Dal 17 al 19 febbraio è in programma a Verona la terza edizione dell’European Outdoor Show. Il nome è piuttosto opaco: cos’è questa manifestazione lanciata come una grande fiera internazionale della caccia, della pesca, del tiro sportivo, della nautica e dell’outdoor? Di fatto è una fiera delle armi, dato che esporranno i loro prodotti, pistole, fucili, le maggiori industrie di armi del mondo. L’anno scorso, all’interno della Fiera di Verona, gli espositori erano 350, i metri quadri degli stand 60mila, i visitatori 37.500. Quest’anno sono previsti numeri tutti al rialzo.

L’entusiasmo degli annunci della nuova edizione è stato smorzato nelle ultime settimane da una mobilitazione di diverse associazioni e movimenti veronesi – a partire dal comitato che negli ultimi mesi si è mobilitato per la Palestina – che hanno rivelato la natura problematica di Eos: è possibile che uno spazio pubblico, come la Fiera di Verona, sia occupato per tre giorni da quello che di fatto è un gigantesco arsenale?

Una fiera di armi

Che sia una fiera di armi era molto evidente sia già l’anno scorso sia due anni fa, e c’erano già state proteste da parte del Movimento non violento e della Rete italiana per la pace e il disarmo. Uno dei loro portavoce, Mao Valpiana, scriveva sulla fiera dell’anno scorso: «Negli stessi padiglioni dove tra qualche settimana al Vinitaly verranno esposte bottiglie di Lugana o Amarone, di Prosecco o Brunello, da oggi ci sono fucili, pistole, armi semiautomatiche, da tiro o da difesa. Eos viene presentata come una festa degli sport all’aperto ma è in realtà un’esposizione (e vendita) di armi da fuoco. Ce n’è di ogni tipo»; e denunciava anche la presenza di aziende legate a persone condannate per violazione dell’embargo alla vendita d’armi.

Giorgio Beretta sempre l’anno scorso sul manifesto sposava la linea dell’osservatorio bresciano Opal: «Più che un salone espositivo, “Eos” è una chiara operazione ideologica e di marketing per incentivare, anche in Italia, il possesso e la diffusione di armi».

Una manifestazione che è una fiera da pistoleri del Texas profondo in una città come Verona non è solo disturbante, ma sarebbe da bloccare. Ancora di più perché avviene in un spazio pubblico: Veronafiere, la società che gestisce gli spazi della Fiera, ha un rapporto strutturale con il Comune di Verona – che contribuisce con quasi il 40 per cento dei fondi (la provincia all’1,4, la regione allo 0,1) – e ha quote divise tra altri enti con una dichiarata vocazione pubblica.

Nella brochure di promozione di Veronafiere vengono ricordate Art Verona sul mondo dell’arte, Job & Orienta sui temi formazione lavoro, Innovabiomed sull’industria biomedicale; sulla fiera delle armi c’è un silenzio di vergogna.

L’obiezione del sindaco

L’amministrazione di centrosinistra di Damiano Tommasi ha ereditato la fiera dalla giunta precedente (Federico Sboarina, Fratelli d’Italia) e un chiaro imbarazzo l’aveva palesato lo scorso anno non presenziando nemmeno all’inaugurazione, tanto che Flavio Tosi (deputato di Forza Italia, ed ex sindaco veronese) aveva dichiarato: «Capisco che Tommasi sia obiettore di coscienza, ma lui è il sindaco di tutti i veronesi e di tutta la città, non di una parte. E non può anteporre le sue convinzioni personali all’interesse della città».

Tommasi, obiettore di coscienza, pacifista di lungo corso, quest’anno ci sarà alla fiera? Sta cercando affannosamente insieme alla giunta di trovare un equilibrio tra la valorizzazione degli aspetti sportivi e la promozione della cultura delle armi.

Dopo varie settimane si è riusciti ad arrivare alla stesura di un codice etico, che però sembra un elenco lunghissimo di principi tanto condivisibili quanto ovvi, e non tocca la questione fondamentale: è o non è una fiera che promuove la cultura delle armi?

Fa specie leggere le molte pagine del codice etico accanto alle dettagliate e allarmanti prescrizioni della questura che invece sottolineano i mille rischi di una tale concentrazione di armi: «Le armi in esposizione dovranno essere esclusivamente quelle indicate nell’avviso di trasporto armi; è vietata la vendita di armi; le armi dovranno essere prive di percussore o di otturatore, e/o munite di tappo nella camera di scoppio che evita l’inserimento di qualsiasi munizione, quelle ad avancarica dovranno avere il focone otturato; le munizioni dovranno essere prive di innesco e della carica di lancio; le armi dovranno essere garantite da efficienti difese antifurto, in particolare dovranno essere esposte in vetrine dotate di vetri antisfondamento, chiuse con serrature che ne garantiscono l’inaccessibilità. In alternativa, le armi dovranno essere assicurate a mezzo robusti cavi o catene d’acciaio con terminale fisso o comunque ancorate con idonei sistemi…»

Una linea sfumata

La verità è che la linea che divide le armi sportive da quelle per difesa personale resta davvero molto sfumata, tanto da rischiare l’invisibilità. Il sindaco Tommasi stesso, intervistato, ci ricorda la strage avvenuta a Verona nel luglio scorso: Patrizio Baltieri, un ragazzo di 28 anni, uccise a freddo con una pistola il fratello Edoardo, di 24 anni, e poi si è sparato con un fucile. La causa materiale della tragedia è evidente: Patrizio Baltieri aveva usato pistole e fucile detenuti grazie a un porto d’armi sportivo ottenuto in poche settimane.

Le tragedie di questo tipo non sono un’eccezione. Luca Di Bartolomei, autore del libro su armi e sicurezza personale Dritto al cuore (Baldini e Castoldi), spesso traduce nelle sue interviste l’adagio di Cechov dai drammi da palco a quelli della cronaca: «Se c’è un arma prima o poi sparerà», e sulle questioni sollevate da Eos ha le idee chiare: «Non ce lo ricordiamo, ma anche Luca Traini, il responsabile dell’attentato di Macerata che rischiò di causare una strage nel 2018, aveva un porto d’armi sportivo, ottenuto in 17 giorni. Per ottenere una carta d’identità oggi servono mesi, per rilasciare un porto d’armi alle volte una decina di giorni».

Il rischio di un codice etico che faccia da washing alla cultura di morte a cui chiaramente allude una fiera delle armi sembra davvero un’operazione improbabile e rischia di essere inefficace, nonostante l’impegno della giunta e di Mao Valpiana, che solo in un anno sembra essersi convertito a un’interlocuzione a Eos a certe condizioni e che per questo anche viene contestato dalla maggioranza delle altre associazioni, che invece si opporranno alla fiera organizzando un presidio e un corteo sabato 17 nel primo pomeriggio.

Di fronte a una militarizzazione sempre più evidente dello spazio pubblico, non c’è washing che tenga; anche quello sportivo di Eos è abbastanza scoperto, e risulta osceno ancora di più in un momento storico come questo. Le notizie di parlamentari che sparano durante le feste di Capodanno si aggiungono a quelle dell’infinita sequenza quotidiana di femminicidi, in un contesto internazionale di guerra, dall’Ucraina alla Palestina, per cui si chiede da ogni voce democratica un cessate il fuoco, la fine del genocidio a Gaza, e un riconoscimento della cultura della pace e del disarmo.

Arena di pace

È difficile smentire le ragioni delle proteste delle associazioni, per cui Eos rischia di fatto di essere un grande palcoscenico di morte. Primo, quella che Eos definisce “l’innocua pratica della caccia e della pesca” (non così innocua per gli animali uccisi per sport) è una forma di addestramento a uccidere, oltre che evidentemente una tattica di difesa e militare.

Secondo, tra quei trecento e passa espositori ci sono moltissime aziende di armi da guerra. Nella mappatura, nemmeno completa, fatta dalle associazioni, ci sono le statunitensi Vortex, le famose Colt e Remington, Taurus, Troy, Leapers, Erredi, le italiane Revo, Beretta, le israeliane Blu Armory, Bul, Caa Tactical, Maglula, Orpaz Holster… l’elenco è lunghissimo.

Ce ne sono alcune che hanno rapporti con mercanti di armi internazionali, milizie di mercenari, i carnefici di quella “guerra mondiale a pezzi”, come la definisce il papa, invocato in queste settimane da molti, dalla giunta Tommasi alle associazioni, proprio perché arriverà a Verona a maggio per una grossa iniziativa chiamata “Arena di pace”.

Per come stanno le cose persino il papa rischia così di diventare un tentativo di washing non riuscito. Da chi crede se non nel pacifismo almeno nella democrazia quello che ci si aspetta è il coraggio di bloccare una manifestazione come Eos e altre fiere di questo tipo.

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