I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA) continuano a uccidere, anche nel 2025. Accade quando è ormai troppo tardi, quando la malattia ha già imprigionato la mente, prima ancora del corpo, che si sgretola sotto il peso di un’ossessione, mentre si cerca di combattere un mostro che divora “fino all’osso”, alienando dal senso della vita.

I disturbi del comportamento alimentare sono patologie complesse che spesso vengono minimizzate, a causa anche dello stigma che si portano dietro, con la sofferenza che vi è associata ridotta a un capriccio e la convinzione che basti la «forza di volontà» per superarle. Questo approccio porta a trattare l'urgenza come una semplice statistica, quando invece una diagnosi precoce e un accesso tempestivo alle cure sono fondamentali per una gestione efficace della malattia.

La fotografia della realtà dimostra come intervenire in tempi rapidi per evitare gravi conseguenze sia fondamentale. «Secondo i dati regionali del Registro nominativo delle cause di morte (RENCAM), nel 2024 in Italia si sono registrati più di tremila decessi con diagnosi correlate ai disturbi dell’alimentazione e della nutrizione. Un numero allarmante, aggravato dalle complicanze mediche e dai suicidi, perché i DNA hanno un tasso di suicidio di 1 a 6. Dati che impongono una riflessione sulla reale portata di questa emergenza sanitaria», afferma Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile della rete DCA della Usl Umbria 1.

Assistenza inadeguata e mal distribuita

L’Italia è un paese in cui un disturbo alimentare può ucciderti prima che qualcuno si accorga che sei malato. Secondo il ministero della Salute, oltre tre milioni di persone ne soffrono. L’età di insorgenza si è abbassata drasticamente: il 10 per cento delle persone colpite ha meno di 14 anni. Anche i maschi sono sempre più coinvolti, rappresentando oggi il 20 per cento dei casi.

I disturbi alimentari sono la seconda causa di morte tra i giovani dopo gli incidenti stradali, con un tasso di mortalità triplicato rispetto ai primi anni 2000. Durante la pandemia, le richieste di aiuto al Numero verde SOS Disturbi alimentari sono raddoppiate. Nel 2023 sono triplicate. Il 15 marzo, Giornata nazionale dei disturbi alimentari, riporta al centro dell’attenzione un’urgenza che non si esaurisce in un solo giorno di sensibilizzazione.

Le strutture di assistenza sono ancora inadeguate e il supporto sul territorio è troppo frammentato per garantire interventi efficaci. «Metà delle regioni italiane non dispone di un sistema di cura completo. I centri censiti a oggi sono 150, ma la loro distribuzione è estremamente disomogenea: 120 servizio sanitario nazionale, 30 privato accreditato, 78 al Nord, 31 al Centro, 41 al Sud e Isole. Ci sono realtà come Umbria, Toscana, Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia che offrono un percorso strutturato, mentre in altre zone esiste solo un reparto ospedaliero o un ambulatorio, rendendo l’intervento insufficiente. Nel Sud Italia, la carenza di centri pubblici specializzati è grave. In alcune regioni chi si ammala deve affrontare lunghi spostamenti per ricevere cure adeguate. Le liste d’attesa si allungano fino a novembre 2025».

Nuove forme di depressione

I disturbi alimentari non sono semplici ossessioni per il cibo o l’aspetto fisico: sono patologie complesse, radicate in fattori psicologici, sociali e traumatici. Sono nuove forme di depressione. Anoressia, bulimia, binge eating disorder, ortoressia e disturbi emergenti, come l’ARFID (evitamento selettivo del cibo) e la diabulimia (riduzione dell’insulina per dimagrire nelle persone con diabete di tipo 1), possono colpire chiunque, senza distinzione di genere, età o classe sociale. 

Chi non può permettersi cure private è costretto ad aspettare, mentre il sistema sanitario crolla. «Non esisto senza il mio disturbo alimentare», «sono soltanto il mio peso»: parole che, in maniera ossessiva, risuonano nella testa di chi soffre di DNA. Il ministero della Salute parla di «impegno costante» e di «sensibilizzazione», ma le famiglie dei malati raccontano un’altra storia: genitori che diventano infermieri, fratelli e sorelle che passano notti in bianco cercando di convincere chi amano a prendere un boccone di cibo.

Nonostante la gravità del problema, i fondi per i disturbi alimentari sono stati progressivamente tagliati. Sebbene rientrino nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), ottenere cure adeguate resta un percorso a ostacoli, tra strutture insufficienti e tempi d’attesa inaccettabili.

«Nel 2022, un fondo di 25 milioni di euro era stato destinato ai servizi per i disturbi alimentari, ridotto a 10 milioni nel 2023. Quest’anno, nel decreto finale del 31 dicembre 2024, non è stato più rinnovato», chiarisce la dottoressa Dalla Ragione. «Questa decisione comporterà gravi problemi, soprattutto nelle regioni che avevano utilizzato il fondo per attivare servizi che prima non esistevano, mettendo a rischio la continuità dell’assistenza».

Prevenzione, educazione e strutture adeguate: è questo che serve. «È necessario garantire un sistema di intervento uniforme in tutte le regioni, con una rete efficace di assistenza ambulatoriale, day hospital, strutture residenziali e ricoveri ospedalieri. È essenziale anche formare adeguatamente medici di base, pediatri e operatori sanitari, affinché siano in grado di riconoscere i segnali di allarme e indirizzare tempestivamente i pazienti verso i percorsi terapeutici più adeguati», conclude la psichiatra.

Chi soffre di disturbi alimentari non ha bisogno della retorica di un "basta mangiare", ma di ascolto e cure tempestive.

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