Lamin viene dal mare. Arriva a Lampedusa l’8 settembre 2011 su un barcone con 82 persone, ha poco più di 17 anni. È la sua seconda traversata - la prima era finita in un naufragio, con 26 persone morte davanti ai suoi occhi. Non ha paura: non perché viene da un posto di mare, dal Gambia, e sa nuotare. Ha paura perché sa che non si può morire due volte e lui, dopo aver lasciato casa, si sente già morto.

Oggi ha 33 anni, da sette fa il mediatore culturale e l’operatore sociale. «Sono andato via perché la situazione politica del mio paese era molto delicata», racconta. Per le strade gli studenti manifestavano contro il governo di Yahya Jammeh e un sistema dittatoriale che durava da più due decenni. Dopo alcuni arresti nel corso di una manifestazione a cui partecipa, Lamin scappa per il timore di fare la stessa fine.

In Europa non si è perso solo grazie a un pizzico di fortuna. La prima settimana dopo lo sbarco nell’hotspot di Lampedusa è di blackout: nessun operatore o operatrice parla altre lingue, ci si capisce a gesti. Ma poi compare un’avvocata testarda, che con un po’ di inglese va in giro a spiegare alle persone i loro diritti. Per esempio a Lamin spiega che, a 17 anni, per la legge è un minorenne e ha quindi accesso a maggiori tutele. «Dicevo di essere maggiorenne e ne ero sinceramente convinto. Nel nostro paese sei già adulto a 15 anni e devi essere un uomo. Non capivo questa faccenda della minore età».

Come criminali

S. ha 14 anni e mezzo quando in Nigeria viene reclutata e spedita a prostituirsi in Italia, a Torino. Federica Gaspari, psicologa sociale della Cooperativa Parsec, la incontra tre anni dopo, nel 2019, all’Istituto Penale per Minorenni di Roma “Casal Del Marmo”: borderline, arrabbiata, violenta e a un passo dalla schizofrenia. Arrestata a Torino a 16 anni, viene ritenuta maggiorenne e detenuta nel carcere 'Lorusso e Cutugno' delle Vallette a Torino. «Dopo qualche mese qualcuno deve finalmente averla guardata in faccia», chiosa Gaspari.

S. viene quindi trasferita al minorile ma la condanna, per direttissima, è molto pesante: tre anni e mezzo, con l’accusa di essere una reclutatrice di altre ragazze. Nessuno capisce che è lei per prima trafficata. Solo quando viene in contatto con il servizio antitratta, a Roma, racconta la sua storia. S. vuole smettere di prostituirsi e chi la sfrutta le spiega che un modo per ripagare il debito c’è: fai arrivare in Italia un’altra ragazzina che prenda il tuo posto, le dicono. «In quegli anni, nel 2017-18 molti e molte minori venivano usati così dalle organizzazioni. E mi sono state segnalate tante vittime di tratta considerate dallo stato come trafficanti», dice Gaspari. Con l’aiuto della madre in Nigeria e di altri emissari riesce a far arrivare una ragazza più o meno della sua età a Lampedusa. La nuova arrivata però, nel centro di accoglienza, riceve moltissime telefonate, gli operatori sociali si insospettiscono e la ragazzina, alla fine, racconta tutto. È così che S. viene incastrata dalle intercettazioni. La verità sulla sua storia però, nel frattempo comincia a emergere. La ragazza denuncia, segue un lungo percorso di psicoterapia, si diploma. Oggi ha una bimba, un compagno, un progetto famigliare e un lavoro che vuole migliorare.

Moussa vorrebbe fare l’avvocato, anche se per ora fa un corso da cuoco per lavorare il prima possibile. Forse perché è stato un avvocato a tendergli la mano dopo due settimane che dormiva alla stazione Termini di Roma, trovandogli un posto in un centro per minori stranieri non accompagnati. Era scappato dal Mali a 12 anni, da solo, la sua famiglia si è separata per via della guerra seguita al colpo di stato del 2012. Finisce in un centro per adulti a Perugia, dichiarato maggiorenne nonostante i suoi 16 anni. «Non ci siamo capiti con il poliziotto allo sbarco», dice con flemma. Dopo un po’, con altri tre, viene buttato fuori: protestano per le condizioni del centro. «Non facevamo scuola, eravamo lontani dalla città e anche il cibo era poco». E quindi finisce alla stazione Termini, luogo malfamato ma anche dove, se sei un ragazzo con il colore della pelle diverso, nessuno fa caso a te.

Maggiorenne. Anzi no

Il 18 dicembre è la Giornata internazionale Migranti. Domani ha deciso di dare spazio ai minorenni che viaggiano soli: più vulnerabili ma anche storicamente più invisibili. Almeno fino all’estate scorsa, quando la sigla Msna ha cominciato a rimbalzare sui media. I comuni, cui è in capo l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, hanno iniziato ad avvertire il governo che non avrebbero più accettato altri ragazzi e ragazze per esaurimento dei posti. «Non siamo più in grado di rispettare la legge», spiegava Matteo Biffoni, sindaco di Prato e delegato Anci per l’immigrazione.

I finanziamenti e la determinazione del numero dei posti disponibili è in capo al Viminale, ma la gestione è dei comuni. La legge 47/2017, cosiddetta legge Zampa sui minori migranti prevede un percorso di accoglienza e integrazione rafforzata per il migrante bambino - che non è possibile respingere, rimpatriare o espellere. Quindi costoso: in media 100 euro al giorno.

Il governo, per bocca del sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano e della responsabile immigrazione di FDI Sara Kelany, ha iniziato a sostenere la tesi dei ‘falsi minori’ (chi all’arrivo, maggiorenne, dichiara di avere invece meno di 18 anni) che toglierebbero risorse ai ‘veri minori’. «La verità è che il governo non riesce a bloccare gli sbarchi e deve trovare un capro espiatorio», spiega la senatrice Sandra Zampa, prima firmataria della legge. La percentuale dei minori sugli arrivi è stabile da anni al 10 per cento: il problema è l’aumentato afflusso. Ad agosto erano oltre 100mila le persone sbarcate in Italia, di cui 9.792 minori soli non accompagnati. Al 31 ottobre, secondo il ministero del Lavoro, sono quasi 24mila i Msna presenti sul territorio italiano (il più alto numero precedente, 26mila, è del 2016): l’88 per cento è maschio, il 71,4 per cento dichiara di avere tra i 16 e i 17 anni.

Dati sui ‘falsi minori’ non se ne trovano (né si parla del fenomeno opposto: minorenni che dicono di avere più di 18 anni proprio per sfuggire alle maggiori tutele e al sistema, come capite a molte ragazze nelle maglie della tratta) e non è chiaro come l’esecutivo abbia individuato in questo presunto fenomeno la causa di tutti i mali del sistema di accoglienza (che, come fa notare per esempio l’Anci, soffre piuttosto, e da tanti governi a questa parte, di mancanza di programmazione pure prevista per legge). L’Italia è anzi stata recentemente condannata due volte dalla Corte europea per i diritti umani per aver tenuto illegalmente una minorenne, vittima di abusi, in un centro per adulti e alcuni under-18 per mesi nell’hotspot di Taranto.

Duri con i deboli

Ma il governo va avanti: da una parte con il decreto ‘Cutro 2’ del 6 ottobre, per cui in momenti di emergenza-arrivi le procedure per l’accertamento dell’età saranno accelerate (e con metodologie come la radiografia del polso: invasive, con margini di errore di due anni ed esplicitamente proibite come parametro unico dalla legge Zampa che invece parla di commissioni multidisciplinari).

Il minore (che si dichiara tale) avrà 5 giorni per ricorrere. Dall’altra gli over 16 potranno essere inseriti i centri per adulti fino a un massimo di 90 giorni, con relativo “risparmio” sui costi di accoglienza. L’ultima legge di bilancio taglia infatti 45 milioni, ovvero circa la metà dei fondi destinati ai comuni per i Msna, a favore del rinnovo del contratto delle forze di polizia. «Le ultime disposizioni del governo in pratica forniscono una base normativa a quello che già succede», spiega Anna Brambilla, avvocata di Asgi, associazione studi giuridici sull’immigrazione, «come al Cara di Crotone: anche se sono separati, hanno aree comuni». Il problema è che le collocazioni con adulti non corrispondono quasi mai all’interesse superiore del minore, dice l’avvocata, cioè l’unica deroga permessa dalla Direttiva europea del 2013 sull'accoglienza. «Anzi, nei casi che abbiamo documentato i minorenni sono collocati in strutture fatiscenti», chiosa Brambilla.

«Cerchiamo di porci come contrappeso di fronte al rischio di sfruttamento», spiega Rudy Mesaroli, uno dei fondatori di Civico Zero, centro diurno per minori stranieri che lavora con unità di strada per recuperare i ragazzi che si ‘perdono’, prede del sottobosco criminale che gravita attorno alla Stazione Termini e non solo. «E se non mostriamo un’alternativa i minori vengono fagocitati da fenomeni che per loro sono più attrattivi, si legano ad adulti che possono offrire altro in termini economici e di identità». Anche per Save the Children «la permanenza protratta in promiscuità in strutture di prima accoglienza per adulti rappresenta un serio rischio per un minorenne, in termini di possibilità di subire danni e incorrere in situazioni di sfruttamento». La necessità «di proteggere i minorenni senza alcuna distinzione operata sulla base della nazionalità o della provenienza è un principio di derivazione sovranazionale, previsto anche dalla nostra Costituzione», ricorda Raffaela Milano, direttrice programmi Italia-Europa di Save the Children.

*Le giornaliste sono le autrici di “Perdersi in Europa senza famiglia. Storie di minori migranti”, 2023, ed. Altreconomia.

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