La prossima guerra si combatterà nello spazio? Nei giorni scorsi la Russia è stata accusata dalla Nasa di aver messo in pericolo gli astronauti sulla stazione spaziale internazionale. È successo durante il test di un’arma che ha distrutto un satellite, creando una massa di piccoli detriti fuori controllo che potrebbe vagare per anni.

Ma se questo è l’episodio che ha avuto più visibilità ed è stato riportato dai giornali di tutto il mondo, in realtà già da tempo si sta preparando nel silenzio il campo alla militarizzazione dello spazio, o almeno di quello più vicino al nostro pianeta. Senza troppe differenze apparenti fra i possibili schieramenti e con segnali che filtrano nel muro di omertà.

Il mancato annuncio

Il segretario di stato americano, Antony Blinken, ha stigmatizzato il comportamento russo. In un tweet ha scritto che gli Stati Uniti «condannano il test spericolato della Russia che ha utilizzato un missile ad ascesa diretta contro un suo satellite, creando detriti spaziali che mettono a rischio la vita degli astronauti, l’integrità della stazione spaziale internazionale e gli interessi di tutte le nazioni».

In realtà, anche gli Stati Uniti stanno testando da tempo armi molto simili con lo stesso obiettivo di distruggere eventuali satelliti nemici. Secondo un’indiscrezione riportata dalla giornalista Theresa Hitchens su Breaking Defense, e mai smentita, il Pentagono sarebbe stato pronto già la scorsa estate a rivelare al mondo di possedere una nuova arma antisatellite.

Hitchens, citando fonti interne allo stesso Pentagono, racconta di come gli Stati Uniti vi stiano lavorando da anni: forse già da quando era presidente Bill Clinton (1993-2001), sicuramente da quando lo era George W. Bush (2001-2009).

A metà agosto l’attenzione mondiale si è concentrata poi sulla disastrosa ritirata dall’Afghanistan. Mentre i Talebani riprendevano il controllo di Kabul – sempre secondo Hitchens – al Pentagono sarebbe sembrato quanto meno inopportuno dimostrare al mondo le proprie capacità militari rivolte allo spazio.

Non è comunque un mistero che gli investimenti americani per tecnologie per la difesa spaziale siano aumentati negli ultimi anni, come dimostra la creazione di una space force, annunciata con l’enfasi di uno spettacolo dall’allora presidente Donald Trump. Il test russo ha semplicemente reso più evidente come lo spazio possa diventare un territorio di conquista non solo per scienziati, astronauti e miliardari che sognano Marte.

L’allarme dell’Onu

La conferma arriva indirettamente dall’Onu, dove la discussione sulla regolamentazione dello spazio oltre l’atmosfera non è esattamente una novità, ma ha ricevuto un’accelerazione negli ultimi mesi. Se ne parla almeno dal 1957, in coincidenza con il lancio del primo satellite. Dieci anni più tardi è stato approvato il trattato che è ancora la base di ogni discussione sul tema, almeno fra terrestri. Fissa il concetto che lo spazio è un luogo pacifico dove l’esplorazione è consentita a tutte le nazioni, nel comune interesse per il progresso scientifico. Nello spazio non possono essere utilizzate armi nucleari o di distruzione di massa.

Negli anni però la situazione è decisamente cambiata. Se alla fine degli anni Sessanta, in tempi di guerra fredda, bastava fissare i princìpi base su cui regolare i rapporti nello spazio, l’evoluzione tecnologica e gli interessi commerciali per lo spazio richiederebbero ora regole più stringenti per limitare una corsa alle armi che nei fatti sta già avvenendo. Ed è quello che ha sostenuto il Regno Unito, sponsorizzando una risoluzione per la riduzione delle minacce spaziali che è stata poi adottata dall’assemblea generale a dicembre dello scorso anno.

Nei mesi successivi le delegazioni di 29 stati, Italia compresa, hanno dato il loro parere che è stato poi sintetizzato in un report del segretario generale, António Guterres. A inizio novembre la questione è stata discussa davanti al primo comitato, quello che si occupa di sicurezza internazionale e disarmo. Il Regno Unito ha proposto la creazione di un apposito gruppo di lavoro che dovrà scrivere le norme. La proposta è stata approvata dal comitato a larga maggioranza (163 paesi hanno votato sì, in otto no e in nove si sono astenuti). Entro fine anno dovrebbe essere discussa dall’assemblea generale.

Nuovi orizzonti

L’approvazione di una normativa comune non sarà però così semplice. Anche perché il progresso tecnologico ha abbassato la barriera d’accesso allo spazio, facendo aumentare di conseguenza sia gli interessi commerciali sia quelli militari.

Lo si capisce bene leggendo il parere italiano inviato all’Onu. L’Italia ritiene che serva «una maggiore cooperazione internazionale per stabilire norme, regole e princìpi per evitare che lo spazio si trasformi in un’arena di conflitto». C’è però un problema: «L’abbassamento delle barriere dei costi per lo spazio e l’obsolescenza del diritto spaziale internazionale ha consentito agli investitori privati di fare affari lungo l’intera catena del valore spaziale. Questa “commercializzazione” della tecnologia spaziale comporta che gli stati dipendano sempre di più dalle aziende per la fornitura di prodotti e servizi spaziali. Così si sono creati nuovi livelli di complessità che in futuro incideranno sulla creazione della normativa spaziale».

In contemporanea è aumentato anche il perimetro dello spazio interessato dalle attività umane. Non si devono regolamentare soltanto le orbite più vicine alla Terra, ci sono altri corpi celesti da considerare.

La proposta italiana

La proposta italiana è dunque di dividere «lo spazio esterno in tre aree separate, ognuna con le sue caratteristiche specifiche: le orbite terrestre; le orbite lunari e planetarie; la superficie dei corpi celesti (ovvero Luna, Marte e asteroidi), considerando come i comportamenti e i loro effetti influiscano sulla sicurezza e la protezione nello spazio».

Nella proposta italiana viene citato come esempio da punire proprio il fatto di distruggere satelliti e creare detriti spaziali, che per le loro caratteristiche rischiano di vagare nello spazio come proiettili senza controllo.

(AP Photo/Noah Berger, File)

Mostrarsi al mondo

L’episodio del satellite russo rischia di essere soltanto un’anticipazione di quello che potrebbe accadere nei prossimi anni, se non si riuscirà davvero a trovare un accordo internazionale. Anche perché l’attenzione pubblica sul pericolo di una guerra spaziale non sembra così diffusa, al di fuori degli appassionati di fantascienza, dei militari e degli addetti ai lavori.

Per questo bisogna tornare all’articolo di Theresa Hitchens su Breaking Defense. Quale sarebbe stato l’interesse del Pentagono nel rivelare al mondo il possesso di un’arma antisatellite? Secondo Hitchens, nella difesa americana sta passando l’idea che tenere tutto segreto potrebbe essere controproducente: «Una lista di alti ufficiali, leader civili del dipartimento della Difesa e membri chiave del Congresso ha sostenuto per anni che l’eccessiva segretezza sui temi dello spazio sia un danno. Così legislatori, pubblico e nazioni alleate non hanno la consapevolezza di come le minacce nello spazio stiano crescendo», scrive Hitchens.

Sviluppare un’arma tecnologica in segreto ne farebbe perdere lo scopo principale: «Un’arma invisibile non riesce a dissuadere i nemici», come sostiene John E. Hyten, generale dell’air force e vice capo delle forze armate americane, appena andato in pensione. I russi potrebbero avere imitato l’esempio, decidendo di far vedere al mondo la facilità con cui possono distruggere un satellite.

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