Quest’anno si sperava di celebrare la giornata dell’8 marzo con l’accordo di tutti i paesi dell’Unione europea sulla norma – inserita nella proposta di direttiva per il contrasto alla violenza contro le donne – che qualificava lo stupro come sesso senza consenso e lo rendeva un crimine in tutti gli stati dell’Ue.

Invece così non è stato: la norma è stata stralciata. Si è raggiunto un compromesso, lasciando la definizione e prevedendo campagne di sensibilizzazione, ma l’atto sessuale senza consenso non sarà reato europeo.

Alcuni paesi membri – come Polonia e Ungheria – si sono opposti per ideologia, mentre altri – come Francia e Germania – hanno rilevato un difetto di competenza dell’Unione in materia penale. Fatto sta che è stata soppressa una disposizione innovativa per il contrasto alla violenza sessuale.

La Convenzione di Istanbul e il consenso

La norma bocciata intendeva conformare il diritto europeo alla Convenzione del Consiglio d’Europa in materia di violenza di genere del 2014 (Convenzione di Istanbul), cui l’Ue ha aderito nel giugno 2023. Ai sensi della Convenzione, «il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto» (art. 36).

Con l’adozione di questa definizione, il reato di stupro sarebbe stato configurato nello stesso modo in tutti gli stati membri. Oggi, invece, tra di essi ci sono rilevanti differenze. In alcuni paesi – tra cui l’Italia – il crimine sussiste solo quando l’autore usa forza, costrizione o minacce oppure approfitta della situazione di vulnerabilità della vittima, restando invece impunito quando queste circostanze non siano provate, sebbene manchi il consenso dell’altra parte all’atto sessuale.

Questo approccio giuridico è sfavorevole alla vittima perché in concreto, per provare la violenza, le impone di dimostrare di aver reagito in ogni modo alla violenza stessa. Ma gli studi documentano che la risposta più comune di chi subisce uno stupro non è la resistenza fisica, ma la paralisi, l’incapacità di muoversi. Per questo motivo tante vittime rimangono prive di tutela. La norma stralciata dalla proposta di direttiva, invece, le avrebbe protette.

Lo stupro nei paesi Ue

Un report del Parlamento europeo del gennaio scorso espone le normative degli stati membri dell’Ue in tema di stupro e consenso. Dei 27 stati membri dell’Ue, 21 hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, ma solo 14 tra essi hanno adeguato ad essa la disciplina nazionale, prevedendo il consenso come elemento essenziale del reato di violenza sessuale.

Molto nota è la legge spagnola, denominata “Solo sì è sì”, che nel 2022 ha modificato le disposizioni in materia di violenza sessuale, ponendo al centro il consenso positivo: quest’ultimo sussiste solo quando è espresso liberamente attraverso atti che, valutati sulla base delle circostanze del caso, mostrino in modo chiaro la volontà della persona di accettare il rapporto.

In Germania, invece, dal 2016 vige la regola del “No significa no”: costituisce reato qualsiasi atto sessuale realizzato contro la volontà riconoscibile della vittima, senza necessità di dimostrare l’uso di violenza o minaccia. Dal 2018 tale dimostrazione non serve nemmeno in Svezia: c’è stupro quando una persona non partecipa volontariamente al rapporto sessuale. La norma elenca una serie di situazioni in cui la partecipazione è sempre considerata non volontaria.

Anche in Portogallo, dal 2019, lo stupro è definito come atto contro la volontà conoscibile della vittima. Il paese ha adottato questa definizione dopo che il Grevio – il gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne – aveva rilevato come servisse «rompere definitivamente con la vecchia prassi dei tribunali portoghesi di richiedere la prova della resistenza della vittima per poter condannare l'autore del reato».

L’Austria distingue tra il reato di violazione dell’autodeterminazione, che sussiste quando manca il consenso, e il reato di stupro, per la cui configurazione è invece richiesta la presenza di forza o coercizione.

I Paesi Bassi stanno predisponendo una riforma del crimine di stupro, per il quale finora era necessario provare l’uso di coazione o minacce. Sarà invece sufficiente che ci sia anche solo un motivo fondato per dubitare della volontà dell'altra persona, come un comportamento marcatamente passivo o che indichi riluttanza all’atto sessuale mediante segni non verbali.

Gli stati più arretrati

Cinque stati membri – Estonia, Francia, Italia, Romania e Polonia – pur avendo ratificato la Convenzione di Istanbul non hanno adottato alcuna misura per rendere l’assenza di consenso un elemento costitutivo della fattispecie di stupro.

In Italia il codice penale continua a qualificare lo stupro in relazione all’uso della forza, della minaccia di forza o della coercizione o dell’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima (art. 609-bis). In altre parole, se non ricorrono queste situazioni per il codice non c’è stupro, anche qualora manchi il consenso. Solo grazie alla giurisprudenza, negli ultimi anni, tale elemento è stato valorizzato. Nel maggio scorso, ad esempio, la Corte di Cassazione ha affermato che «nei reati contro la libertà sessuale il dissenso è sempre presunto, salva prova contraria» (sentenza n. 19599/2023).

Il Grevio ha esortato tutti e cinque i paesi ad adottare una definizione di violenza sessuale che valorizzi il consenso della vittima, in conformità alla Convenzione di Istanbul. Se pure a livello europeo non si è raggiunto un accordo, la definizione prevista dalla Convenzione andrebbe recepita almeno a livello nazionale. Solo così ci potrebbe essere davvero un cambio di passo, garantendo la piena protezione dell'integrità sessuale e dimostrando anche in via normativa una cultura improntata a condivisione e rispetto. Peccato che l’Italia continui a evidenziare una preoccupante arretratezza.

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