Detta un po' brutalmente, il governatore vuole una fetta di torta. Scriviamola così perché, in sostanza, è proprio il senso delle sue parole. Una provvigione - chiamiamola ancora così - magari del 3 per cento e non certo per lui ma per i siciliani. Quali siano poi questi siciliani, è tutto da vedere.

È probabile che il governatore abbia in mente la riduzione delle bollette ma, al momento, di sicuro sono pendenti in regione richieste di autorizzazioni per impianti fotovoltaici per una decina di miliardi di euro. L'affare fa gola, fiutato da Renato Schifani che non ha intenzione di fare solo il passacarte come vuole la legge. Cosa succederà in Sicilia sulle energie rinnovabili non lo sappiamo, intanto è già successo il finimondo. Fiammate, veti, messaggi trasversali, interviste a chi la spara più grossa con la regione che sembra un suq.

Veti e messaggi

Ricapitoliamo. Qualche giorno fa il governatore, subito spalleggiato da due suoi predecessori che gli sono molto amici, Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro, se n'è uscito allo scoperto come un funambolo dichiarando: «Ho deciso a breve di sospendere il rilascio delle autorizzazioni per il fotovoltaico, dobbiamo valutare l'utile d'impresa con l'utile sociale e con il danno ambientale.

La Sicilia paga un prezzo non dovuto per una risorsa che abbiamo, è il danno e la beffa». E poi arriva al punto che più gli interessa: «Mi chiedo perché non debba essere riconosciuta una quota anche alla regione siciliana». La fetta di torta.
La Sicilia è terra fortunatissima per sole e vento, prima e soltanto qualche volta seconda regione italiana con la più alta produttività del fotovoltaico. E, fino a qualche mese fa, era anche in vetta alle classifiche che misurano l'efficienza per il rilascio delle autorizzazioni ambientali nel settore delle rinnovabili. Per quasi 10 miliardi di euro, dalla metà del 2020 sino alla fine del 2022. Ma da quando c'è lui, Schifani, la musica è cambiata. Vuole la sua parte, vuole una sorta di accise, una tassa sull'energia. Obiettivo complicato da raggiungere: è tutta materia regolata da leggi nazionali e da direttive europee, la regione siciliana in teoria è fuori dai giochi ma in pratica i califfi di Palermo non vogliono restare a bocca asciutta. Ecco come si spiegano le parole del governatore Schifani che ha minacciato lo stop alle autorizzazioni.

Solo uno spot?

In realtà l'interesse dei nuovi vecchi padroni della Sicilia per una percentuale sul fotovoltaico c'è sempre stata (il primo e più accanito sostenitore Raffaele Lombardo), ma da quando Schifani ha aperto la sua campagna elettorale nel settembre scorso è diventata una sua fissazione.

Da una parte lui e i soliti noti, dall'altra le opposizioni, poi le critiche aspre dei sindacati, di ambientalisti e tecnici, poi ancora le perplessità del ministro delle Imprese e del made in Italy Aldolfo Urso di Fratelli d'Italia.
La mossa di Renato Schifani ha l'effetto di uno spot ma nasconde molto altro. E' una delle grandi partite siciliane di questi mesi. E invece di programmare e ordinare i mastodontici investimenti sul fotovoltaico (fra la piana di Catania e le prime colline della provincia di Enna è previsto il più grande impianto d'Europa), alla regione pensano all'antica e alzano la posta. Improvvisano, vogliono tutto e subito come volevano tutto e subito i loro antenati degli anni '50 e '60 quando ancora non si parlava di sole e di vento ma di miniere, di zolfo e di sale, e poi di idrocarburi e di raffinerie. Vittimismo e furbizie.
Sergio Lima, della direzione nazionale del Partito democratico e nella segretaria regionale siciliana, ha seguito le acrobazie di Renato Schifani sul fotovoltaico fin da principio: «Non si è mai preoccupato di fare una pianificazione, di fare una mappatura delle aree idonee e non idonee e adesso si tira fuori questa storia del blocco delle autorizzazioni che svela la mancanza totale di una visione strategica sul futuro della Sicilia».

La parolina magica

In verità Schifani non si è mai preoccupato neanche di un altro aspetto e per nulla secondario del problema: quello della cosiddetta “compensazione” in favore dei comuni che ospitano le installazioni fotovoltaiche da parte delle grandi società che investono nell'isola.

Le società hanno l'obbligo di risarcire quei comuni, con il 3 per cento dei loro ricavi, appunto in opere compensative tipo strade, impianti di illuminazione, reti idriche e fognarie. Il governatore, che fa un po' di confusione, vorrebbe anche per la regione almeno quel 3 per cento per riempire le cassaforti. Non c'è legge che lo preveda.

Da lì sono cominciate le frizioni con Roma, il botta e risposta con il ministro Urso, le pacche sulle spalle ricevute subito da Raffaele Lombardo e con l'assessore all'Energia del governo Schifani Roberto Di Mauro che si è messo subito in riga. La parolina magica - royalties - però la pronunciata per primo Toto Cuffaro: «Credo che il governatore abbia voluto significare come la Sicilia non possa rimanere esclusa dalle royalties versate in produzione energetica anche come ristoro».

La guerra contro i tecnici

Per capire meglio questa rocambolesca vicenda del fotovoltaico siciliano è necessario fare un passo indietro e tornare ala giunta precedente, governatore Nello Musumeci di Fratelli d'Italia.

A vigilare su tutta la questione c'era un pool di esperti e presidente della commissione tecnico scientifica per le autorizzazioni ambientali in Sicilia era Aurelio Angelini, storico esponente dei Verdi nell'isola e preside della facoltà di Scienze dell'Uomo dell'università Kore di Enna. Stava per cambiare il governo, stava per arrivare Schifani e, nonostante il record di concessioni autorizzate per il fotovoltaico, Angelini viene indicato da Schifani come l'ambientalista “che con il suo rigore blocca tutto”. Dice di più Schifani: «Il professore Angelini è come Dracula all'Avis, all'associazione volontari di sangue».

Ne nasce una polemica violentissima, poi Angelini si dimette. E il blocco lo va a minacciare proprio il governatore. «Quello che ha sostenuto Schifani è infondato e assolutamente falso, lui si fida di quattro monnezzari, cavaioli (proprietari di cave, ndr) e palazzinari, fin quando sono stato a capo di quella commissione abbiamo saputo dire di no quando andava detto, abbiamo portato scompiglio fra chi aveva interessi su discariche e cave e cemento, il rilascio delle autorizzazioni non è la sua bottega personale, è un'attività amministrativa che compete alla regione e che non si può bloccare e non può essere sottoposta a modifiche se non con leggi nazionali che dovrebbero discendere da direttive europee».

Il “re del vento” e i leghisti

Le procedure "ferme" in regione sul fotovoltaico oggi sono tra le 300 e le 400 e sono di fatto congelati investimenti per poco più di 10 miliardi di euro. Siccome la regione non può svolgere un ruolo di "mediazione” preferisce mandare tutto all'aria. Accusa Angelini: «Ma bloccare sarebbe un abuso perché lui non ha questo potere, o fa finta o non sa davvero come funziona..non esiste la possibilità di avere royalties, sarebbe quasi un'estorsione». L'ex presidente del comitato tecnico scientifico della regione annuncia un esposto alla procura della repubblica: «Lo stiamo preparando con alcuni colleghi della facoltà di Ingegneria».
In questa vicenda del fotovoltaico, almeno per ora, c'è poca mafia e c'è tanto business. Anche se nella postazione chiave regionale per le autorizzazioni Angelini si è insediato dopo l'azzeramento della struttura seguito allo scandalo del “re del vento” Vito Nicastri, sospettato di legami con il boss Matteo Messina Denaro (una condanna annullata per concorso esterno e un altro processo ancora  in corso) e che ha coinvolto nel 2019 l'ex sottosegretario leghista alle Infrastrutture Armando Siri e Paolo Arata, l'ex consulente per l'Energia di Matteo Salvini. Da quel momento tutto è filato liscio fino a quando è arrivato Schifani.

Gli eredi del Cavaliere Montante

Sullo sfondo un ”sistema“ ereditato dai tempi del Cavaliere Calogero Antonello Montante, l'ex vicepresidente di Confindustria condannato per associazione a delinquere e dossieraggio che del governatore è amico oltre che coimputato in un processo a Caltanissetta. In quasi totale isolamento, Aurelio Angelini si è ritrovato addosso i potenti dell'isola. In testa anche i capi di Sicindustria, primo fra tutti Alessandro Albanese che dello spione Montante è sempre stato un fedelissimo. Albanese aveva parlato della pubblicazione di un volume per dimostrare le mancanze di Angelini in commissione, il professore ha replicato colpo su colpo “alla bugiarda campagna diffamatoria”. E ha fatto capire chi erano i suoi nemici: «Contro di me c'è una montante campagna». Giochi di parole, montante e Montante (inteso Calogero) con in mezzo sempre quelli di Sicindustria.

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