Se non fossimo in un paese occidentale, qualcuno avrebbe già parlato chiaramente di sportwashing. Il presidente degli Stati Uniti, dal tavolo dello Studio Ovale, che discute di un possibile intervento militare contro l’Iran e rivendica i propri successi politici con alle spalle i giocatori e i dirigenti di una nota squadra di calcio europea. È ciò che è successo nella notte tra il 18 e il 19 giugno, e protagonista del surreale evento propagandistico è stata addirittura la Juventus.

Il club bianconero è stato accompagnato alla Casa Bianca dal presidente della Fifa Gianni Infantino, notoriamente in ottimi rapporti con Donald Trump (era presente alla sua cerimonia di insediamento, pochi mesi fa). Per quanto possano essere stretti i legami commerciali tra Stellantis e gli Stati Uniti, è comunque difficile credere che la Juventus sapesse cosa sarebbe successo una volta incontrato il presidente americano.

Il disagio di Weah e compagni

Anche se qualche sospetto sarebbe stato legittimo, considerando che da quando è tornato a Washington Trump non ha mai mancato di trasformare ogni incontro ufficiale a cui ha preso parte in un teatrino a proprio uso e consumo.

Alle spalle del presidente, i volti disorientati, forse imbarazzati, dei giocatori juventini. Tim Weah ha raccontato ai media, dopo la partita contro l’Al-Ain, che lui e i suoi compagni non erano stati informati dal club di cosa sarebbe successo. «Quando ha iniziato a parlare di politica, dell’Iran e tutto il resto, è stato tipo: io voglio solo giocare a calcio, amico», ha commentato il giocatore statunitense.

Non è probabilmente l’unico a essere stato a disagio: il suo connazionale Weston McKennie solo cinque anni fa, durante le proteste di Black Lives Matter, definiva Trump «ignorante» e «razzista», dicendo che non credeva fosse «l’uomo giusto per fare il presidente».

Gli attacchi alle persone trans

Ma uno dei momenti più imbarazzanti e problematici dell’incontro alla Casa Bianca è stato quando Trump ha rivendicato il divieto da lui emesso a gennaio per impedire alle donne trans di competere negli sport femminili («Uomini che giocano in sport femminili», per dirla a modo suo). Trump si è rivolto ironicamente ai calciatori juventini chiedendo loro se una donna potesse giocare nella loro squadra, ovviamente banalizzando all’estremo una questione in realtà molto complessa.

Silenzi e sorrisi imbarazzati da parte dei bianconeri, fino a che Trump non ha posto la stessa domanda anche al nuovo direttore generale Damien Comolli. «Difficile», ha risposto il dirigente francese, per poi aggiungere che comunque la Juventus «ha una buona squadra femminile». «Ma dovrebbero giocare con le donne, giusto?», ha insistito Trump, strappando a Comolli un convinto cenno di assenso, con immancabile sorriso.

Questo breve siparietto non può non creare un po’ di disagio, vista l’apparente complicità della dirigenza bianconera con la retorica contro le persone trans del presidente americano. In questi anni, la Juventus si è schierata spesso in favore dell’inclusività e dei diritti per la comunità Lgbtqia+.

Da tempo aderisce come Ambassador al Milano Pride, attraverso l’iniziativa More Colorful Together, rivendicando il proprio impegno per creare una società più accogliente, inclusiva e che rispetti i diritti di tutti, aiutando coloro che sperimentano situazioni di marginalità dentro e fuori dalla comunità Lgbtqia+».

Queste le parole del comunicato diffuso dal club nel giugno 2024, che ha seguito quelli degli anni precedenti. Nel 2021 la Juve aveva anche iniziato a usare un logo arcobaleno durante il Pride Month, che si tiene ogni giugno, peraltro reagendo a una presa di distanza della UEFA sul tema (finalizzata, all’epoca, a non creare attriti con l’Ungheria di Orbán durante gli Europei).

Le responsabilità della dirigenza bianconera

Nel 2025, invece, nessun logo arcobaleno sui social e nessun comunicato sulla collaborazione con Milano Pride. E ora questa scenetta alla Casa Bianca, su cui i giocatori non hanno alcuna responsabilità ma dirigenza e proprietà certamente sì. Che la Juventus si sia prestata alla propaganda di Trump è già di per sé discutibile, ma diventa ancora più grave nel momento in cui le posizioni del club e del presidente americano sui diritti Lgbtqia+ e delle donne dovrebbero essere diametralmente all’opposto.

Era tutta una facciata, come è stato per altre importanti aziende statunitensi, rapide a cancellare i propri programmi d’inclusione per non scontentare Trump? Tifosi e tifose che avevano accolto positivamente le iniziative bianconere in questo senso attendono ora un doveroso chiarimento ufficiale da parte del club.

© Riproduzione riservata