A Natale l’impasto degli struffoli si appiccica tra le dita. Si lavora con le mani e con pazienza, mentre il suo profumo riempie la cucina. Accade così anche al centro diurno di Binario 95, a pochi passi dalla stazione ferroviaria di Roma Termini, dove una decina di persone è raccolta attorno a un tavolo: donne e uomini, italiani e non, età diverse. Indossano tutti un grembiule per proteggere i vestiti dalla farina e dall’olio e si preparano a mettere i guanti.

È pomeriggio, fuori l’inverno non si vuole rivelare, fa quasi caldo. Dentro si costruisce un tempo condiviso, scandito dal profumo di zucchero e miele, dai sorrisi che si aprono piano e dalla musica di sottofondo.

Tra le persone sedute c’è Leonardo, è arrivato dall’Angola negli anni Novanta. Voleva studiare, racconta, e ci ha provato. Poi il disagio psichico ha cambiato tutto. Oggi è completamente solo, dorme da molti anni alla Caritas e trascorre le giornate al centro diurno di Binario 95. Sorride con tutta la bocca, ha voglia di raccontare. Ripete una frase come fosse un appiglio: «Qui ho trovato la mia famiglia. Oggi mi sento bene. Non sono solo».

La richiesta di un percorso

La sua povertà non è solo economica, è una povertà di relazioni. Ed è lì che questo luogo interviene. Binario 95 nasce come risposta emergenziale alla marginalità estrema intorno alla stazione, ma negli anni ha cambiato pelle. «Noi siamo cambiati insieme alla povertà», spiega Alessandro Radicchi, fondatore dell’associazione.

«Siamo partiti con risposte di primo aiuto, poi ci siamo accorti che le persone chiedevano un percorso. Oggi arrivano anche persone che hanno lavorato per anni, famiglie, persone con problemi di salute. È una povertà più fragile, più complessa». I numeri lo confermano. Ogni anno, a Roma, circa 22mila persone si rivolgono ai servizi di accoglienza. «Di queste, circa ottomila utilizzano solo la mensa», spiega Radicchi. «È il segno di una povertà assoluta che sta scivolando verso l’estrema marginalità».

Solo nell’area della stazione Termini, tra Binario 95 e i servizi collegati, transitano tra le quattro e le cinquemila persone l’anno, metà delle quali sono migranti. Poco distante dal centro diurno, in una casa di accoglienza gestita da Binario 95, incontriamo Cristina. Ha i capelli lunghi e chiari, gli occhi che sorridono appena inizia a parlare. Ha alle spalle una vita segnata dalla violenza e dalla perdita: una figlia morta giovanissima, un ex compagno violento, anni trascorsi tra lavoro precario e strade gelide.

«Quando sono arrivata a Casa Sabotino dormivo dentro una macchina, era freddo», racconta. «Un prete mi ha trovata lì dentro, ha chiamato l’ambulanza perché stavo male e mi ha aiutata a entrare in contatto con il centro. Qui ho trovato persone che mi hanno accolta senza giudicare, così com’ero».

Dopo anni di fatica come badante, di lavoro in nero e di malattia, Cristina oggi può prendersi cura di sé e della sua quotidianità. «Di giorno facciamo tante cose: puliamo, cuciniamo, partecipiamo ai laboratori. Io adoro cucinare e a Natale preparerò patate al forno e salsiccia», racconta. «Non è solo un pasto, è stare insieme, condividere qualcosa che prima mi sembrava impossibile».

A Casa Sabotino vivono circa quindici donne provenienti da paesi diversi, tutte impegnate a ricostruire una routine fatta di gesti piccoli ma fondamentali: cucinare insieme, cantare, preparare i regali della tombola natalizia. Intorno a loro, la casa ha i colori dell’accoglienza, divani turchesi, piante decorate per il Natale. «Qui ho imparato a sorridere di nuovo», dice Cristina. «Dopo la morte di mia figlia e le violenze subite, avevo chiuso con tutto. Ora canto, partecipo, sento che posso vivere».

Oltre alla mensa e ai pasti condivisi, Binario 95 offre laboratori di cucina, di musica, di artigianato, tutti i servizi di prima assistenza, tra cui il medico ma anche tutto quello che «non è necessario» ma fa bene. Come visite culturali, il cinema, il teatro, momenti di socializzazione pensati per restituire dignità.

«Non serve solo dare un pasto o una coperta», spiega Radicchi. «Serve costruire relazioni, offrire momenti di vita normale, far sentire le persone parte della città». Cristina sorride ricordando la tombola dell’anno scorso: «Abbiamo riso tantissimo, ognuno portava le proprie canzoni, la musica di casa sua. Come in famiglia». Anche Leonardo sottolinea quanto sia importante per lui condividere: «A volte basta un caffè in compagnia per non sentirsi soli».

Paese di povertà

Le storie di Leonardo e Cristina non sono eccezioni. Raccontano un pezzo sempre più ampio di paese. Nel 2024, secondo Eurostat, in Italia oltre un lavoratore su dieci (11,8 per cento) si è trovato in una condizione di rischio povertà, con un reddito inferiore al 60 per cento di quello della media nazionale.

Un dato in crescita rispetto al 2023, che colloca l’Italia tra i paesi europei con il più alto numero di working poor. Persone che hanno un lavoro, fanno anche gli straordinari quando sono previsti, ma non arrivano a fine mese. Non hanno abbastanza denaro per fare la spesa, pagare l’affitto, comprare il materiale scolastico per i figli.

«Non è detto che per tutti ci sia un reinserimento lavorativo», osserva Radicchi. «Ma c’è sempre la possibilità di una vita dignitosa. La domanda che dobbiamo farci è: vale la pena dedicare tempo e risorse a una persona come Leonardo? Se la risposta è sì, allora quello è il senso di tutto». Cristina aggiunge: «Non importa da dove vieni o quello che hai perso, qui impari a ricominciare. E anche un piccolo gesto può cambiare la giornata di una persona. Io oggi amo uscire, andare in chiesa, fare la spesa, preparare qualcosa per gli altri. È una libertà che prima non immaginavo per me».

In questo periodo dell’anno, per chi non ha famiglia o amici, il Natale può essere un momento di isolamento doloroso. In città molte realtà associative come Binario 95, Caritas, Sant’Egidio aprono le porte a chi è più vulnerabile. «Qui cerchiamo di pensare a chi non ha nessuno», spiega Radicchi. «Creiamo momenti di socializzazione per fare in modo che nessuno si senta invisibile».

Natale a Binario 95

Il 25 dicembre, a Binario 95, la tavola sarà imbandita con quello che i volontari avranno preparato grazie alla loro dedizione e alle donazioni fondamentali di chi sostiene questa realtà.

Ci sarà l’albero di Natale con i suoi pacchetti da scartare. Ci saranno gli struffoli preparati nei giorni precedenti, le patate al forno e la salsiccia di Cristina. Ci saranno persone che, almeno per un giorno, non mangeranno da sole.

«Viviamo anche di donazioni, certo, ma la cosa più bella è stare insieme agli altri», dice Cristina. In un paese in cui la povertà cresce anche tra chi lavora, dove secondo gli ultimi dati Istat sono 5,7 milioni le persone in povertà assoluta, il Natale qui non è una promessa astratta: è un pasto che si condivide, un posto a sedere, qualcuno che ti chiede se vuoi ancora un po’ di dolce.

È restare lì, finché gli altri non hanno finito di mangiare. È essere visti. E in quelle mura calde, tra risate, odori di cucina e mani che sprofondano nell’impasto, si costruisce la piccola magia di un giorno che possa essere davvero di nascita, insieme.

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