In cella ci sono delle regole. Ma la sera del 24 si tenta di creare momenti più allegri: chi prepara la lasagna, chi il tiramisù e chi condivide i pacchi dei parenti. Ci sono però, anche attimi malinconici
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
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Davide, nome di fantasia ma storia vera, è stato arrestato e portato a San Vittore a ottobre del 2023. In quel momento l'antica casa circondariale milanese è una delle carceri più sovraffollate d'Italia: sono 1100 i detenuti stipati in una vecchia struttura a panopticon che potrebbe ospitarne 702, con interi reparti dismessi per problemi strutturali.
Ogni giorno entrano 10 o 15 nuovi arrestati: i meritano e vengono: perché sono detenuti in misura cautelare e un bel giorno vengono assolti, perché hanno ricevuto la condanna definitiva e vengono approvati in una casa di reclusione dove finiranno di scontare la pena – forse Opera o se sono fortunati Bollate-, o perché hanno scontato la condanna e possono tornare alla vita. È per questo motivo, per questo via vai da porto di mare, che Davide in soli tre mesi diventa capocella. Titolo onorario più o meno democraticamente assegnato. Un'ascesa repentina ma che si spiega se si tiene conto che due terzi dei detenuti lì dentro sono stranieri, uno su due è tossicodipendente. Lui è italiano, disciplinato, calmo.
Le regole
Appena ottenuto il riconoscimento, alla sua cella impone tre regole. Uno: nella “408” non esiste un capo cella. Tutte le decisioni si prendono sedute al tavolo per il bene della squadra. Due: non si porta in cella grappa e non la si produce. Vietati anche altri tipi di droghe. Tre: la cella si pulisce ogni giorno a turno. I cinque abitanti della cella accettano, perché la 408 è la suite della sezione, ed è bene non bruciarsi l'opportunità.
La cella è come un organismo: funziona se funzionano gli organi, ognuno per sé e tutti in funzione di tutti. Insieme decidono di organizzare una Vigilia di Natale che sia bella, perché il 24 è il compleanno di uno di loro, oltre che di Gesù. Fanno una spesa regale. Comprano spaghetti, vongole surgelate, verdura e frutta fresca, torte, panettoni, pandori. La spesa in carcere si chiama sopravvitto: chi se lo può permettere acquistare il cibo per la settimana e si libera dalla tortura del vitto carcerario. Gli altri mangiano ciò che passa il convento.
Tutto è pronto
Davide chiede a sua madre di portargli del salmone affumicato e del pesce spada affettato. Il papà di Nicholas contribuisce con un pacco pieno di salumi, la mamma di Michele addobba la tavola con una tovaglia ricamata di rosso. Tutto è pronto per un grande pranzo, da farsi subito dopo la messa, per dimenticare le sofferenze e le solitudini, o metterle in pausa. Davide è ateo, ateo convinto, eppure da qualche tempo è diventato il lettore ufficiale dei versetti della Bibbia: in carcere è meglio non mostrarsi sprezzanti, non si sa mai cosa possa aiutare a far passare il tempo. Il vangelo e il laboratorio di scrittura creativa in questo senso si equivalgono: servire a credere in qualcosa, a scandire il tempo e vedere che anche lui, come le parole, scorre.
La messa ha inizio. I volontari di Comunione e Liberazione hanno portato le chitarre. Una voce angelica intona una canzone, è in spagnolo: Reina de Paz . Davide si commuove, si asciuga veloce la lacrima che gli scivola dall'occhio sinistro. Poi d'un tratto la diga cede, lui non si tiene. Piange, piange a dirotto, come non faceva da quando era nato, senza rimedio. Pensa ai suoi bambini, che aspettano i regali di Natale, che aspettano che lui torni, anche se non sanno bene da dove deve tornare.
Brutte notizie il 24 dicembre
Torna in cella e si riscuote, ritrova l'allegria. I cinque imbandiscono la tavola, servono gli antipasti, addentano crostini burro e salmone. Quando fanno per iniziare a mangiare sul serio una guardia si avvicina al blindo con il passo cadenzato dalle chiavi appese alla cintura: ha due notifiche in mano. Una per il festeggiato: rigetto di istanza per arresti domiciliari. L'altra per Nicholas: rigetto di istanza per arresti domiciliari. Due rigetti, di domenica 24 dicembre. Non era mai successo. I diretti interessati si dispiacciono, si rabbuiano. E così anche gli altri, per solidarietà, per compassione: nella cella cala il silenzio e il pranzo prosegue, tristemente. Una volta finito sparecchiano, ma in cella non si può granché sparecchiare perché non c'è spazio, si lavavano i piatti uno alla volta nel lavandino del bagno che è quel che è, poca cosa. Michele, in quell'aria mesta, si avvicina alla branda a castello. Sollevare la trapunta e poi il materasso e tirare fuori una bottiglia di grappa. L'ha comprata alla messa. Gli è costata cinque pacchi di tabacco.
Davide perdona l'infrazione della regola numero due e brinda insieme agli altri. La grappa autoprodotta nei bagni delle celle è robaccia della peggior specie, ma scalda la gola e poi la pancia e a Natale, in carcere, bisogna trovare rimedi al freddo, ai caloriferi rotti, arresi alla fatiscenza del contesto. Rimedi alle infiltrazioni che bucano l'intonaco e ammuffiscono l'aria. La sera i cinque si coricano ognuno sulla propria branda, ognuno sotto sette coperte, per schermarsi dall'umidità che penetra nelle ossa, per proteggersi dai brutti pensieri, dai rimorsi, dai rimpianti, dai fantasmi dei natali passati, presenti, futuri.
A natale è permessa la “socialità”
Lasciamo San Vittore, lasciamo il centro di Milano, il via vai della prigione e quello della gente libera che formicola per le strade con i panettoni in mano e andiamo fuori città, fra le campagne piene di nebbia, a Opera, casa di reclusione. Aggiriamoci per la sezione dell'alta sicurezza, dove le celle, nei giorni normali, rimangono chiuse venti ore al giorno, con le persone dentro, per anni e anni, decenni, secoli. Ma è il giorno di Natale e si fa uno strappo alla regola, viene permessa la “socialità”: così si chiama, in galera, il diritto a stare insieme, a ridere, a farsi compagnia, a raccontarsi delle storie, a condividere il pasto. Giacomo, nome di fantasia ma storia vera, racconta che il Natale in carcere fa male e fa bene, fa soffrire e consola. Fa maschio perché a chi ha figli o moglie o genitori mancano i figli, la moglie, i genitori ancora più dolorosamente. C'è chi si incupisce, chi si rattrista, chi pensa di «farsi la corda» e cioè impiccarsi e c'è anche, chi, alla fine, lo fa per davvero. Ma i più resistenti, cercano di tenere alto l'umore.
Si tiene in alto l’umore condividendo il cibo
Per tenere alto l'umore serve una buona cena, un buon pranzo: un pasto che sia speciale, che imita il calore dei Natali felici, se mai ce ne sono stati. Ognuno mette a disposizione le proprie risorse culinarie, i cibi arrivati nei giorni precedenti dentro ai pacchi che le famiglie spediscono ai protetti: pacchi pieni di dolci, di piatti cucinati con cura e poi ben sigillati, ben porzionati. Pesce, carni, contorni. Qualcuno chiede ai famigliari una pentola speciale che serve a cucinare qualcosa di speciale, ammesso che non venga fermata all'ingresso dai meticolosi controlli del carcere, che toglie e concede senza che sia ben chiaro il criterio, il filtro. Giacomo, per la cena della vigilia, cucina una lasagna: il giorno prima prepara la besciamella, il ragù. La pasta la compra al sopravvitto, così si risparmia di dover preparare anche quella. La mattina della vigilia compone gli strati nella teglia, orgoglioso come si è sempre orgoglioso di qualcosa di difficile. Un compagno di cella cucina i gamberi alla griglia e qualche altro antipasto con cui inaugurare la tavola.
Il dolce e la notte prima di Natale
Ci sarà poi un tiramisù, una torta di mele cotta in quel forno improvvisato che ogni carcerato impara a costruire, creando una cappa di carta stagnola da fissare sopra al fornello. Il tiramisù, la torta, si portano in giro per la sezione, si offrono agli altri compagni, che scambiano con le loro ciambelle, con le loro pasticcere, con i loro cannoli ripieni di ricotta dolcissima, che ai siciliani ricorda le ricche pasticcerie del centro. Quando arriva la notte, il suono della televisione fa a gara con quello delle chiavi che chiudono i blindi, a uno a uno. Un film di Natale rimbomba contro le pareti afone della cella. Ogni abitante del carcere, arrotolato nelle sue coperte, ricorda quando, bambino, ancora libero, aspettava il mattino, febbrilmente, perché il mattino significava regali e stupore e quindi la notte era come una promessa. Si spengono le luci: un altro giorno è andato. Buon Natale a tutti.
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