Il sole che sabato 6 settembre sorgerà sulla basilica di San Pietro annuncia una nuova alba per la comunità dei credenti Lgbtq+ perché, in un clima di attesa e allo stesso tempo incertezza, prenderà forma il primo pellegrinaggio delle persone queer della storia della chiesa, con tanto di processione e attraversamento della Porta Santa, come da programma giubilare.

Inserito fra i pellegrinaggi minori nel calendario ufficiale dell’Anno Santo e, per questo, criticato dalle testate più conservatrici, per le persone credenti della comunità arcobaleno questo evento non ha niente di secondario. Lo mostrano le cifre delle adesioni registrate: circa 1500 pellegrini provenienti da tutto il mondo, compresa l’Australia.

Un evento continentale, quindi, impensabile nel lungo pontificato di Giovanni Paolo II, che si è scagliato a più riprese contro la comunità arcobaleno durante il World Gay Pride, reo di aver scelto Roma come teatro della parata nell’anno del Grande Giubileo del Duemila: «A quel tempo era evidente l’opposizione pubblica dei vertici della chiesa, tanto che il cardinale Camillo Ruini criticò questa decisione, e tanti altri cercarono di impedirla, costringendo il sindaco dell’epoca, Francesco Rutelli, a ritirare il patrocinio» ricorda don Vitaliano della Sala, parroco a Mercogliano, in provincia di Avellino, che ha pagato con l’isolamento il prezzo della sua esposizione pubblica.

Dal silenzio alla visibilità

Venticinque anni e due giubilei dopo, il clima è cambiato. Il pellegrinaggio, organizzato da La Tenda di Gionata, vedrà la partecipazione di diversi preti e altrettante suore impegnate in questi anni nella pastorale arcobaleno.

Vi prenderanno sicuramente parte alcuni fra i religiosi e i preti che, nel processo sinodale italiano del 2022, indirizzarono una lettera ai vertici della Conferenza episcopale italiana denunciando la durezza della chiesa: «Parole dure rivolte a noi, preti e religiosi omosessuali, per il solo fatto di esserlo».

Per le persone credenti e queer essere a San Pietro come pellegrini significa rivendicare, prima di tutto, un spazio: «Io, personalmente, all’inizio ero scettico: mi sembrava impossibile intraprendere un cammino del genere dentro la chiesa cattolica. Ma l’incontro con tanti consacrati, preti e suore, impegnati su questi temi, mi ha fatto ricredere» spiega Innocenzo Pontillo, presidente dell’associazione nata alla fine degli anni Novanta per dare voce alle persone silenziate nella chiesa.

Con il pontificato di Francesco, gran parte della comunità è uscita dall’armadio e si è lasciata alle spalle lo stigma e la paura: «Vorrei che tutti noi transgender, omessessuali, ecc. potessimo vivere la nostra fede senza essere giudicati o vergognarci di possederla. Essere qui per me significa principalmente vivere liberamente la mia fede e poter dimostrare che si può essere transgender ma allo stesso tempo credente» spiega Alessia Nobile, assistente sociale e attivista transgender, oggi punto di riferimento per le detenute trans pugliesi. Alessia, che ha incontrato papa Francesco svariate volte, è rinata grazie a pastori come don Andrea Gallo e don Angelo Cassano.

Orfani di Francesco

Il supporto della chiesa a realtà a marginalizzate, come la comunità trans, è molto sentita in Sudamerica, da cui proviene Ana Flavia Chavez, sostenuta in questo viaggio dal cardinale Pedro Barreto: «Nella chiesa spesse volte ho sentito che molti volevano sedersi lontano da una donna trans. È certamente un problema politico, visto che il Perù è uno dei quattro paesi dell’America Latina che non ha una legge per l’identità di genere delle persone trans. Ma d’altronde, noi abbiamo una pastorale transgender molto più sviluppata rispetto all’Italia».

In dodici anni di pontificato, lo stile di Francesco ha lasciato spazi a gesti e parole nuove, che però non hanno avuto un’eco nella dottrina cattolica, rimasta pressoché invariata. Fiducia supplicans, la dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede pubblicata nel 2023 per regolamentare le benedizioni alle unioni fra persone dello stesso stesso, è stata terreno di scontro con i vescovi dell’Africa, per i quali quella Lgbtq+ è un’ideologia tutta occidentale.

Il pellegrinaggio di oggi intende mostrare che sotto la patina di una resistenza tutta culturale ci sono volti che hanno sofferto e lottato per la propria identità: «Il punto è che siamo sempre state persone invisibili e, quando la chiesa ci accettava, ci diceva come comportarci» spiega Ana González, venuta da Burgos con la sua compagna per partecipare al pellegrinaggio.

Il pellegrinaggio è stato anticipato da una toccante veglia di preghiera alla Chiesa del Gesù, quartier generale dei gesuiti italiani, fra gli strenui promotori dell’evento con l’iniziativa Chiesa casa per tutti. In fondo, basta questo a capire che quest’evento è l’ultima eredità del pontificato di Francesco: «A volte mi sento orfano di Francesco, perché aveva una forza pastorale e un amore autentico per le persone. Mi mancheranno i suoi gesti, che parlavano molto più di tanti documenti ufficiali», ricorda Pontillo.

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