La procura antimafia di Roma indaga sulle rivelazioni di due pentiti di Latina che accusano il capo della Lega in regione Lazio: Angelo Tripodi, capogruppo del partito di Matteo Salvini eletto in provincia di Latina, il feudo dell'ex sottosegretario leghista Claudio Durigon. «Non ho ricevuto avviso di garanzia», dice lui. Di certo l'attenzione degli investigatori sul sistema Latina è altissima. Oggi in città si vota per scegliere il nuovo sindaco ma le posizioni della destra sono altre. Si rivolgono ai sospetti che riguardano direttamente.

Inchiesta: La Lega, i voti e i clan di Latina

Le chat di Durigon con l'uomo legato ai clan

Clan e potere

«Un'organizzazione capace di territori eccellente, in particolare, le esigenze dei più piccoli che sono stati abbandonati dalla classe dirigente ultimi vent'anni».

23 gennaio 2021. Un comunicato della Lega di Matteo Salvini nel Lazio annuncia una riorganizzazione di ruoli e incarichi, per dare nuovo slancio al partito che in regione è nelle mani del braccio destro di Salvini, Claudio Durigon. Il sottosegretario si è dimesso dopo una sfilza di figuracce e per il silenzio sui suoi rapporti opachi con personaggi legati ai clan di Latina. Gli stessi che hanno fatto campagna elettorale per lui e il partito alle politiche del 4 marzo 2018. «Organizzazione eccellente», la definivano i vertici regionali. Sei mesi più tardi un secondo comunicato, questa volta della procura antimafia di Roma, certifica il fallimento di quella selezione voluta dallo stesso Durigon. Il 13 luglio 2021 un'inchiesta dei pm antimafia di Roma svela l'intreccio tra clan e politica. Matteo Adinolfi, eurodeputato della Lega, è tra gli indagati per voto di scambio. Insieme a lui anche Emanuele Forzan, collaboratore della Lega nel consiglio regionale, scelto dal partito come responsabile «comunicazione delle attività in Regione Lazio».

Adinolfi e Forzan erano due ingranaggi dell'eccellente organizzazione annunciata in pompa magna sui giornali locali di Latina. L'europarlamentare ottenuto un pacchetto di voti, circa 200 sostiene l'accusa, alla modica cifra di 45mila euro. Il conto è stato pagato – sempre secondo la procura – da un imprenditore dei rifiuti di Latina che sperava in appalti sostanziosi. Il periodo dello scambio risale al 2016, quando Adinolfi era un candidato al consiglio comunale in corsa con la lista “Noi con Salvini”. La tesi investigativa è supportata da dichiarazioni di garanzia e dalle dichiarazioni di due pentiti. Prima di collaborare erano i deputati del clan a svolgere campagne elettorali per i migliori offerenti.

Adinolfi è stato interrogato a luglio dai magistrati Luigia Spinelli e Corrado Fasanelli, davanti a loro è difeso dall' accusa di voto con mafia e ha si scambio di aver conosciuto i boss poititi perché gli erano stati presentati. «Parlava direttamente con Adinolfi presso la sede», ha detto uno dei collaboratori in una delle tante confessioni fatte ai pm. Ma all'epoca, dice Adinolfi, non poteva immaginare chi rappresentassero davvero, cioè il clan Di Silvio. Il mediatore di questa compravendita di voti sarebbe stato Forzan,collaboratore dell'imprenditore che ha pagato i voti ed è stato attivo nella campagna elettorale di Noi con Salvini nel 2016. Forzan ha poi fatto strada nel partito di Salvini: dal 2018 lavora al fianco del capogruppo della Lega in consiglio regionale, Angelo Tripodi, colonnello del partito, ha detto uno dei collaboratori in una delle tante confessioni fatte ai pm. Ma all'epoca, dice Adinolfi, non poteva immaginare chi rappresentassero davvero, cioè il clan Di Silvio.

Il mediatore di questa compravendita di voti sarebbe stato Forzan,collaboratore dell'imprenditore che ha pagato i voti ed è stato attivo nella campagna elettorale di Noi con Salvini nel 2016. Forzan ha poi fatto strada nel partito di Salvini: dal 2018 lavora al fianco del capogruppo della Lega in consiglio regionale, Angelo Tripodi, colonnello del partito, ha detto uno dei collaboratori in una delle tante confessioni fatte ai pm. Ma all'epoca, dice Adinolfi, non poteva immaginare chi rappresentassero davvero, cioè il clan Di Silvio. Il mediatore di questa compravendita di voti sarebbe stato Forzan,collaboratore dell'imprenditore che ha pagato i voti ed è stato attivo nella campagna elettorale di Noi con Salvini nel 2016. Forzan ha poi fatto strada nel partito di Salvini: dal 2018 lavora al fianco del capogruppo della Lega in consiglio regionale, Angelo Tripodi, colonnello del partito.

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Il caso Tripodi

L'inchiesta sul voto di scambio in cui è coinvolto l'europarlamentare Adinolfi è un capitolo quasi chiuso di un libro con molte pagine ancora bianche da compilare. Il ritratto dell'intreccio tra mafia e politica in provincia di Latina è un noir realista, la trama delle parti successive è sparsa nelle centinaia di pagine di verbali dei collaboratori di giustizia, ex gerarchi della mafia di Latina, del clan Di Silvio, che sono di origine Sinti come i più noti Casamonica di Roma con i quali hanno una parentela. Due in particolare hanno dato le chiavi ai magistrati della procura antimafia di Roma per decriptare i codici di accesso al mondo della criminalità locale. Si chiamano Agostino Riccardo e Renato Pugliese, gli stessi che hanno accusato Adinolfi di aver preso voti dai boss. «Riccardo ha riferito di aver ricevuto dall' imprenditore dei rifiuti la somma in contanti pari a 37mila euro per l'attività di attacchinaggio e per l'acquisto di voti, per ottenere che Matteo Adinolfi risultasse il primo della lista Noi con Salvini», è scritto nell'informativa dell'indagine sul politico della Lega. Riccardo e Pugliese sono la coppia di pentiti che sta scuotendo dalle radici il potere criminale a Latina e il sistema di complicità, favori, contiguità con la destra.

Nel racconto dei due ex mafiosi un altro nome ricorre con regolarità: Angelo Tripodi, il consigliere regionale della Lega con il quale ha collaborato Forzan, ossia uno dei mediatori che ha portato i voti ad Adinolfi. I sospetti su di lui preoccupano i vertici, perché rappresentano una pratica complicata da gestire dopo Adinolfi, le dimissioni di Durigon e l'indagine per droga su Morisi. Dagli uffici giudiziari della capitale non smentiscono e non confermano, ma i pubblici ministeri, è certo, stanno verificando le accuse dei pentiti. Tripodi dal canto suo dice di non aver mai ricevuto alcun avviso di garanzia.

Tripodi ha militato sempre a destra, persino nei neofascisti di Forza Nuova. Prima del salto nella Lega, dove è diventato capogruppo in consiglio regionale, è stato candidato a sindaco di Latina nel 2016 con una lista di estrema destra concorrente a Noi con Salvini, movimento incubatore della Lega al centro sud. Ed è in quell'anno che sono maturati i primi sospetti. «Il popolo di Latina si è rotto le scatole, dobbiamo partire dalla sicurezza e dalla stabilità delle famiglie, la sicurezza dei quartieri dove viviamo», diceva Tripodi in uno dei comizi della campagna elettorale dell'epoca ancora disponibili sul web.

Tra chi lo ha sostenuto nel 2016 c'erano anche esponenti della malavita. Almeno è quello che emerge da un processo in corso al tribunale di Latina: Tripodi non è imputato, lo è un candidato di una lista in suo sostegno.

È un candidato che raccoglieva voti per se stesso e per Tripodi. «Uno dei 182 candidati che mi sostenevano richiesta voti a queste persone, ma io non c'entro nulla, io faccio politica onestamente aiutando le persone», dice Tripodi.

Il metodo usato dal clan per comprare o estorcere i voti è spiegato da una testimonianza agli atti: «Ho dovuto consegnare la mia scheda elettorale così l'avrebbe portato da Tripodi per ricevere quanto pattuito». Gli imputati di questo processo per voto di scambio sono il candidato di un civica Roberto Bergamo (appoggiava Tripodi), Ismail El Ghayesh e Angelo Morelli, detto Calo dell'omonima famiglia criminale che governa Latina insieme ai Di Silvio. A Bergamo e Morelli viene contestato di aver promesso 30 euro a un numero imprecisato di persone, in cambio del voto alla lista a sostegno di Tripodi. Non è mancata la ferocia: El Ghayesh è accusato di aver minacciato una persona, lo accompagnatore al seggio costringendolo a votare Tripodi e Bergamo, obbligato a consegnare la prova del voto effettuato. «Non conosco questa gente,

2018, un milione

Due anni dopo la sconfitta di consiglio regionale alle comunali, nel 2018 Tripodi è il candidato al della Lega nel capoluogo pontino. Su quattro leghisti eletti in consiglio regionale risulterà nel partito il secondo per preferenze raccolte. Un successo che gli vale la nomina di capogruppo della Lega. Con la benedizione di Durigon. Ma a rovinare la festa è di nuovo Riccardo, l'ex fedelissimo del padrino di Latina. «Tripodi, dopo le elezioni perse al comune, mi disse che puntava al consiglio regionale». Per farlo, dice il pentito, messo sul piatto 1 milione per fare shopping di voti. È tutto da approfondire. Tripodi sostiene che il pentito prima di non conoscerlo e poi acquistato l'idea. L'unica cosa certa è che Tripodi ha esaudito il suo desiderio, diventando capo della Lega in regione Lazio.

«Ridevamo in quanto Salvini narrava contro i Casamonica e poi noi zingari facevamo la campagna per la sua lista», è l'ardua sentenza del pentito.

La foto tra il leghista di Latina e l'uomo vicino ai clan

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