Con una legge approvata a marzo, il tradizionale test d’ingresso per i corsi di laurea in medicina, odontoiatria e veterinaria è stato sostituito da un cosiddetto semestre “filtro”. Aperto a tutti, dura circa tre mesi, da settembre a novembre, ed è dedicato a tre insegnamenti obbligatori: chimica, fisica e biologia. Dopo, ci saranno i tre rispettivi esami, uguali in tutta Italia, a fine novembre o a inizio dicembre. Alla fine, una graduatoria nazionale: chi avrà ottenuto un punteggio sufficiente, accederà al secondo semestre del corso di laurea prescelto; in caso contrario, si potrà proseguire in un corso di laurea “affine”.

Per il ministero questo nuovo sistema di ammissione sarà più equo, trasparente e capace di valorizzare le qualità degli studenti. La ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini ha espresso, in particolare, la volontà di contrastare i corsi privati di preparazione ai test d’ingresso, spesso molto costosi e «illusori». L’iter è stato pensato anche come soluzione per colmare la carenza del personale medico nel nostro sistema sanitario.

Al semestre, che inizia ufficialmente oggi, 1° settembre, si sono iscritti 64.825 aspiranti medici, odontoiatri e veterinari.

CHE NE SARA’ DEL SEMESTRE FILTRO

In questi mesi si è più volte fatto riferimento, anche nelle stesse dichiarazioni della ministra, a un’abolizione del numero chiuso, che è un’informazione errata. La quantità di posti disponibili è aumentata (oltre 20mila posti), ma il numero chiuso c’era ed è rimasto. A essere libero è solo il semestre iniziale a cui chiunque può iscriversi, ma che non garantisce l’ammissione.

I tre esami previsti dopo le lezioni sono a tutti gli effetti una prova selettiva, con la differenza che non è più all’inizio del percorso, ma viene posticipata di qualche mese. Dalle rappresentanze studentesche arrivano soprattutto opinioni negative. «È un grande concorso pubblico e il semestre aperto è un corso di preparazione», dichiara Antonino Esposito, consigliere nazionale Cnsu (Consiglio nazionale studenti universitari). «Gli esami centralizzati in tutta Italia non creeranno favoritismi, ma il programma è più vasto degli anni scorsi e molti seguiranno comunque dei corsi extradidattici privati», dice Antonio Infante, membro del Consiglio degli studenti di Tor Vergata.

Insieme a loro, anche altri pensano che le nuove modalità non avranno sul business dei corsi privati di preparazione l’effetto sperato dalla ministra. Le aziende del settore si stanno, infatti, semplicemente adeguando alle nuove esigenze degli studenti. «Da tempo proponiamo al ministero l’erogazione di corsi gratuiti e gestiti a livello nazionale», raccontano Esposito e Infante, «a cui tutti possano accedere per prepararsi allo stesso modo».

Sul semestre filtro, qualcuno prevede solo esiti negativi: la competizione tra gli studenti aumenterà e creerà un forte disagio psicologico. Invece, ad esempio, secondo Chiara Biscione, rappresentante dell’università di Bari e senatrice accademica, il semestre potrebbe essere potenzialmente positivo: «Introdurrà i futuri studenti all’ambiente accademico ancor prima di confermare la propria iscrizione».

Come si stanno organizzando le università

Le università sono state chiamate in breve tempo (praticamente i mesi estivi) ad adeguarsi alle nuove disposizioni, e molti ritengono che non fossero sufficientemente pronte, soprattutto sul piano logistico, per adeguare gli spazi, le infrastrutture e le risorse umane (docenti e tutor) per lo svolgimento di lezioni ed esercitazioni. In quasi tutti gli atenei le lezioni saranno sia in presenza che online e in alcuni tra quelli medio-piccoli, come quello molisano e foggiano, ci sarà una didattica interamente in presenza.

Nunzio Miraglia, coordinatore nazionale dell’Andu (Associazione nazionale docenti universitari), dice che la riforma «è un attentato alla docenza» e attacca il nuovo sistema valutativo, che rischia di generare «una marea di ricorsi». «I professori di ogni ateneo devono insegnare in poche settimane a studenti che poi saranno valutati con esami nazionali e non da chi li ha preparati», spiega.

Durante il suo intervento in Commissione, Miraglia aveva riportato i dati della disastrosa esperienza francese, dove un modello di ammissione simile era già stato introdotto.

IL PUNTO DI VISTA DEI DIRETTI INTERESSATI

Ci sono tanti aspetti che emergono dai pareri degli studenti che stanno per iniziare il percorso. «Mi sento parte di un nuovo esperimento», ammette una studentessa, riferendosi alla grande bolla di incertezza in cui lei e tanti altri stanno vivendo in queste settimane.

Qualcuno è preoccupato perché si dovrà aspettare fino a gennaio per conoscere l’esito dell’ammissione, temendo che il semestre di prova possa rivelarsi una perdita di tempo. Qualcuno ritiene che l’introduzione dei tre esami come sbarramento sia una soluzione migliore del test d’ingresso degli anni passati. Gli studenti pendolari e fuorisede fanno notare le difficoltà organizzative legati agli affitti. «I proprietari di casa non affittano per pochi mesi, e se a gennaio finirò in un’altra università, trovare una stanza sarà ancora più difficile».

Chi ha seguito l’iter legislativo sottolinea che la gran parte delle associazioni e delle società scientifiche si era dichiarata sfavorevole all’approvazione della riforma. «Nasce da un’esigenza politica ed è stata costruita male. Il problema è che noi che viviamo l’università non siamo stati ascoltati».

Siamo di fronte a un «cambio di paradigma», ma che farà bene a chi?

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