Nessuna scuola è un’isola. O almeno, non dovrebbe esserlo. A Milano il progetto “Scoop - Scuola Cooperativa di Prossimità” crea ponti tra gli istituti del municipio 6 e combatte la segregazione scolastica.

«Nell’Istituto Narcisi l’80 per cento degli alunni ha un background migratorio, al Moise Loria, appena tre chilometri più in centro, soltanto il 10. Si tratta di percentuali che non rispettano la componente sociale del bacino d’utenza: sono sintomo della “fuga bianca”», spiega a Domani Marta Berti, referente del progetto e coordinatrice dell’associazione Comunità del Giambellino.

La “white flight” consiste nella fuga da parte di famiglie italiane del ceto medio dalle scuole di periferia più vicine a loro. «Il nostro obiettivo è mettere in contatto gli istituti, permettere lo scambio tra i docenti e gli alunni. Aprendo le scuole al territorio si integrano gli studenti e si migliora anche il lavoro degli insegnanti».

Il progetto, selezionato dall’impresa sociale “Con i Bambini” nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, coinvolge tutti gli otto istituti del municipio, e ha l'obiettivo di creare un nuovo modello di governance scolastica, in continuità con il Patto territoriale contro la segregazione scolastica già avviato negli anni precedenti.

La rete vuole potenziare le scuole più fragili, intercettando e portando alla luce, anche grazie ai “docenti ponte”, le specifiche difficoltà degli istituti. Così che azioni cooperative di questo tipo arrivino, nel medio-lungo periodo, a far ottenere alle scuole una maggiore eterogeneità nella composizione delle classi, favorendo la scelta delle scuole di prossimità da parte delle famiglie.

«Abbiamo istituito dei gruppi di azione cooperativa, composti da insegnanti, operatori del terzo settore e rappresentanti delle istituzioni, che progettano strategie che le scuole da sole non riuscivano a realizzare», racconta Berti.

«Per l’orientamento, ad esempio, le scuole superiori verranno ospitate da alcune scuole medie aperte a tutti». L’idea è promuovere lo scambio e la coesione, mettendo al centro la persona: «Sono previsti colloqui con le psicologhe, organizzati a scuola, ma pensati in modo coordinato, tenendo conto dei mezzi di ciascun istituto. Le risorse del progetto vengono distribuite per supportare maggiormente le scuole che ne hanno più bisogno. A prescindere dal fatto che ci si iscriva in una scuola più periferica o in una più centrale, la proposta orientativa dev’essere la stessa per tutti».

Democratizzare la scuola

Ma anche la proposta didattica viene democratizzata. «Lo scambio è reciproco: nelle cosiddette scuole di frontiera i docenti spesso sono più attrezzati, hanno più competenze specifiche, e le condividono con i colleghi delle scuole centrali», sottolinea Berti. «Naturalmente a questo deve seguire anche un potenziamento dell’offerta formativa: se in centro viene aperto il laboratorio Steam e in periferia solo il laboratorio di italiano L2 l’esito quale sarà? Che avrò comunque una scuola di serie A e una di serie B. E anche questo deve cambiare».

Per farlo, una delle iniziative è “Una scuola nell’altra scuola”. Classi di diversi plessi sono state gemellate e hanno affrontato, per l’intero anno scolastico, specifiche tematiche (dal senso di comunità al concetto di tempo) con un approccio interdisciplinare e con la guida di alcuni ospiti del mondo dell’arte e della cultura.

«Si agevola lo scambio tra insegnanti di scuole diverse, ognuna con il proprio orientamento e con differenti aspettative da parte delle famiglie», spiega a Domani Ilaria Rodella, dell’associazione Coi Ludosofici. «E soprattutto si creano relazioni tra i ragazzi: facciamo entrare una scuola nell’altra, smaterializziamo sia i confini delle materie, sia i confini degli edifici, che si aprono agli altri istituti, al territorio e alla città».

Il progetto Scoop è unico per estensione e capillarità, ed è sostenuto anche dal Comune. Si concluderà a dicembre del 2026, ma l’auspicio dei coordinatori è che i dispositivi di rete sviluppati in questi mesi continuino a esistere.

Con l’“Osservatorio sulla scuola di oggi e di domani” i ragazzi e le ragazze stanno conducendo una ricerca sui processi segregativi e su come loro e i coetanei vivono la scuola, ma soprattutto su come la vorrebbero. «A ottobre ci sarà un momento di restituzione, ma già in questi mesi è emerso quanto sappiano immaginare un sistema scolastico diverso», rivela Berti. «E noi vorremmo che le scuole di domani venissero costruite, da chi le vive, proprio così».

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