La Camera dei deputati ha approvato all’unanimità il progetto di legge che mira a modificare la definizione di violenza sessuale del codice penale introducendo il concetto di consenso. In base alla proposta emendata, se verrà approvata anche dal Senato, l’articolo 609 bis punirà con la reclusione da sei a dodici anni «chiunque compie o fa compiere atti sessuali a un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima». Che significa: il sesso senza consenso è stupro.

L’Italia da anni è inadempiente per non aver intrapreso nessuna azione per modificare la definizione penale di stupro, così come richiesto dagli obblighi internazionali sottoscritti. La Convenzione di Istanbul, il più importante strumento internazionale vincolante in materia di contrasto alla violenza di genere, prevede infatti che gli stati adeguino le norme inserendo il consenso, nel senso di «libera manifestazione della volontà della persona», «valutato tenendo conto della situazione e del contesto» e revocabile «in qualsiasi momento e con ogni forma».

Ad oggi invece la fattispecie del codice penale prevede che l’autore del reato agisca «con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità». 

La definizione

Un risultato inatteso, frutto dell’accordo bipartisan raggiunto dalle due leader dei maggiori partiti di maggioranza e opposizione. La premier Giorgia Meloni e la segretaria del Partito democratico Elly Schlein si erano infatti confrontate direttamente sulla questione, permettendo così il voto all’unanimità della commissione Giustizia il 12 novembre

Il progetto di legge, a prima firma della deputata del Pd Laura Boldrini, è stato presentato il 7 febbraio 2024. A questo sono state riunite altre due proposte delle deputate Cinque stelle Gilda Sportiello e Stefania Ascari. Le relatrici Maria Carolina Varchi e Michela Di Biase, rispettivamente di maggioranza e di opposizione, hanno raggiunto un compromesso contenuto in un emendamento al testo. Se il testo iniziale proponeva di introdurre la perifrasi «in assenza di consenso», la modifica su cui è stato raggiunto l’accordo inserisce il concetto di «consenso libero e attuale». 

La proposta, dunque, è formata da un solo articolo che riscrive integralmente il 609 bis del codice penale. La nozione di consenso è in linea con quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul – scrive il centro studi della Camera – «di cui le componenti essenziali sono identificate nella libertà e nell’attualità». Libero significa privo di coercizione, mentre attuale vuol dire valido nel momento in cui l’atto sessuale avviene. 

L’emendamento, inoltre, aggiunge l’abuso «di particolare vulnerabilità della persona offesa». E, quindi, viene applicata la stessa pena a «chi costringe taluno a compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, ovvero chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica o di particolare vulnerabilità della persona offesa al momento del fatto, o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona». 

La Cassazione

Nonostante il codice penale non sia ancora in linea con le disposizioni della Convenzione di Istanbul, la Corte di Cassazione ha affermato che «il delitto di violenza sessuale si configura anche laddove la violenza non sia stata tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ritenendo sufficiente che la volontà risulti coartata». 

Secondo le decisioni della Corte, si configura il reato non solo se la condotta è realizzata in presenza di una manifestazione del dissenso della vittima. Ma anche in assenza del consenso della persona offesa, non espresso neppure tacitamente. Si tratta poi di violenza sessuale anche quando il consenso, inizialmente prestato, venga meno a causa di un ripensamento o della non condivisione delle forme o delle modalità di consumazione del rapporto. Dunque, il consenso deve perdurare per tutta la durata del rapporto. 

La svolta culturale

L’introduzione del consenso nella fattispecie permette di portare l’onere della prova sull’autore del reato. Nei processi, spesso, il dovere di provare che – in base alla norma in vigore – ci sia stata violenza, minaccia o abuso di autorità ricade sulla donna.

La vittima oggi è spesso chiamata a fornire spiegazioni sui propri comportamenti, come perché non ha reagito, non è fuggita o non ha urlato. Studi internazionali dimostrano però come la reazione più diffusa tra le donne vittime di violenza sessuale sia un blocco fisico, psicologico ed emotivo. Con questa modifica, invece, sarà l’uomo a dover dimostrare che c’è stato consenso.

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