Cinque anni alla guida della provincia, dieci anni alla guida della regione, un passato da parlamentare europeo e segretario del Pd e un presente da deputato.

Nicola Zingaretti è sempre in sella. Con lo sguardo sornione e mite che gli ha consentito di rabbonire ogni tempesta, di neutralizzare ogni scandalo, il fratello di Montalbano è riuscito sempre a uscirne indenne. 

Ma che eredità lascia l’interprete del potere romano e figlio politico dell’eminenza grigia del partito, Goffredo Bettini?

Per capire cosa resta di un quindicennio di regno bisogna partire dalla guerra aperta nel partito per la sua successione, un conflitto tra bande in cui non compare il nome di un candidato che possa avere la sua funzione rassicurante e aggregante.

Per tre lustri Zingaretti è stato un sorridente parafulmine mentre attorno si muovevano e si sedimentavano grumi di potere che si concentrano soprattutto a Roma. Marianna Madia ha parlato di associazioni a delinquere nel 2013, anni prima della resipiscenza. 

Zingaretti era sempre lì a mettere pezze, vedeva l’ex capo della polizia provinciale (Luca Odevaine) travolto dall’indagine mondo di mezzo e poi condannato, il suo capo di gabinetto (Maurizio Venafro) coinvolto e assolto e, infine, il suo nuovo capo di gabinetto (Albino Ruberti) parlare, anni dopo, come un soldato di Suburra, ripreso da una misteriosa telecamera da qualcuno che decide di metterlo fuori gioco.

LaPresse

Dal palazzo della regione Lazio vedeva il disastro della capitale, l’anarchia di Ignazio Marino messa sotto controllo davanti a un notaio, il partito travolto dagli arresti e dall’onta, evitata per un soffio, di Roma sciolta per mafia, ma anche le occupazioni nella sanità, il concorso farsa come quello di Allumiere.

Quante ne ha dovute affrontare l’onorevole. Alcuni guai li ha gestiti di persona, uscendone sempre a testa alta, mai tronfio, sempre sorridente.

Finanziamenti per Zingaretti

Zingaretti ha vinto le elezioni provinciali, poi quelle regionali nel 2013 e nel 2018. Imprenditori, manager e semplici cittadini hanno finanziato la sua campagna elettorale, alcune di queste società hanno avuto rapporti con le aziende regionali.

Nel 2018, durante la campagna elettorale per le regionali, il comitato Zingaretti ha ricevuto 12mila euro dalla società New Generation, una srl che ha ottenuto nello stesso anno affidamenti diretti dalla società regionale, Laziocrea, per un totale di 40mila euro. 

«Avevamo visto un annuncio sul sito Mepa (il portale di acquisti della pubblica amministrazione) e abbiamo partecipato, ma si trattava di affidamento diretto mentre abbiamo perso la successiva gara. L’erogazione al comitato Zingaretti, invece, è stata effettuata perché volevamo dare un contributo, avevamo una conoscenza con il candidato Marco Vincenzi (poi eletto consigliere regionale e oggi presidente del consiglio regionale, ndr). Le due cose sono totalmente scollegate», dice Claudio Ambrosi, titolare della società. 

Nello stesso anno la lista civica Zingaretti ha ricevuto 50mila euro, sotto forma di servizi, da Evolution people, società destinataria di due affidamenti sempre da Laziocrea tra il 2018 e il 2019.

«Abbiamo realizzato altre attività oltre a quelle indicate rispondendo agli inviti di Laziocrea e formulando le nostre migliori offerte. Siamo un’agenzia di digital marketing che opera da oltre 10 anni al servizio di brand nazionali ed internazionali», dice Enzo Ciavarglioli, presidente della società.

I guai archiviati

Zingaretti si è candidato alla Camera dei deputati senza mollare la presidenza della regione, sempre aggrappato alla poltrona ma curandosi di evitare gli incarichi più scivolosi, come il sindaco di Roma.

Mai maldestro o scomposto, anche se ogni tanto ha ceduto al triviale quando qualcuno lo ha incalzato con qualche domanda. Capita anche ai migliori.

«Non me ne frega un cazzo», ha detto, nel 2019, a chi gli poneva domande sul suo futuro. All’epoca era segretario del Pd, in guerra con Matteo Renzi.

Diploma da odontotecnico, non ha mai praticato; iscritto all’università di Lettere, ha lasciato dopo tre esami; Zingaretti è diventato subito una stella della sinistra giovanile, a 27 anni già viveva di politica, prima consigliere comunale a Roma e poi in ascesa nei Ds e, successivamente, nel nascente Pd.

Vittorie, ma anche guai che ha sempre brillantemente affrontato puntando sul tempo che diluisce ogni ricordo. L’inizio è quel pasticciaccio brutto del palazzo della provincia.

Una vicenda che si è chiusa, nel marzo 2021, con la richiesta di archiviazione della procura della Corte dei conti per Zingaretti e gli altri coinvolti (anche l’ex sindaca Virginia Raggi).

Cos’era successo? Tutto ruotava attorno all’acquisto di un immobile, di proprietà del costruttore Luca Parnasi, una torre di 32 piani «risultata peraltro inagibile e quindi inutilizzabile» acquistata attraverso il fondo immobiliare dell’ente, appositamente costituto. 

L’operazione da 263 milioni di euro non ha avuto conseguenze penali e neanche contabili. Tutto archiviato, tranne il disastro immobiliare.

Nei suoi anni in regione, ma ancora prima in provincia, Zingaretti si è sempre occupato di contrasto alle mafie firmando accordi con Libera, varando l’osservatorio regionale, partecipando a incontri e dibattiti.

Nel 2014 la regione ha promosso il meeting sulla legalità e all’ennesima conferenza in cui il Pd si è interrogato sul suo futuro ha partecipato anche l’allora procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, ma le chiacchiere e le promesse si sono subito scontrate con la dura realtà. 

La capitale si è svegliata, pochi giorni dopo, con l’indagine sul “mondo di mezzo”, l’arresto di Massimo Carminati e decine di politici indagati.

Nei filoni d’inchiesta Zingaretti è stato indagato per tre ipotesi di reato, ma è stato archiviato su richiesta della pubblica accusa nel 2017. 

Il solito Salvatore Buzzi, il ras delle coop, ha straparlato e riferito di soldi e finanziamenti, parole che non hanno avuto alcun seguito perché prive di riscontri.

Stesso esito per la vicenda relativa al centro unico di prenotazioni, appalto subito sospeso dal presidente della regione, il giudice nell’archiviare parla, però, di «discutibili prassi dell’amministrazione regionale».

Un terzo episodio – anche questo archiviato – ha riguardato proprio la compravendita del palazzo della provincia, ma non è stato trovato alcun riscontro.

Nel processo sul “mondo di mezzo”, Zingaretti è stato inizialmente sentito nel 2016, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere in quanto all’epoca era indagato in un procedimento connesso, poi archiviato. 

«Tutti elementi che appaiono supportare la ricostruzione dell’imputato Buzzi sulla vicenda e che danno adito al sospetto di una testimonianza falsa o reticente di Zingaretti», hanno scritto i giudici di primo grado nella sentenza che hanno inviato alla procura. Il procedimento giudiziario conseguente per falsa testimonianza è stato archiviato.

Chiusa la parentesi giudiziaria, nel 2018 Zingaretti si è candidato nuovamente alla presidenza della regione e ha vinto tra gli strali della grillina Roberta Lombardi. L’esponente del M5s ha poi cambiato idea ed è diventata assessora nella giunta. 

Anche il braccio destro di Zingaretti, Maurizio Venafro, è stato coinvolto nell’inchiesta sul “mondo di mezzo”. L’altalena processuale si è chiusa con l’assoluzione nell’ultimo grado di giudizio. 

Zingaretti e Centofanti

Gli stessi nomi sono emersi anche in un’altra vicenda nella quale Zingaretti è stato indagato e poi archiviato, il reato ipotizzato era finanziamento illecito. I fatti sono stati resi pubblici nel 2019 e hanno riguardato professionisti, società e l’ente regionale. 

L’avvocato Giuseppe Calafiore ha riferito ai pubblici ministeri di finanziamenti erogati dal lobbista Fabrizio Centofanti per la carriera politica di Zingaretti, ma nulla è stato riscontrato anche in questo caso.

Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone diventato poi imprenditore, vantava buoni rapporti con il presidente della regione Lazio. E quando Venafro si è dimesso da capo di gabinetto in regione ha ottenuto una consulenza da 70mila euro, proprio da Centofanti.

Calafiore ha riferito che «le fatturazioni con Venafro erano state un modo per remunerarlo per un’attività che egli aveva svolto quando era funzionario della regione Lazio, in ordine a un’autorizzazione che non sarebbe stata concessa senza un suo intervento».

Le autorizzazioni erano relative a due impianti idroelettrici, ma Centofanti ha spiegato che l’approvazione è arrivata quando Venafro è già fuori dalla regione.

L’ente regionale ha anche finanziato una società di Centofanti con 85mila euro, simile a quella versata a Venafro per la consulenza.

«Il workshop fu finanziato anche da Banca Intesa...Io non nascondo la mia amicizia con Venafro, non nascondo neanche l’amicizia con il presidente Zingaretti», ha detto Centofanti ai pubblici ministeri, ai quali ha raccontato la mancata approvazione a un impianto solare quando Venafro e Zingaretti avevano ruoli apicali in regione. Insomma, da loro favori non ne ha mai avuti.

E ora? Venafro è stato implicato in diversi processi. In uno gli sono state contestate alcune nomine, ma anche in quel caso è stato assolto.

«Personalmente non ho mai avuto dubbi sulla sua correttezza e onestà», ha detto Zingaretti. Venafro, dopo l’esperienza in regione, ha lavorato a Link campus, è diventato consulente, nel 2021, di Cinecittà spa, braccio operativo del ministero della Cultura, con un contratto annuale da 70mila euro, prima di diventarne direttore delle risorse umane.

Unico processo aperto è quello che vede Venafro imputato, insieme a Fabrizio Centofanti, proprio per quella consulenza da 70mila euro, i pubblici ministeri gli contestano quelle fatture, ma l’avvocato Maurizio Frasacco è sicuro che dimostrerà l’innocenza del suo assistito.

Venafro si è fatto da parte e nel 2018 l’uomo macchina in regione è diventato Albino Ruberti, di recente pizzicato in un video a parlare come un soldato di Suburra e costretto alle dimissioni da braccio destro del sindaco Roberto Gualtieri.

Zingaretti ha affrontato anche altri problemi, come il concorso chiacchierato di Allumiere, comune in provincia di Roma, dove le regole sono cambiate in corsa e politici di quasi tutti i partiti hanno partecipato in una graduatoria infinita che ha liberato posti in diversi enti locali del Lazio. Le domande erano state fornite prima ai candidati "favoriti” e alcuni sono stati ripescati grazie ai requisiti cambiati. 

Il concorso, sul quale indaga la procura di Civitavecchia, è diventata una cuccagna, tranne per chi non aveva raccomandazioni. Alla fine dello scandalo è stato sacrificato Mauro Buschini, costretto a dimettersi da presidente del consiglio regionale. 

Il Covid nel Lazio

Zingaretti ha dovuto affrontare anche l’emergenza pandemica, due anni nei quali ha brillato la stella di Alessio D’Amato, assessore alla sanità, con il sogno di diventare futuro presidente, infranto da una condanna in primo grado della Corte dei conti. 

Il 14 aprile 2020 la regione ha ricevuto da Atlantia, la società controllata dai Benetton, mezzo milione di euro, utilizzato per «l’acquisizione di congelatori -80°C per l’attuazione del piano di fattibilità della prima fase di somministrazione del vaccino Covid-19».

Tutto regolare, tutto trasparente, ma pesa il nome dei Benetton, i padroni associati al disastro del ponte Morandi. 

Ma il vero buco nero è un altro: il reperimento delle mascherine. Domani ha raccontato quanto accaduto con l’affare (a perdere) da 27 milioni di euro e l’affidamento all’azienda Biolife, scelta dagli uffici regionali con il passaparola. Basta ricostruire quei passaggi per capire le modalità di approvvigionamento dei dispositivi di sicurezza. 

L’imprenditore Dario Roscioli, imputato per bancarotta, aveva una società da segnalare, ne ha parlato un vecchio amico con cui giocava a calcetto, Renato Botti, direttore generale della sanità regionale, che ha girato il nome alla funzionaria Lorella Lombardozzi.

«Roscioli, a Roma, è quello del pane, c’è un forno che si chiama così, lo chiamavo senza sapere chi chiamavo, come tutti quelli ai quali ho telefonato», ha raccontato Lombardozzi per spiegare quella scelta. 

Vicenda analoga è quella dell’affidamento alla Ecotech del reperimento delle mascherine, comprate con lauto anticipo e mai consegnate. Per quella storia Zingaretti ha ricevuto un invito a dedurre dalla procura della Corte dei conti, un avviso di garanzia nelle procedure giudiziarie contabili. Nell’atto, notificato qualche settimana fa, viene citato l’interessamento della sorella (estranea alle indagini), ma Zingaretti non ha commentato, impegnato nella campagna elettorale.

Da segretario a deputato

Da presidente della regione si è candidato alle elezioni politiche raccontando i suoi successi. «Con le scelte e le riforme coraggiose di questi anni oggi il Lazio è la seconda regione italiana per prodotto interno lordo è tornata a competere», ha scritto sul suo sito. 

È diventato deputato e ha criticato l’addio al campo largo: «Divisi si perde tutti. Questa vocazione unitaria che ci ha fatto vincere in tanti territori, è stata a volte derisa e a volte in maniera goffa contrapposta a un Pd con “forte identità”». 

Il riferimento è ai suoi due anni da segretario del Pd, quando ha lanciato Giuseppe Conte come leader del fronte progressista, opzione poi abbandonata da Enrico Letta, suo successore alla guida del partito. Zingaretti ha lasciato il ruolo di segretario nel marzo 2021 con parole che preannunciavano un terremoto: 

«Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni».

Passano i mesi e il rivoluzionario è tornato il mite di sempre, non ha mai spiegato quella parola, “vergogna”, né ha fatto i nomi delle persone che si occupavano solo di poltrone mentre il paese sprofondava. Si è preoccupato della sua poltrona e ieri è diventato onorevole della Repubblica. 

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