Gli occhi nel vuoto, i coltelli nei pantaloni calati, le mutande in vista, Jack trascorreva intere giornate sul muretto di Islington di fronte alla palestra di Enzo e Oner. Il siciliano e il turco, gli amici pugili divisi tra il ring e un’idea fissa: togliere i ragazzi dalla strada, dargli un’opportunità con la boxe di cambiare vita.

«Lo osservavo da tempo, così una sera mi fermai e gli dissi: dai, entra. Nemmeno rispose, ma più in là si presentò all’improvviso con quei calzoni quasi alle ginocchia. Voleva provare», racconta Oner Avara, 49 anni, a Londra dal 1999, che ha gareggiato nei pesi welter leggeri, oggi consulente del parlamento britannico per lo sport, cofondatore, con Enzo Giordano, anglo-siciliano, della Left Hook, uno dei club più popolari nel Regno Unito.

La storia

Trent’anni fa a Islington, ex quartiere difficile di famiglie operaie poi “invaso” da artisti, attori, scrittori e varia umanità della gamma – negli anni Settanta i bancari della City fiutarono l’affare che avrebbe rappresentato di trasformare gli ex nascondigli dei fuorilegge in eleganti loft, come in altre zone della vecchia periferia –, proprio davanti allo stadio dell’Arsenal; dal 2009 invece al numero 1 di Martha Street, a pochi passi dalla metropolitana che ferma a Shadwell, altro “quartierino” fino a poco tempo fa non esattamente raccomandabile a quest’ora della sera, quando ci aspettano in questo club senza fronzoli.

Tra borsoni appesi e l’olezzo misto di sudori e cazzotti e della pelle ammaccata dei punching ball, sembra anzi di entrare con un balzo alla Mary Poppins in una delle scene di Toro scatenato. In una vecchia fotografia in bianco e nero e con quel fisico e quella faccia da duro, Giordano gli assomiglia.

«La paura non esiste è stato il mio motto per tutta la vita», ci dice, abbozzando un sorriso per il paragone, raccontando del nuovo progetto nella città natale dei suoi genitori, in Sicilia, a Ribera, il paese delle arance, come viene definito, e di Francesco Crispi, il patriota che sostenne la spedizione dei Mille, mazziniano e poi monarchico, il primo meridionale a diventare (quattro volte) presidente del Consiglio: una Left Hook italiana, che ha aperto da pochissimi giorni.

«Ho visto tanti giovani di talento lì, e voglio dar loro le stesse opportunità che ho dato a tanti ragazzi inglesi, così come l’ho avuta io quando cominciai a dare pugni e a prenderli», spiega Enzo, a cui piaceva assai stare sul ring, perché – racconta – si accorgeva che il pubblico si esaltava a vederlo boxare. «Ero forte, tiravo forte. Ed era strano ed eccitante sentirmi acclamare Enzo, Enzo. Tutta l’attenzione è su di te, ti danno energia, non sembrava vero, a volte anzi mi chiedevo se fosse proprio reale quella mia vita», dice, mimando il gesto del gancio.

Ancora oggi, a 52 anni, dolcemente appesantito, Enzo sposta lo sparring e il suo pad di almeno cinquanta centimetri con un diretto. Quei pugni sembrano treni. È nato a Londra lui, dove suo padre Matteo si trasferì negli anni Sessanta appena sposato con Rosalia. «Faceva il cuoco. Disse a mio nonno: vado per un anno, invece restò» ricorda, «riuscendo a guadagnare i soldi per costruire la casa in Sicilia. Prima il terreno, poi un piano, poi l’altro, alla fine tutta la casa».

Sapersi rialzare

In una pausa italiana i suoi lo portarono a Ribera, dove frequentò prima e seconda media. Il piccolo Enzo parlava inglese, aveva grandi difficoltà. Ma non si arrese, sebbene fosse solo un ragazzino. Come mai ha ceduto combattendo.

Bisogna sapere incassare, rialzarsi tutte le volte che è possibile, è questo che ti insegna la boxe, ripetono Enzo e Oner. «Abbiamo cambiato tante vite che altrimenti sarebbero andate chissà come», racconta Giordano. «Impossibile ricordarli tutti. Proprio ieri uno che si chiama Christopher mi ha scritto ringraziandomi per tutto quello che ho fatto per lui e per i suoi amici. Un altro, Sam, oggi fa il poliziotto, lo conosco da quando aveva 16 anni, era uno sbandato. Adesso è grande, è sposato, ha figli, una vita solida».

Tutta gente nata sotto una cattiva stella, che grazie al pugilato ha raschiato via via dalla pelle quello stigma. Ancora oggi è così alla Left Hook.

Gli invisibili

Del resto povertà e alienazione non sono soltanto faccende da romanzo di Dickens, a Londra come in tutta l’Inghilterra. Dallo scoppio della guerra in Ucraina, i prezzi di generi di primissima necessità sono schizzati su del trenta per cento e anche di più.

Il salario non basta ad arrivare a fine mese e dalle strade del lusso, tra Westminster a South Kensigton, fino ai quartieri come Shadwell, quello della Left Hook, un esercito tra homeless ed emarginati sopravvive come può, dormendo sotto a una coperta o tra le impalcature dei palazzi in ristrutturazione, alle fermate della Tube o stazionano davanti ai McDonald’s in cerca, letterale, delle briciole. Gente che la ex ministra dell’Interno, Suella Braveman, grazie a cielo licenziata da poco, avrebbe probabilmente voluto vedere seppellita, visto che ha definito come criminale l’ipotesi di distribuire tende per quanti dormono in strada.

Dalla quale, invece, Oner ed Enzo tirano fuori, o dentro anzi, in palestra, l’esercito dei ragazzi invisibili. Quelli passati dalla Left Hook più che di briciole di pane, avevano, e hanno bisogno di attenzione, di gente che sappia guardarti negli occhi e dirti: non temere, ce la farai.

Come fa Enzo: «Non avere paura di niente, l’ho sempre ripetuto a me stesso e lo ripeto a loro. Ma vale per tutti, anche per lei sa. La paura ti controlla, bisogna capire che finché una cosa non succede, non è successa. Se io ti dico figlio di puttana sto entrando nella tua mente. Ecco, con me non funziona questo. Fisicamente è difficile che qualcuno mi faccia male, ma ancor di più nessuno può farmi male dentro».

Sul ring

La vita è un ring, anzi peggio. E che il mondo sia davvero «un postaccio misero e sporco», come dice Stallone a suo figlio in Rocky Balboa, lo sa bene anche Matt Burke, 43 anni, oggi head coach alla Left Hook. Amatore e poi professionista, chiamato spesso anche dalla Nazionale inglese, sbarcò qui quindici anni fa rispondendo a un annuncio su Gumtree.

«Era la prima volta in vita mia che aprivo quel sito», ci fa, con quell’accento schietto, lui nato tra Stratford e Plaistow, «così arrivai a Martha Street e mi trovai di fronte Enzo. Gli dissi, voglio fare l’allenatore, ho appena preso il brevetto. Lui rispose: non mi interessano i titoli, fammi vedere come dai i pugni al sacco. Passai l’esame, dopo una settimana ero al lavoro».

Matt ebbe una figlia da ragazzino, aveva soltanto 17 anni. Lei con problemi gravi di salute e per forza di cose cresciuta senza suo padre e senza sua madre, troppo giovani, senza basi per andare avanti. «A pensarci impazzivo, ma la boxe e l’amicizia con Enzo e Oner mi hanno salvato, mi salvano ancora», confessa.

E il ragazzo dei coltelli? Jack rimase con Enzo e Oner a lungo. All’inizio svogliato, assente, ma in palestra comunque si presentava ogni giorno. Fino a che una mattina venne senza più coltelli e senza più quei pantaloni lerci e a vista mutande.

«Nessuno mai gli aveva detto nulla però, lo decise da solo. Era cambiato dentro», dice, soddisfatto, Oner. A breve i due amici pugili si separeranno. Enzo vuole seguire di persona la Left Hook siciliana. Dice che la sua terra chiama, e il sangue che gli scorre nelle vene è più forte di Mike Tyson e Rocky Marciano, i suoi preferiti. Un’altra sfida, durissima. Lasciare per tutto questo tempo l’Inghilterra, sua figlia, sua moglie. Paura? Nessuna.

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