«Da lunedì 2 agosto lei sarà dispensato dall'attività lavorativa. Cordiali Saluti». Con questo stringato messaggio, ricevuto su Whatsapp alle ore 22 del 31 luglio, 90 lavoratori hanno appreso di essere stati licenziati. L’azienda questa volta è Logista, la multinazionale monopolista nella distribuzione del tabacco che raggiunge oltre 56mila punti vendita e che, senza alcun preavviso, decide di chiudere il sito di Bologna.

A denunciare l’accaduto è il sindacato dei Si Cobas, avvertito invece con una mail recapitata dal fornitore dei servizi in appalto, che spiega che a perdere il posto sono 65 addetti al magazzino, a cui si aggiungono altri 25 impiegati come addetti alla vigilanza e il personale delle pulizie. 

«Molti di loro sono in ferie», denuncia il sindacato e, aggiunge, nessuno di loro in questi due anni di pandemia si è mai fermato a riposare. I tabacchi, infatti, sono considerati attività essenziale e neppure durante il primo lockdown erano stati chiusi. In quei mesi, inoltre, nella multinazionale era scoppiato un focolaio, ma nemmeno in quel caso Logista aveva disposto la chiusura del sito. 

Il motivo della chiusura

Come tante multinazionali, che dal 1° luglio (giorno in cui è entrato in vigore il decreto sullo sblocco dei licenziamenti) hanno avviato la procedura del licenziamento collettivo con l’intenzione di delocalizzare la produzione, anche Logista porta avanti il suo piano di ristrutturazione. La motivazione, secondo Si Cobas, è la crisi generale derivata dall’emergenza sanitaria. Una crisi che però Logista non ha subito, come anche Gkn a Campi Bisenzio e Whirlpool a Napoli. Ma tutte licenziano lo stesso. 

Logista, nel suo piano di ristrutturazione aziendale, vuole delocalizzare, ma non all’estero. Anche in Italia, infatti, ci sono città più “convenienti” come Tortona o Anagni, spiegano i Si Cobas, dove il costo del lavoro è più basso. Dove ci sono ancora le cooperative e si lavora 12 ore al giorno. Dove i livelli di inquadramento sono i più bassi previsti dal Contratto collettivo nazionale di lavoro.

In queste città, inoltre, non c’è il Si Cobas e i lavoratori sono da soli.  «Il problema del sito di Bologna non è certo un problema di produttività ma di costo del lavoro. Un costo del lavoro troppo alto per la multinazionale del tabacco», dicono i sindacalisti.

I piu anziani sono lì da 15 anni e ricordano bene cosa fosse il “far west” della logistica: «15/16 ore di lavoro, buste paga a 900 euro, nessuna sicurezza, caporalato e sfruttamento, nessun diritto. A quel tempo Logista era felice del suo sito produttivo all'Interporto di Bologna», proseguono.

Nel 2013 i lavoratori iniziano le loro proteste affiancati dal sindacato di base e ottengono il riconoscimento dei propri diritti: miglioramento delle condizioni economiche, livelli di inquadramento adeguati, buoni basto e premi di produttività, «ma soprattutto la dignità».

Da oggi, lunedì 2 agosto, i lavoratori di Logista saranno in presidio all'Interporto di Bologna – Area 7 per decidere insieme come portare avanti la lotta per il loro posto di lavoro. 

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