È una marea allegra quella che questo pomeriggio si è riunita nella piazza romana di Vittorio Emanuele per protestare contro la nuova versione di un decreto sicurezza fresco dell’approvazione dello scorso giovedì da parte di Montecitorio.

«Abbiamo scelto di scendere in strada prima che il testo arrivi in Senato per cercare di fermare quello che per noi è uno schiaffo alla nostra Costituzione e alla possibilità di continuare a vivere in un paese che faccia del dissenso il caposaldo della sua democrazia», dice il portavoce della Rete No Ddl Sicurezza Luca Blasi.

Proprio lui che sull’occhio sinistro porta ancora i segni di quella sicurezza che nel suo caso ha assunto le sembianze di un manganello, infrantosi sul suo viso durante le proteste di martedì. Così come la prognosi di quindici giorni non gli ha impedito di essere presente, allo stesso modo anche Elena è abbastanza determinata da dietro lo striscione che guida il corteo.

«Da questa piazza al governo Meloni urliamo tutta la nostra disapprovazione. Nonostante i loro metodi da regime, noi non abbiamo paura. La vera paura la stanno creando loro con l’insicurezza. Secondo voi è normale che» – continua – «un paese che a parole si dice democratico, abbia delle norme repressive contro il dissenso pacifico di chi si siede in mezzo ad una strada?». 

A fargli eco, dall’altro lato dello striscione, è Laura. «Mi spiegate, con queste nuove misure, come faccio ad oppormi ad un governo? Faccio zapping e aspetto cinque anni per riandare a votare? In quale forma dovrei esprimere il mio dissenso se non posso più scendere in piazza a protestare?».

Per altri invece questo decreto legge, che ha assorbito quasi integralmente i contenuti del vecchio ddl Sicurezza voluto dal Carroccio ma rimasto bloccato in Senato, non è altro che un’inutile distrazione.

«La verità è che i nostri problemi sono ben altri ma non c’è né la voglia né la volontà di affrontarli», sostiene Viola, studentessa universitaria de La Sapienza. «Oggi la priorità dovrebbero essere i posti di lavoro, invece scelgono di toglierli criminalizzando anche la cannabis light». Per Marcello, invece, «i 39 articoli del decreto non hanno niente a che fare con la sicurezza. L’unica sicurezza che ci serve è quella sociale: non abbiamo bisogno di manganelli ma di politiche con cui abbattere le disuguaglianze estreme». E mentre il corteo avanza in via Labicana, dalla finestra di un ultimo piano compare anche una bandiera della Decima Mas.

In risposta, Asia dal suo megafono intona dei cori antifascisti. È proprio lei a sottolineare che «ormai non c’è più nulla da fare. Se sono riusciti a limitare anche il dissenso, possono fare tutto. Questi decreti fanno parte di un progetto liberticida ben più ampio dove l’unico scopo è quello di sottrarci quei diritti che ci siamo sudati a caro prezzo».

«Ormai se manifesti, ti identificano e ti portano subito in questura», dice invece la compagna di megafono Sofia riferendosi anche ai controlli fatti dagli agenti prima della manifestazione. Ad essere stati identificati sarebbero stati una trentina di liceali, loro compagni, che si erano fermati in piazza Indipendenza.

Se da un lato c’è chi si rassegna, dall’altro invece c’è chi rimane «fiducioso negli anticorpi del nostro paese. Non riusciranno a spegnere la nostra voce. La premier deve mettersi in testa che l’Italia non è e non sarà mai l’Ungheria. Questa piazza lo dimostra: continueremo a scendere in strada e non ci piegheremo a chi usa la legge per zittire il dissenso».

Quella stessa piazza che Cesare, in braccio alla mamma Emilia, fissa quasi incantato con i suoi occhi azzurri. «Io ho paura per il suo futuro, ho paura per il suo presente. Glielo stanno strappando. In nome della sicurezza gli stanno togliendo la libertà. Oggi si insiste sulla sicurezza come si insiste sui migranti. Pura propaganda che non ha niente a che vedere con i problemi del nostro Paese. Ci dicono di far più figli e poi non ci aiutano in nessun modo. Non ci sono asili nido, non c’è lavoro». E conclude: «Altro che sicurezza e manganelli. Come si fa a continuare a vivere così?».

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