Se pur in sordina, senza troppa enfasi, molti docenti scolastici ieri, sabato 18 ottobre, si sono mobilitati in tutta Italia contro le Nuove indicazioni nazionali del Ministero dell'Istruzione e del Merito. Nell'arco della giornata sono state numerose le iniziative promosse in quaranta città in opposizione al progetto del governo Meloni e a favore di una "scuola democratica". La giornata è stata lanciata da un'aggregazione sorta nella scorsa primavera su impulso di organizzazioni professionali come il Movimento cooperazione educativa, la Flc-Cgil, i Cobas scuola e altri, ma anche delle associazioni di genitori e degli studenti, oltre a realtà storiche del panorama italiano come Arci, Libera, Legambiente, Anpi.

Che la mobilitazione sia stata convocata non solo contro il modello didattico della riforma Valditara, ma soprattutto a favore di un diverso sistema d'istruzione, che «guardi al futuro e non al passato», è un punto fondamentale.

Le Nuove indicazioni nazionali sono un manifesto ideologico-politico che esprime la visione del mondo - reazionaria e ottusa - di questo governo: fanno però leva sull'inerzia e il conservatorismo diffuso sia nel corpo insegnante che nell'opinione pubblica; inoltre, la retorica dominante intorno al mondo della scuola, dipinto continuamente in maniera negativa e denigratoria, non aiuta a reagire a questa sfida. In ogni caso, la sfida va condotta sul terreno politico, attraverso la costruzione di un'alternativa e la messa a fuoco delle rivendicazioni su cui puntare: limitarsi allo sdegno intellettuale e a una contrarietà morale non è una strategia corretta.

Vediamo ad esempio il settore che più degli altri rappresenta il vero nucleo ideologico delle Nuove indicazioni, la storia. L'incipit sull'Occidente che - solo - conoscerebbe la storia è diventato lo slogan più famoso dell'intero documento ministeriale, e come tale si è meritato valanghe di critiche. Attraverso la storia, sostiene Ernesto Galli Della Loggia, responsabile di questa sezione, la cultura occidentale «è stata in grado di farsi […] intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e di modellarlo». Questo primato occidentale deve essere al centro dell'insegnamento, sotto la forma di racconto, di una narrazione edificante - dunque moraleggiante e non critica - che evidenzi in particolare l'avvento del cristianesimo - che ha dato un senso alla storia (!) - e l'emergere del nazionalismo, presentato non come una costruzione socio-politica, ma come la decisiva presa di coscienza dei popoli.

Non sono posizioni nuove per chi conosce il percorso intellettuale di Galli Della Loggia, che da anni si preparava al grande salto dalle parole scritte per la saggistica e la pubblicistica a quelle prescrittive dei documenti ministeriali. Gli ultimi suoi libri vedono come coautrice proprio Loredana Perla, ordinaria di didattica presso l'Università di Bari e responsabile della commissione che ha redatto le Indicazioni nazionali.

Il problema della scuola italiana, secondo i due, non sarebbe la cronica mancanza di finanziamenti - infrastrutturali e formativi - o le incertezze che sempre gravano sul corpo docente, precario e sottopagato, ma la mancanza di una didattica basata sull'identità italiana. Il globalismo e il multiculturalismo hanno rovinato le ultime generazioni di studenti, la prospettiva mondiale promossa dalle precedenti Indicazioni nazionali è stata una jattura perché ha impedito di focalizzarsi su ciò che solo può dare sicurezza ai ragazzi: il solido riferimento a una tradizione nazionale e nazionalistica, ovviamente come unico modello prescrittivo a cui adattarsi.

Oggi però non è sufficiente portare avanti una critica intellettuale a queste castronerie, che, come è stato segnalato da voci autorevoli, non hanno fondamenta teoriche e ignorano aspetti pedagogici e storiografici fondamentali. Una volta che tali posizioni sono entrate integralmente nei lavori ministeriali e acquisito la dignità di indicazioni governative, la critica va mossa su un altro livello. È su un altro livello, infatti, che esse traggono la loro forza e legittimità. Il rischio altrimenti è di trovarsi in mano solo armi spuntate. Si veda ad esempio il dibattito organizzato a fine settembre nell'ambito del festival della Filosofia di Modena dal titolo: "Quale storia per la scuola italiana", con Ernesto Galli Della Loggia e lo storico modernista Vincenzo Lavenia dell'Università di Bologna. Qui i due ospiti sono stati posti su un livello di parità con il compito di confrontarsi sugli argomenti, fingendo che il primo non avesse anche un'investitura ufficiale dal ministero. Galli Della Loggia non è stato presentato come estensore della parte sulla storia delle Indicazioni nazionali, ma solamente in qualità di intellettuale.

Quello a cui hanno assistito gli spettatori (e che è possibile rintracciare su YouTube cercando le registrazioni del Festival) è stato un confronto animato tra due opzioni di cosa selezionare della storia, tra due modalità di scelta dei contenuti da proporre a scuola. La prima riduzionista e nazionalista di Galli Della Loggia, supportata da una retorica grezza che rimanda a un crudo realismo, la seconda più articolata e cosmopolita di Lavenia, colta e brillante ma poco ancorata alla realtà scolastica. Così almeno l'ha voluta sminuire Della Loggia, in un passaggio che merita di essere riportato perché estremamente istruttivo: «Certo quando si sta su un palco in questa bella città uno si può immaginare qualsiasi cosa, poi però ci sono poi le dure repliche della realtà, tra cui non ultimo la preparazione di decine di migliaia di insegnanti, anche della scuola dell'obbligo. Come dicono tutti i redattori delle case editrici che pubblicano i manuali scolastici, ormai l'obiettivo vero dei manuali scolastici non è tanto quello di insegnare la materia agli studenti, ma di dare informazioni ai professori perché possano fare lezione agli studenti. Ci rendiamo conto che abbiamo un corpo insegnanti che ha bisogno - in parte significativa - del manuale per organizzare le proprie lezioni?».

Ecco qui la vera forza nascosta, la solida base su cui si è realizzata la scalata politica di Galli Della Loggia: lo svilimento del lavoro dei docenti e l'adattarsi ai livelli più bassi dell'attuale panorama scolastico. La sua proposta di "buon senso" e di realismo fa leva sul cronico definanziamento del comparto scolastico, sulla mancanza di un programma di formazione continuativa e coerente per gli insegnanti, sulla delega di buona parte della didattica alla centralità e alla dittatura del manuale, grazie a cui le case editrici continuano a fare affari d'oro sulle spalle delle famiglie. Un corpo docente sottopagato e non valorizzato è anche un corpo docente che si può sentire rassicurato dal ritorno al libro Cuore e dal rinchiudere l'insegnamento della storia nelle liturgie nazional-patriottiche: sono elementi tradizionali della cultura su cui non è necessaria alcuna formazione, è sufficiente recuperare in soffitta qualche compendio di storia risorgimentale o le collane sui "Grandi Italiani" e soffiare via la polvere.

La coerenza di questo disegno con il programma politico del governo Meloni è evidente. Di fronte alle sfide della contemporaneità, che richiederebbero un investimento massiccio nel comparto educativo e la creazione di un complesso ecosistema culturale, si preferisce il rassicurante ripiegamento su un presunto e ottuso "sé", il ritorno low-cost al feticcio fatto in casa dell'identità italiana. La battaglia contro le Indicazioni nazionali del ministro Valditara deve quindi necessariamente diventare una battaglia per una scuola diversa, una scuola da valorizzare e su cui investire una percentuale della spesa pubblica ben superiore rispetto ai livelli attuali (che vede l'Italia ultima nei confronti internazionali con i cosiddetti paesi avanzati). Le componenti più consapevoli e dinamiche della scuola devono farsi protagoniste dei dibattiti e dell'elaborazione di una nuova politica educativa.

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