Tutto ciò che poteva andar male lo ha fatto. La legge di Murphy, che non è un terzino nordirlandese, ha colpito in pieno l’involuta nazionale azzurra di Roberto Mancini consegnandola alla roulette russa dei playoff.

A marzo prossimo l’Italia dovrà passare da quell’imbuto per guadagnarsi il pass verso Qatar 2022, il primo mondiale fissato in calendario per l’inverno europeo. Ma intanto la rappresentativa azzurra sta vivendo un inverno tutto suo, fatto di perdita d’identità e mollezze tecnico-tattiche.

L’estate del trionfo europeo sembra appartenere già a un’altra epoca e i giocatori che si erano guadagnati stima e ammirazione sul piano internazionale adesso viaggiano clamorosamente sottotono.

E come al solito la verità si colloca a metà del cammino: non erano fenomeni l’estate scorsa, non sono brocchi adesso. Sono soltanto calciatori di matrice italica, portatori di un antico vizio calcistico nazionale che nessuna rivoluzione culturale o tattica sarà mai in grado di abolire.

Quel vizio che diventa virtù durante le fasi finali delle competizioni internazionali e trasforma gruppi di buoni giocatori in una pattuglia d’élite capace di reggere ogni sfida contando sul temperamento del gruppo prima che sulle virtù tecniche; ma che poi torna vizio poiché fa subentrare una mollezza da sazietà quando ci si ritrova a fare i conti con sfide dalla temperatura agonistica meno drammatica, come le “ordinarie” gare di qualificazione alle fasi finali.

Contro questo bipolarismo del carattere calcistico nazionale non c’è stata rivoluzione culturale che tenesse.

Nulla ha potuto il "sacchismo”, che aveva preteso di essere per il calcio nazionale l’equivalente di una riforma protestante. Nulla ha potuto il “lippismo”, che ha provato a mixare il meglio della tradizione italica con le innovazioni fin lì mal metabolizzate del sacchismo.

E infine scopriamo che nulla ha potuto persino il mancinismo, che pure negli anni più recenti aveva rinfrescato l’immagine del calcio nazionale grazie a uno stile di gioco spiccatamente “propositivo” (ahi, le sventure della neo-lingua calcistica), capace di riscuotere consensi anche presso osservatori tradizionalmente ostili verso il calcio italiano come gli spagnoli. Nulla da fare, perché alla fine di ogni fiera mondiale o europea la nazionale italiana torna quell’entità sfilacciata e ingolfata che dilapida il patrimonio di successi e prestigio appena messo in cassaforte.

Playoff, una formula rischiosa

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Non è la prima volta che la nazionale azzurra deve passare dai playoff per raggiungere una fase finale dei mondiali. La storia fa segnare due precedenti, uno positivo e uno negativo. Per andare a Francia 1998 fu necessario passare attraverso il doppio spareggio contro la nazionale russa, che si risolse con un pari 1-1 in trasferta e una vittoria casalinga 1-0.

L’altro precedente è più fresco nella memoria nonché fonte di ansia estrema: l’eliminazione da Russia 2018 per mano della Svezia, vincitrice in casa 1-0 e capace di imporre lo 0-0 nella gara di ritorno al Meazza di Milano.

E tuttavia, detto dei precedenti, c’è un aspetto peggiorativo in questo terzo playoff cui la nazionale italiana è costretta. C’è che nei due casi storici la squadra azzurra era arrivata seconda nel girone eliminatorio facendosi precedere da due nazionali che appartengono all’élite del calcio europeo.

Nel 1997 era stata l’Inghilterra a strappare il primo posto del girone alla nazionale allenata da Cesare Maldini e si trattava di una squadra di valore più o meno pari rispetto a quella azzurra. Nel 2017 il primo posto del girone era andato alla Spagna, squadra chiaramente superiore a quella (malissimo) allenata da Gian Piero Ventura. Stavolta no.

A strappare il primo posto del girone alla nazionale allenata da Roberto Mancini è stata la Svizzera, una buona squadra ma di seconda fascia e chiaramente inferiore all’Italia come il doppio confronto ha dimostrato.

Soprattutto, c’è che la nazionale di Roberto Mancini è riuscita a non vincere uno dei gironi più abbordabili che potessero capitare in sorte. Non essere capaci di battere i bulgari (che lunedì sera ne hanno presi 4 dagli svizzeri) o i volenterosi nordirlandesi è da nazionale di terza fascia, così come sbagliare i rigori è una colpa anziché un’attenuante.

E certo al ct nessuno toglierà mai i meriti di avere portato a casa un Europeo bello e strameritato, ma al tempo stesso bisognerà chiedergli conto di un’involuzione così clamorosa nel passaggio dall’estate all’autunno.

Ma a preoccupare è soprattutto la nuova formula dei playoff. Che è un’incognita e mette a disposizione soltanto 3 posti. Per intenderci, in vista di Russia 2018 erano in palio 4 posti per 8 squadre e il playoff era un confronto fra due squadre su partite di andata e ritorno. Stavolta si parla di un posto in meno e 4 squadre in più.

A giocarsi il pass saranno infatti di 12 nazionali, distribuite in 3 gironi da 4 squadre. Vanno ai mondiali soltanto le 3 vincitrici dei gironi. Partite secche di semifinale e finale, con la prima che verrà giocata in casa dalle nazionali teste di serie e la seconda che vedrà il campo designato per sorteggio. Vi partecipano tutte le seconde dei gironi eliminatori più le due migliori non qualificate alla final four della Uefa Nations League.

La nazionale azzurra sarà una delle 6 teste di serie, ma i vantaggi finiscono qui perché significa che almeno un’altra testa di serie nel girone dovrà esserci. E i nomi delle nazionali che dovranno passare da quella strettoia, a partire dal Portogallo, autorizzano a essere preoccupati. Il quadro, da completarsi dopo le gare del martedì sera, prevede i seguenti nomi oltre ai portoghesi: Scozia, Russia, Svezia, Polonia, Galles, Macedonia del Nord, Austria, Repubblica Ceca, una tra Finlandia e Ucraina, e una tra Turchia, Norvegia e Olanda.

E certo, magari il clima da grande sfida potrebbe riaccendere la parte temperamentale del bipolarismo azzurro. Ma intanto c’è che proprio nessuno pensava di doversi mettere in attesa del sorteggio di Zurigo, dove il prossimo 26 novembre alle ore 17 saranno composti i 3 gironi. Molte nazionali arrivano lì con lo spirito di chi ha conquistato già un grande traguardo. Gli azzurri ci arrivano portandosi addosso lo smacco. E con l’incubo della seconda eliminazione consecutiva.

Danni incalcolabili

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Già, il rischio di essere entrati nel loop negativo. Che dalla seconda assenza a una fase finale si trasformerebbe in realtà e comporterebbe per il calcio italiano un ridimensionamento definitivo. Perché un’eliminazione, per di più dopo 60 anni di presenza costante, può succedere. Ma due consecutive sono da nazionale di terza fascia.

Inoltre, un’altra mancata presenza sarebbe devastante anche sul piano economico. Per il momento è complicato fare stime, ma qualche precedente (sia in positivo che in negativo) può aiutare.

Dopo la mancata qualificazione a Russia 2018 si calcolò (fonte Il Sole 24 Ore) che per il sistema del calcio italiano si materializzasse un danno da 100 milioni di euro. Cifre credibili 4 anni fa, alle quali andrebbe aggiunto un effetto moltiplicatore negativo derivato dalla seconda mancata qualificazione. Perché un’eliminazione può anche essere un evento straordinario, ma due consecutive no. Il danno reputazionale sarebbe devastante. Possiamo ipotizzare un raddoppio di quei 100 milioni? Non pare esagerato.

E poiché si parla di reputazione, non si può non guardare ai possibili effetti negativi sul brand della nazionale azzurra. Che proprio nei giorni scorsi veniva dato in rialzo, prossimo a oltrepassare i 100 milioni di euro, grazie ai benefici effetti della vittoria agli Europei.

Ma adesso che si rischia la seconda assenza mondiale consecutiva? C’è di che incrociare le dita, specie se si pensa anche agli effetti che ne potrebbero sortire per l’intero sistema economico nazionale.

Nei giorni del trionfo europeo venne calcolato da Brand Finance che l’economia italiana ricavasse un beneficio da 4 miliardi di euro di Pil. E viceversa, quali ripercussioni da una mancata spedizione a Qatar 2022? Ce ne sarebbe abbastanza per dire che gli azzurri debbano essere lì presenti “whatever it takes”. Mi ci andrebbero attraverso la via tortuosa dopo essersi preclusi quella dritta. E questo è già un dato di fatto.

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