Il 30 giugno è stata disposta l’archiviazione, eppure le stesse carte del tribunale di Roma mostrano che l’ipotesi del suicidio non torna. Oggi il corteo a Napoli
Mario Paciolla è stato ucciso due volte. La prima è il 15 luglio 2020, quando il cadavere del 33enne napoletano che operava nella missione di pace Onu in Colombia è stato ritrovato nel suo appartamento a San Vicente del Caguan, con l’apparenza di un corpo impiccato, tagli, sangue.
La seconda è il 30 giugno 2025, quando con l’archiviazione dell’indagine per suicidio anche la possibilità di una verità giudiziaria è stata seppellita. Eppure già nelle carte del tribunale di Roma – quelle riguardanti il rigetto della prima richiesta di archiviazione dell’inchiesta per omicidio – emergono contraddizioni, incongruenze, lacune.
Lidocaina e candeggina
Per dirne una: le analisi tossicologiche danno conto «di una positività alla lidocaina». Si parla di concentrazione modesta, ma l’autopsia italiana avviene in condizioni difficili: il corpo arriva dalla Colombia già compromesso. «L’assunzione doveva risalire a circa una o due ore prima della morte», scrivono da Roma. Il tribunale riconosce che le indagini non sciolgono «modo e ragione per le quali il Paciolla aveva assunto tale sostanza: non vi erano farmaci con quel principio attivo in casa, nessuna farmacia di San Vicente gliene aveva venduti, né medici prescritto».
Oltre alla lidocaina, il grande buco nero di questo caso è la candeggina, ovvero il repulisti operato sulla scena della morte. In riferimento a quel che è avvenuto in Colombia, i consulenti tecnici del pm confermano che «in fase di sopralluogo giudiziario, prima di inquinare irreversibilmente la scena, il medico legale e gli agenti di polizia scientifica avrebbero dovuto procedere a una descrizione e ricostruzione molto più accurata di luoghi e oggetti».
Una frase mette in allerta: «I rilievi sono stati effettuati dopo che l’appartamento era stato accuratamente pulito». Le carte puntualizzano che dalle 14 del 17 luglio una addetta alle pulizie degli uffici dell’Onu di San Vicente, una guardia di sicurezza in servizio all’Onu e una terza donna «procedono con le pulizie secondo le indicazioni di Thompson».
Christian Thompson è la persona di cui Mario non si fidava e che temeva; è anche uno degli ultimi contatti telefonici di Paciolla prima di morire, lo contatta sostenendo di dover portarlo a Florencia per la partenza verso l’Italia.
Qualche mese dopo la morte del 33enne, Thompson – a dispetto del suo modus operandi che sfida ogni regola del buon senso oltre che della procedura – è stato promosso a capo nazionale del Centro operazioni di sicurezza Onu a Bogotà.
«L’accesso da parte di Thompson era stato possibile grazie alla copia delle chiavi posseduta dal proprietario; la porta poteva essere aperta con le chiavi dall’esterno anche se nella toppa interna erano inserite le chiavi di Paciolla».
Come osservato dai pm, «accessi e accertamenti non sono stati caratterizzati da rigore, e colpisce che l’immobile, invece che sequestrato, sia stato messo a disposizione di proprietario e funzionari Onu, che sia stato pulito già il pomeriggio del 17 e che gli accertamenti tecnici tesi all’esaltazione e repertamento di tracce biologiche siano stati eseguiti solo la sera del 18 luglio, dopo che erano state effettuate le pulizie e che due funzionari della sicurezza Onu avevano comunicato che alcuni oggetti – compreso il mouse – che presentavano tracce di sangue erano stati salvati con acqua e sapone».
Oggetti rilevanti per la ricostruzione dei fatti sono scomparsi: dalle carte, il 18 luglio alle 14:30 (mezz’ora dopo l’inizio delle pulizie) un agente telefona a Thompson dicendo di aver bisogno di recuperare materassino e recipienti metallici (secondo le ricostruzioni utilizzati per la morte), «finiti in discarica». In serata il magistrato ne dispone il recupero, la polizia giudiziaria va alla discarica «ma non riesce a individuarli e recuperarli».
Nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla procura di Roma per omicidio contro ignoti, i pm hanno avanzato ben due richieste di archiviazione del caso, alle quali la famiglia si è opposta. Il 30 giugno la seconda delle richieste è stata accolta dai giudici: ritengono che non ci siano elementi tali da mettere in discussione quanto stabilito dalle autorità colombiane, cioè che Paciolla si sia suicidato. A cinque anni dalla morte, oggi a Napoli alle 18 da piazza Municipio parte un corteo per chiedere verità, giustizia e gridare che «noi non archiviamo».
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