«La rete c’è solo vicino al ponte. Vi chiamo più tardi. Siamo liberi». Il messaggio arriva su Viber diverse ore dopo l’ingresso dell’esercito di Kiev a Kherson, unico capoluogo ucraino finito in mano russa pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione ordinata da Vladimir Putin. Il riferimento è al ponte Antonivskyi, principale collegamento tra la sponda ovest ed est del fiume Dnepr, attraverso cui i russi hanno completato la loro rapida ritirata, prima di distruggerlo, per impedire l’eventuale passaggio delle forze ucraine. Dall’11 novembre sulla riva occidentale del fiume Dnepr è tornata a sventolare la bandiera giallo blu di Kiev, sulla riva orientale rimane quella bianca, blu e rossa di Mosca. In mezzo il nulla, i collegamenti tra le due sponde sono stati distrutti. Sul lato destro chi è rimasto a Kherson, come si vede da alcune foto pubblicate nei gruppi Telegram, cerca i punti in città dove si riesce ad accedere alla rete Internet per rassicurare i familiari: «Siamo liberi».

Festa al buio

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Kherson è tornata Ucraina. In città c’è un clima di festa, nonostante si viva da diversi giorni senza luce, acqua, gas e internet. Qualcuno è riuscito ad acquistare, nei giorni scorsi, generatori elettrici alimentati a gas o benzina perché frigoriferi e congelatori continuassero a funzionare, evitando così di gettare via le scorte di cibo, accumulate nei mesi scorsi per l’incertezza alimentare in una vita sotto occupazione.

Il giorno della liberazione è stato senza dubbio un giorno di festa a Kherson. Ci sono stati gli abbracci ai soldati e cori per le forze armate di Kiev. Le bandiere ucraine sono tornate a sventolare sugli edifici principali della città e dei villaggi liberati, i più colpiti durante la controffensiva. Sono stati rimossi i simboli russi lasciati dagli occupanti, come targhe commemorative e insegne.

Il giorno dopo è stato l’arrivo di un camion pieno di merce dell’Atb, nota catena ucraina di supermercati, a far gioire gli abitanti della città. Il video del furgone che entra suonando il clacson all’impazzata ha circolato su Telegram. «Chi abita a Kherson capirà», scrive l’autore del filmato. 

I timori degli abitanti

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Ma, dopo l’entusiasmo delle prime ore, nel clima di festa cominciano a riaffacciarsi le paure. «Sicuramente è bellissimo che abbiano liberato Kherson. Ma molti temono che diventi la prima linea nel conflitto. In città non va tutto bene come sembra, non c’è riscaldamento, luce, Internet», dice Lisa, originaria di Kherson. Lei ha lasciato la città, ma i suoi genitori si trovano lì e non riesce a mettersi in contatto con loro.

Secondo i media di Kiev sono state le «truppe russe, prima di partire, a far saltare la rete elettrica e la torre della televisione». Per la russa Rbk l’energia elettrica manca da più di una settimana a causa «dell’attività di sabotatori ucraini». Di chiunque sia la responsabilità, la realtà è che le persone sono isolate da diversi giorni.

Per l’energia elettrica ci vorrà circa un mese, secondo quanto ha dichiarato a Kiev Independent Dmytro Sakharuk, direttore esecutivo del gruppo energetico ucraino Dtek. «La rete internet tornerà in un paio di giorni», assicurano dall’amministrazione regionale. La gioia per la liberazione si mischia dunque all’incertezza del presente e alla paura del futuro. 

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, prima, e il ministro degli Esteri Dmytro Kuleb, poi, hanno ricordato: «La guerra continua». E Kherson sembra essere destinata a diventare la prima linea del fronte. «Gli occupanti russi non ci daranno pace. Dovremo aspettarci un massiccio attacco missilistico e di artiglieria lanciato dalle forze di Mosca passate sulla riva sinistra del fiume Dnipro», ha detto il portavoce dello Stato maggiore ucraino Vladyslav Seleznyo, come riporta Unian.

A questo si aggiunge la paura ancora più pressante degli attentati in città per mano di soldati russi travestiti da civili, la cui presenza è stata confermata dall’agenzia di intelligence ucraina. La ritirata russa, che ha permesso la liberazione di Kherson, ha lasciato infatti diverse domande aperte sul futuro del conflitto.

Il piano di Putin

L’opinione di chi vive in città sembra divisa tra coloro che vedono nella liberazione di Kherson «una vittoria straordinaria» dell’Ucraina – per dirla con le parole del consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan – e chi invece crede che il ritiro rientri in un piano strategico di Vladimir Putin. «Mosca continuerà a riprendersi i territori russi e per ovvie ragioni non ha ancora utilizzato tutto il suo arsenale di possibili armi di distruzione», avverte il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza russo Dmitri Medvedev in un post su Telegram in cui allude proprio di Kherson.

Nel frattempo, però, a Mosca il consenso interno sembra cominci a scricchiolare. «Diamo al sovrano pienezza assoluta dei poteri per salvarci tutti…E se non ci salvasse? In quel caso lo attende il destino del ‘Re delle piogge’ (in russo ‘Zar delle piogge’ ndr)», ha scritto su Telegram in un post, poi rimosso, il filosofo Alexander Dugin. Dugin si riferisce a un racconto del Ramo d’oro di James Frazer, in cui il re viene ucciso per non aver saputo portare la pioggia in un periodo di siccità. Il riferimento, clamoroso, sembra essere proprio allo zar Putin.

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