Non solo il ragazzo trasferito da via Corelli di Milano alla struttura di Gjadër, in Albania, valutato inidoneo al trattenimento. Come denuncia la rete Mai più lager, le storie legate al sistema di violenza detentiva dei Cpr sono molte, quotidiane e strutturali. L’infettivologo Nicola Cocco: «Il contesto detentivo che non può essere migliorato, riformato e nemmeno “monitorato”: può solo essere abolito»
Prima nove mesi nel Cpr di via Corelli a Milano, poi spostato nella notte nel centro di detenzione per migranti di Gjadër in Albania e ora valutato dalla Commissione vulnerabilità come persona non idonea al trattenimento, e rispedito in Italia. Parliamo del ragazzo con gravi problemi psichici di cui avevamo raccontato su questo giornale, che dopo aver subito il trauma della detenzione e del viaggio di andata e ritorno dall’Albania, è stato riportato due giorni fa in Italia e poi, stando a quanto denuncia la rete Mai più lager, probabilmente abbandonato per strada, nonostante le enormi fragilità psicologiche. Ma le storie legate al sistema di violenza detentiva dei Cpr sono molte, quotidiane e strutturali.
Rinchiusi, sedati e abbandonati
Alla storia del primo ragazzo che abbiamo raccontato se ne aggiunge un’altra, sempre denunciata dalla rete Mai più Lager: un ragazzo palestinese, anch’esso rinchiuso nel Cpr a Milano, è stato dichiarato idoneo alla detenzione nonostante abbia serissime fragilità psichiche: messo in isolamento, avrebbe violentemente sbattuto la testa, procurandosi tagli e ferite. Inoltre, il ragazzo avrebbe ingerito pezzi di metallo - per cui è servito un intervento chirurgico - oltre ad avere collo e braccia coperti da decine di punti di sutura per curare le ferite che si era provocato con atti di autolesionismo. La rete Mai più lager ha raccontato che si tratta di «una persona ex tossicodipendente, già in cura al Serd. Le rare volte in cui siamo riusciti a metterci in contatto con lui abbiamo notato che biascica - imbottito di farmaci - e ci chiede aiuto in lacrime». Secondo la rete il ragazzo palestinese è stato rilasciato tra la serata del 14 novembre e la mattina del 15. Anche lui senza essere preso in carico dai servizi di psichiatrica e senza un posto sicuro in cui alloggiare. Quello che accade alle persone detenute è un cortocircuito di disumanità e illegittimità: le persone si "ammalano di detenzione”, in un calvario che si trovano a subire ogni giorno. Quando poi, con ritardo, le commissioni dichiarano l’inabilità al trattenimento nei Cpr, sono lasciate sole in strada. Senza presa in carico delle fragilità fisiche e mentali, senza prospettive di reinserimento nel tessuto sociale e senza futuro.
«I cpr devono essere aboliti»
Per Nicola Cocco, infettivologo e attivista della rete Mai più lager e della Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm), quelle dei due ragazzi rappresentano casi di «abbandono sanitario». Sul primo, da poco tornato dall'Albania, dice: «Ora è stato probabilmente lasciato per strada, fuori da qualsiasi percorso di tipo terapeutico». Mentre il ragazzo palestinese, «chiaramente non rimpatriabile» e, nonostante i numerosi problemi di salute, è stato valutato anch’esso come idoneo al trattenimento nel Cpr «dagli psichiatri di un importante ospedale lombardo». E, come racconta sempre Cocco, «pur in presenza di numerosi gesti di autolesionismo anche molto cruenti, è stato rinviato al Cpr perché non sussistono “acuzie” psichiatriche che giustifichino un allontanamento dal centro».
Secondo l’attivista è la detenzione amministrativa a essere psicopatogena, perché «spezza la salute psicofisica di persone che all’interno di questi centri, giudicati “torturanti” a livello internazionale, vengono ridotti a “nuda vita”, per dirla con le parole di Giorgio Agamben». E, continua Cocco: «Si va dalla deriva manicomiale all’abbandono sanitario tout court. Franco Basaglia si rivolta nella tomba nel vedere medici che non riconoscono la patogenicità evidente di un'istituzione totale basata sul razzismo istituzionale come il Cpr». Per il dottor Cocco c’è bisogno di una presa di posizione «forte e chiara da parte dei professionisti della salute, affinché riconoscano l’emergenza sanitaria rappresentata dalla detenzione amministrativa e possano evitare di essere complici di un sistema torturante, agendo affinché nessuno resti in un contesto detentivo che non può essere migliorato, riformato, nemmeno “monitorato”: può solo essere abolito».
Le reazioni della politica
In merito alla vicenda, il gruppo politico di Avs si è mosso su più fronti: la deputata Francesca Ghirra, alla Camera, ha denunciato la deriva manicomiale dei Cpr italiani e «l'illegittimità della nostra Guantanamo albanese». Per la deputata occorre «cambiare le modalità di gestione dei flussi migratori e chiudere immediatamente i Cpr; buchi neri del diritto». È inoltre necessario «trovare delle soluzioni per queste persone che sono sequestrate dallo stato, in condizioni disumane. Per noi i Cpr sono stati un errore politico ed economico. Pretendiamo un’interrogazione alla presidente del Consiglio e al ministro Piantedosi, pretendiamo che vengano qui in aula a riferirci di questo ed anche degli ultimi accordi che sono stati siglati».
Altre deputate si stanno muovendo a livello europeo: «Questa è una vicenda gravissima - dice l’europarlamentare Ilaria Salis - Non so dire se è più grave che una persona con evidenti fragilità psichiche sia stata trattenuta per mesi nel Cpr di Milano oppure che le deportazioni verso il Cpr albanese vengano utilizzate di fatto come strumento per liberarsi dei detenuti ritenuti “problematici”». Salis si aspetta «doverose spiegazioni da parte delle autorità competenti». L’europarlamentare ha infine raccontato a Domani che, insieme a Cecilia Strada (Pd), stanno preparando un'interrogazione alla Commissione parlamentare europea, in merito a questi terribili accadimenti.
© Riproduzione riservata


