cui sono cresciuti i futuri dirigenti della destra di governo e anche i terroristi neri che hanno aderito con convinzione alla lotta armata nei Nuclei armati rivoluzionari e in Terza Posizione.
Oggi torna alla ribalta. Il Fuan romano, con alcuni dei suoi vecchi esponenti, è al centro della riapertura dell’indagine sull’uccisione di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, Fausto e Iaio, i due giovani “rossi” ammazzati a Milano il 18 marzo del 1978 nei pressi del centro sociale Leoncavallo. Sul duplice omicidio, finora impunito, la procura meneghina aveva già aperto un fascicolo, archiviato nel 2000.
Venticinque anni dopo, la riapertura del “cold case” che, accolta con entusiasmo dal suo ex giudice istruttore Guido Salvini, ha almeno tre iscritti nel registro degli indagati: l’ex Nar Massimo Carminati, il cognato Claudio Bracci, pure lui terrorista neofascista, e Mario Corsi, detto Marione, già militante dei Nuclei armati rivoluzionari e conduttore radiofonico.
Decine gli esposti, persino una lettera del sindaco di Milano Beppe Sala, con cui, nel corso del tempo, è stato chiesto di tornare a illuminare la vicenda sui due giovani, entrambi classe 1959. Ma fondamentale, per gli sviluppi investigativi, una nuova perizia calligrafica: quella su un volantino di rivendicazione dell’assassinio di una serie di camerati trovato a Roma.
Il messaggio era firmato “Esercito nazionale rivoluzionario. Brigata combattente Franco Anselmi”. Franco Anselmi era un membro di spicco dell’area Fuan Nar di Roma, il suo omicidio è avvenuto nel marzo del 1978 durante la rapina all’armeria Centofanti della capitale, divenuta rapidamente una leggenda da tramandare di camerata in camerata nei quartieri di Monteverde, Eur e Prati. Quella stessa sigla è comparsa anche nella rivendicazione dell’attentato alla sede del Pci di Via Pompeo Trogo, nel quartiere Balduina e, poi, per l’omicidio di Fausto e Iaio.
I pm Leonardo Lesti e Francesca Crupi ripartiranno da qui, iscrivendo formalmente i tre “vecchi” indagati, ma anche da una serie di testimonianze sui fatti del 1978. Già al tempo delle prime indagini alcuni testimoni avevano parlato delle «caratteristiche somatiche e d’abbigliamento di uno degli assassini di Fausto e Iaio (giovane, magro, con un impermeabile chiaro)».
Tutti elementi, si legge nei vecchi atti, «compatibili con la persona di Carminati. L’impermeabile chiaro, indossato probabilmente da due degli aggressori, era del resto quasi una “divisa” per gli esponenti della destra romana». E poi i bossoli esplosi durante l’agguato, mai rinvenuti, «raccolti in un sacchetto applicato dagli attentatori alle armi per impedirne il recupero». «Anche tale espediente – si legge nelle carte – era tipico del modus operandi dell’area Fuan-Nar».
Le foto
Gli elementi raccolti nell’indagine archiviata tornano pertanto all’attenzione degli inquirenti. Tra gli indagati, come detto, c’è pure Mario Corsi. Cosa era emerso nella vecchia inchiesta? «Il sequestro nella sua abitazione nel 1978 di fotografie di Fausto e Iaio e dei funerali degli stessi acquisite presso l’archivio di uno zio giornalista a Cremona. La disponibilità di fotografie appare ingiustificata trattandosi non di fotografie di camerati, ma di avversari politici caduti per di più in un’altra città». Ancora, si legge in quegli atti, «indicazioni, sia pur generiche, in ordine alla responsabilità del gruppo Corsi nel duplice omicidio, provenienti dai pentiti dell’area di estrema destra Cristiano Fioravanti, Walter Dordi, Stefano Soderini, Paolo Bianchi, Patrizio Tronche e Angelo Izzo».
La reazione di Corsi alla nuova indagine non si è fatta attendere: «Commento come nel 2000, i giudici fanno quello che devono fare, come è giusto che sia, non c’è altro da dire». Di questi atti si trova traccia anche nell’indagine Mondo di Mezzo che aveva messo sotto accusa il sistema di Mafia capitale. Sistema al cui vertice c’era il nero Carminati, “cerniera” tra il mondo dei Nar e la banda della Magliana, condannato in via definitiva nell’inchiesta capitolina e oggi di nuovo in carcere per finire di scontare la pena. Nell’ultimo periodo di libertà, come rivelato da Domani, era tornato ai tavoli di un bar gestito da un vecchio camerata per incontrare persone e gestire affari. Proprio Carminati rievocava in una intercettazione tutte le accuse che gli avevano mosso negli anni. «Sono stato qualunque cosa, la strage di Bologna (...) tutto quello che mi potevano accollà me lo hanno accollato», diceva.
Alla fine condanne, per fatti di sangue, a Carminati non sono mai arrivate. Così come non è mai arrivata giustizia per Fausto e Iaio. Verità da scoprire, che passano dalla rilettura di quegli anni a partire dalle stragi nere, come quella di Bologna, da nomi e documenti che si incrociano.
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